Le vele erano nere, lo scafo nero, il cielo nero, foriero di tempesta.
Norman si svegliò ed a quel sonno così profondo e totale lo strappò non il disagio di un qualsiasi rumore – il vento che si alzava, lo schiocco improvviso di una vela, il cigolio dell’albero maestro o il rollio più accentuato della nave -, ma piuttosto un silenzio innaturale.
Il mare mostrava una calma piatta più da affresco murale che da reale distesa d’acqua e, nell’assenza totale di vento, non v’era un solo verso animale a spezzare quel letargo che pareva essersi presa la natura.
Norman si strofinò gli occhi, scuotendo poi più volte la testa, al fine di disperdere quello stordimento che ancora il prolungato sonno gli regalava. Poi si guardò attorno e si accorse che la caravella appariva deserta: non c’era un solo uomo sul ponte, a coffa, affacciato sulle battagliole.
<Pierre… Thomas… Daniel!> chiamò allora, ma non ottenne alcuna risposta.
<Pierre… Thomas… Daniel!> ripeté allora, ponendo le mani a coppa dinanzi alla bocca per aumentare la potenza della voce e farla giungere così ancora più lontano.
Di nuovo fu soltanto quel silenzio ovattato a rispondergli.
Norman lasciò allora quell’angolo riparato sopravvento – il suo preferito per le ore dedicate al riposo, perché protetto anche da robuste corde arrotolate ed ammonticchiate che facevano da barriera – e si diresse verso la scaletta che conduceva al ponte superiore dove si trovava il timoniere.
Anche lì però non c’era nessuno ed il timone, bloccato in verticale, se ne rimaneva perfettamente immobile, assecondando quella calma piatta del mare.
Un forte senso d’inquietudine iniziò a serpeggiare in Norman che, notando un improvviso rapido lampo provenire dalla cabina di comando, vi si diresse, sperando di trovarvi il comandante o, qualora fosse il suo turno di riposo, almeno il secondo.
La cabina, come il resto della nave, si presentava però deserta… soltanto un lieve odore di tabacco aleggiava ancora nell’aria: la pipa del comandante era infatti poggiata su di un tavolo posto accanto ai comandi, ma la brace, evidentemente spenta da tempo, aveva formato un piccolo grumo di polvere vicino alla bocca del fornelletto.
<Pierre… Thomas… Daniel!>
Norman, mentre i morsi della paura iniziavano a raggiungerlo, provò nuovamente a chiamare gli amici a lui più cari dell’intero equipaggio.
<Dove siete?> chiese poi <Volete forse giocarmi un brutto scherzo? Uscite fuori, vi prego… Se volevate spaventarmi, ci siete riusciti!>
SILENZIO…
<Comandante Lewis…? Tenente Finch… Signore?>
NULLA…
Norman ridiscese la scaletta e si avviò verso dove il nostromo montava sempre la sua amaca. Sostenuta da due grossi cavi – la stazza del nostromo era notevole! – l’amaca pendeva serena, priva anche della più lieve oscillazione.
In preda ormai ad una cupa frenesia, Norman salì e ridiscese tutte le scalette di cui la caravella disponeva e visitò, una dopo l’altra e più volte, tutte le cabine di cui era dotata.
Esaminò i locali cucina, i boccaporti, i ripostigli, le sentine, ma trovò soltanto strati di polvere dove non avrebbero dovuto esserci e ragnatele, troppo spesse per essere recenti.
Quando infine tornò sul ponte, un nodo stringeva la gola di Norman e faticava a trattenere le lacrime.
Poi guardò verso il cielo e, con raccapriccio, dovette rendersi conto che la pesante livida nuvolaglia, che aveva veduto al suo risveglio, era rimasta sospesa, immobile ed identica a com’era in precedenza.
Il tempo pareva essersi dunque fermato…
Come per appurare quella nuova, sconvolgente realtà, Norman si affacciò di nuovo nella cabina di comando dove sapeva che figurava un grande orologio: prive di moto, le lancette indicavano un – non immaginava quanto antico – numero “3”.
A riprova di ciò, affrontò di corsa il lungo ponte e scese nella cabina del comandante – sancta sanctorum sino ad allora a lui proibita – e controllò i preziosi orologi che, gli avevano riferito, il comandante possedeva.
Oltre ad una elegante pendola, v’erano infatti altri orologi da tavolo di pregiata fattura: tutti erano ineluttabilmente fermi ed indicavano il numero “3”.
“Di giorno o di notte?” si chiese incongruentemente Norman, come se ciò potesse possedere una qualche valenza.
Norman allora, nutrendo ancora però una sorta di timidezza e di timore reverenziale, raggiunse il capiente e soffice letto del comandante e vi si sdraiò, lasciandosi andare per qualche istante ad un quieto piacere… una straniante serenità.
Forse si assopì… forse sognò, ma al suo risveglio quel silenzio e quell’assenza totali di ogni movimento permanevano.
La scura nuvolaglia non era avanzata di un solo passo, le vele nere e lo scafo nero non riflettevano alcuna luce, e corrusca era l’aria tutt’attorno.
“Cosa mai è accaduto? Dove sono finiti tutti?” si chiese Norman, ma da quel suo interrogativo era scomparsa la paura ed a lei era invece subentrata un’accettazione serena.
“Erano tutti… morti? O era invece lui a non appartenere più al mondo dei vivi?”
Non v’era però alcun dolore in lui e quella nave si ravvisava comunque come un porto certo e sicuro… e lui ne costituiva l’unico proprietario ed occupante.
Norman, fischiettando, decise allora di salire in coffa, rapido ed agile – ma, da giovane mozzo, non lo era in fondo sempre stato, vivo o morto che fosse? – si arrampicò sull’albero maestro, così da poterla raggiungere.
Da lì lo spettacolo era stupefacente: mare a perdita d’occhio ad infondere una grande pace e, da quella visuale privilegiata, poté anche accorgersi che alcuni raggi di sole si stendevano, come fili d’oro, sulla sommità della distesa di nuvole.
Poi guardò giù, verso i ponti e le battagliole sotto di lui: rese ancor più incerte dalla distanza e dai toni di chiaroscuro che regalava quell’aria corrusca, per un brevissimo istante, figure evanescenti presero d’improvviso corpo. Tutti, sollevando il volto verso di lui, gli sorrisero e, coralmente, alzarono poi il braccio destro in un gesto di caloroso saluto.
Norman rispose a quel sorriso ed a quel saluto, poi tornò a guardare verso il mare: suo infinito cammino per tutti i giorni a venire.
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Le vele erano nere, lo scafo nero, il cielo nero, foriero di tempesta.