KILLER FICTION

In una lettera a Sondra London, una fidanzata dei tempi del liceo divenuta scrittrice di true crime che successivamente avrebbe collaborato alla stesura di KILLER FICTION, Gerard John Schaefer disse di avere ucciso e mangiato due delle sue vittime, i corpi delle quali in effetti non vennero mai ritrovati: in casa dell’ex poliziotto furono comunque rinvenuti due denti di una ragazza scomparsa e degli oggetti appartenuti ad altre due (passaporto della prima e patente della seconda). In una nuova lettera a London, confessò di avere iniziato a uccidere dal 1965, all’età di 19 anni. Vi sono due particolari che si ripetono costantemente nella condotta criminale di Schaefer: da un lato le vittime sono giovani, perlopiù ragazze scelte secondo il modello “bimbo” (in slang, donna bella ma stupida e sessualmente disponibile, sensibile soprattutto agli amanti ricchi), protagonista anche di KILLER FICTION; dall’altro, come ipotizza brillantemente Colin Wilson, ciò che più lo eccita è senza dubbio il terrore che ispira alle proprie vittime e proprio per questo quando gli è possibile rapisce due donne alla volta: l’una vedrà la morte dell’altra, ed egli godrà del terrore dipinto sui volti dell’attrice e della spettatrice.

Nell’aprile 1973 vennero ritrovati i corpi decomposti e macellati di due giovani. Esaminandole, la polizia notò che erano state legate a un albero. Notata la somiglianza con il tipico modus operandi di Schaefer, ottenne il permesso di perquisire la sua casa in quanto sospettato. Al momento della perquisizione c’erano gli effetti personali di almeno otto donne scomparse. In camera da letto gli agenti trovarono inoltre una gran quantità di storie scritte da lui (punto di partenza per il suo futuro libro) che descrivevano stupri, torture e omicidi di donne; si riferiva a loro con l’appellativo di “puttane” e “troie”. Oltre agli oggetti che abbiamo già elencato, furono reperite anche 11 pistole e 100 foto di donne e dell’indiziato con indosso della biancheria femminile. Fu definitivamente arrestato il 7 aprile 1973 e incriminato dei due delitti il 18 maggio. Il processo iniziò il 17 settembre e vide in qualità di testimoni due ragazze che aveva sequestrato nel 1972. Il 4 ottobre venne condannato a un doppio ergastolo per gli omicidi dello stesso anno. Una delle prove che lo inchiodò fu una borsa che apparteneva a una delle vittime. Inoltre la madre della ragazza identificò l’ex poliziotto come la persona che vide con la figlia e l’amica di essa per l’ultima volta. Schaefer presentò più volte ricorso contro la sua condanna dichiarandosi innocente, ma in privato si vantava di aver ucciso più di trentaquattro fra donne e ragazze (la polizia gliene attribuì trenta). Tutti gli appelli gli vennero rifiutati.

Sondra London, avendo con lui un rapporto privilegiato, lo intervistò e seguì il suo processo. Infine, nel 1989, criminale e narratrice pubblicarono un’antologia di racconti di buon livello letterario (certo, per stomaci forti, esplicitamente debitori della ruvidezza espressiva di un Harry Crews), il già citato KILLER FICTION. Un secondo libro, BEYOND KILLER FICTION seguì due anni dopo. Di solito, le tipiche storie di Schaefer hanno a che fare con torture e uccisioni di donne viste nella prospettiva malata e solitaria – e non è un modo di dire per come tale prospettiva viene restituita al lettore – dell’omicida, spesso un poliziotto. In un’intervista a Mike Diana su “Boiled Angel #8”, Schaefer spiega con lucidità quello che è lo schema fondamentale dei suoi racconti e la “colpa” delle ragazze nei confronti di uno degli “eroi” (Ted) delle sue storie: “la bimbo usa sesso casuale per manipolare Ted e cerca di controllarlo. Lei non si rende conto che Ted ha la medesima sorta di attitudine casuale a proposito della violenza. Ted vuole denaro. Il denaro è potere; così lui torce il suo collo a tradimento e la fa rotolare nella palude. Sesso casuale; casuale assassinio. Questo è ciò che oggi le persone si fanno l’un l’altra.” (E questo è anche l’alibi pseudosociologico di Schaefer). Un’edizione riveduta di KILLER FICTION, realizzata dopo la morte del serial killer, include storie e articoli vari tratti dai primi due libri, pochi disegni, qualche poesia e una collezione di lettere alla London nelle quali Schaefer, oltre ad ammettere i propri delitti, si vanta di esser stato ammirato da un altro dei più celebri massacratori di donne dell’epoca, il coetaneo Ted Bundy.

London interruppe la sua relazione con il killer dopo che questi la minacciò di morte se avesse mai mostrato alle autorità le proprie lettere incriminanti. Dopo il 1991, quindi, Sondra decise di abbandonare il suo pericoloso amico e di concentrarsi su Danny Rolling, altra “star” degli omicidi seriali. Il cattivo gusto di questa donna e quello del pluriomicida erano senza limiti: in una foto acclusa a KILLER FICTION, l’ex-poliziotto, sorridente e con un’aria paciosa, finge di spaventare come un mostro da film horror di serie Z la sua coautrice, fuori campo nel momento in cui scatta la foto. E’ come se Hitler si divertisse a far la stessa cosa a un ebreo mentre quest’ultimo lo immortala dopo aver saputo di Auschwitz. Per quanto riguarda la sua attività artistica, Schaefer dichiarò nell’intervista rilasciata a Diana di aver cominciato a dedicarsi alla scrittura negli anni ‘60 narrando la storia di un aviatore della II Guerra Mondiale. Il passaggio da “Combattimento aereo” a KILLER FICTION, a suo dire, avvenne quando volle scrivere cose in linea coi tempi attuali (ricordate? “Sesso casuale; casuali assassinii”). Nei racconti, il killer che uccide le vittime è spesso un poliziotto (travestimento utilizzato nella realtà anche dal citato Bundy e da Yoo Young-chul, serial killer coreano) chiamato Dirty Dan Kelly o Rogue Cop. Questo agente corrotto, dotato di schiava sessuale minorenne e con interessi nel mondo della prostituzione di alto livello, in un racconto utilizza come esca vivente per catturare un maniaco (nome didascalico: Bestia Sessuale) esemplato sulla figura di Ottis Toole, una “bimbo” minorenne nuda legata in una palude… e così, parola dell’autore, “il termine poliziesco acquista un nuovo significato”. Il limite estetico delle storie, in molti casi, è che Schaefer scrive esattamente quello che si è ripromesso di scrivere (come se Zola in GERMINAL avesse ottusamente incentrato la propria narrazione sul semplice e fin troppo dichiarato “documento umano” dello sciopero dei minatori, non permettendo alle sue baccanti di spuntare all’improvviso dal proprio inconscio culturale): uno stupro di qualche seducente “bimbo” con uccisione “a lieto fine” per l’assassino, senza lasciarsi prender la mano da altro in grado di deviarlo da questi sogni a occhi aperti verso incubi o visioni estranei a ogni immediata biografia. Come abbiamo già detto, in casi del genere la sola cosa che riesce a restituire è la Solitudine con la “S” maiuscola, autistica per scelta, anche nell’umorismo nero: a proposito del cadavere in putrefazione di una sua vittima, per esempio, dice che “persino i vermi non volevano aver niente a che fare con lei oltrepassato un certo punto”, dove è chiaro più che in mille asettiche descrizioni scientifiche cosa significhi “oggetto sessuale”, ovvero qualcosa che si usa fino a che è possibile e quindi diventa – senza dubbio per ragioni di rivalsa sul potere di fascinazione che la donna esercita nei confronti del suo stupratore assassino – l’ultimo livello di “materiale” (al di sotto dei vermi, che pure restano esseri in grado, almeno dopo un certo punto, di scartarla).

Uno dei pochi testi in cui il sesso almeno parzialmente viene messo da parte, e che forse non a caso presenta il meglio di sé anche con un uso opportuno di due elementi extradiegetici sui quali torneremo, è “Early release” (“Liberazione anticipata”): Jerry, un galeotto appena uscito di prigione va verso Tampa (“un posto vale un altro, no?”) in autobus e trascorre il viaggio parlando con Danny, un compagno conosciuto in carcere, naturalmente di donne ma anche rievocando flashback della vita carceraria che si presentano con un’anafora azzeccatissima per evocare un elenco sentimentale masochista, flashback finalmente trasformato solo in sgradevoli ricordi: dal momento del suo rilascio in poi, per Jerry “Nessun conteggio stando in piedi alle 8:00 di sera. Sull’attenti, snocciolare il tuo numero come robot. Nessun nome, soltanto il tuo numero. Nessuna danza negra a tutto volume da quegli stereo portatili. Nessun pavoneggiarsi di gay che scivolano dentro i cessi per succhiare cazzi neri. L’ Unità – un posto di riabilitazione. Se solo chi paga le tasse conoscesse la verità.” Dopo altre lamentele e proteste sulla situazione carceraria, Jerry conclude il viaggio assassinando due donne appena conosciute e Danny. Dopo “pensai al Canada. Le Bahamas, la costa del Nord Africa. Poi pensai al poliziotto che mi incastrò per omicidio sedici anni prima. Entro un’ora ero su un bus per Miami”. Fine. Ma no, la vera fine del racconto è un’altra, e sta al di fuori della finzione: la foto di Robert Stone, che incriminò e fece incarcerare l’autore di KILLER FICTION per diversi omicidi, del quale sono riportate fra l’altro queste parole: “Schaefer è pericoloso. Non penso possa controllarsi. E’ pazzo, e se sostiene che sto provando a trattenerlo in prigione, ha ragione. Se uscisse, sarebbe come se venisse firmata la condanna a morte di un sacco di persone.” E di seguito, una nota dell’editore: “Gerard John Schaefer volle espressamente che la dichiarazione di Robert Stone apparisse nel riquadro laterale di Liberazione anticipata”.

Come afferma l’autore nell’intervista a Diana, i suoi racconti non furono criticati perché irrealistici, ma piuttosto perché realistici a un punto tale da diventare offensivi. D’altro canto, la realtà è che c’è un alto livello di sadismo in molti omicidi e che la vittima spesso vomita, orina, ecc. La sua novella migliore e per certi aspetti anche più allucinante, “Nigger Jack” (“Jack il negraccio”), presenta addirittura aspetti, non si sa fino a che punto volontari, di critica sociale: ma proprio in questo – in tale involontarietà – sta il farsi prendere la mano di cui parlavamo prima. Si tratta della fedele e puntigliosa descrizione dell’esecuzione sulla sedia elettrica di Rhonda Belle, basata su una storia vera. Da quando, a partire dal 1890, venne usato questo strumento di morte, ne esistevano di svariati tipi. Gli stati americani propalavano false informazioni su di esso come se fosse razionale e per quanto possibile “umano”, ma in realtà le cose a volte si svolgevano in modo ben più caotico. Nel testo, l’accento viene messo su tutto – ma proprio tutto – ciò che accade a un corpo umano in quel momento e dopo, al momento in cui il negraccio deve ripulire il cadavere; infine, esso viene visto come oggetto sessuale in un crescendo di necrofilia prossima a una forma malata di pietà. In ogni caso, Schaefer non avrebbe mai conosciuto la sedia elettrica: il 3 dicembre del 1995, infatti, fu trovato morto nella sua cella, ucciso con 42 coltellate da un altro prigioniero (già incarcerato per altri due omicidi) che non confessò mai il delitto per il quale venne comunque incriminato e condannato. Non si conosce di preciso il motivo del suo gesto, ma secondo la beffarda versione ufficiale pare che i due avessero litigato per una tazzina di caffè.

Gianfranco Galliano