Ventuno, fu la prima parola che udì dal Creatore. Sono la ventunesima creatura del suo laboratorio, appartengo alla razza degli Esseri di Luce chiamata Allaghen. Sono capace di trasmutare il mio stato di energia in quello di materia, sovvertendo la legge fisica del vostro mondo. In tutti gli universi conosciuti, solo il Creatore è capace di generare un Essere di Luce in provetta. L’unica vita che conoscevo era catturare le particelle nel regno subatomico della fisica eseguendo i suoi ordini. Quando un Allaghen è luce, percepisce il mondo grazie all’intelligenza quantistica, si tratta di uno sciame di particelle fotoniche con una viva coscienza. Perciò posso afferrare e portare al Creatore ogni sorta di particella mi mandi a cercare. Gli Allaghen che nascono selvatici, attraversano i mondi vivendo da nomadi, in una piega dello spettro luminoso che i vostri occhi non scorgono. Perciò non vi siete mai accorti della loro presenza, nonostante vi siano stati accanto sin da quando è cominciata la storia della vostra specie. Eppure avete percepito la loro esistenza, qualche volta. Sapete tutte quelle storie di fantasmi, case infestate? Sono nate dai casuali incontri fra loro e voi. Usano interagire buttando all’aria l’interno di vecchie case abbandonate per ribadire che quello spazio è occupato. Ma non sono maligni. Serve loro solo un posto tranquillo dove riposare prima di riprendere il viaggio.
Quando sono corporeo, sembro umano, anche se sono meno massiccio, ho capelli neri e fluenti, che il Creatore mi tiene sempre in ordine, tagliandoli quando scendono oltre la nuca. Non ho mai visto un altro mio simile, ma credo ci somigliamo un po’ tutti, sia che nasciamo in provetta che in modo naturale.
All’epoca di questo racconto, non avevo idea di cosa fosse un Allaghen Selvatico. Tutto quello che conoscevo sulla mia razza, me lo aveva insegnato il Creatore, sin da quando venni al mondo. Nasco, come tutti gli Allaghen, selvatici o di laboratorio, con una specie di memoria insita in me, sotto forma di energia inespressa. Per uno strano e sconosciuto motivo, in me questa memoria se ne rimase sepolta chissà dove nel cervello, in attesa dell’ evento che la scosse facendola fluire nel mio sangue. Sino a quel momento ciò che sapevo di un Allaghen Selvatico era che si trattava di un nomade che viveva di furti ed espedienti spiacevoli, sporco e con una scarsa cultura.
Ricordo quand’ero una larva. Sensazioni piacevoli nel torpore del liquido vitale. Vedevo le mani del Creatore muoversi sulla superficie, la loro aura scuoteva l’acqua amniotica, causando soffici onde. Ogni tanto mi prendeva con delicatezza, portandomi appena sotto lo specchio della superficie, con un dito mi carezzava , poi mi rilasciava nuotare libero. Appena percepivo la sua aurea, serpeggiavo verso i bordi della vasca, cercando il loro contatto . Un giorno la coda si riassorbì quasi all’improvviso nel mio corpo, da quel momento, nell’arco di poco tempo, mi ritrovai come sono ora. Così terminò la mia infanzia. Il Creatore mi diceva che gli umani guardano la realtà attraverso le immagini e i suoni. Io osservo la luce delle cose. Ogni essere animato e non, emette luce o, come dite voi, radioattività. Percepisco le onde di luce scaturite dagli oggetti e dai viventi. Così capita che riesca a vedere cose lontane anche centinaia di chilometri da me. Sono solito chiamare queste onde ‘aura’.
Il Creatore pregava nella notte prima del Settimo Giorno, in perfetta solitudine. L’aurea attorno a lui si fletteva in modo vistoso creando varchi di luce. È stato meraviglioso inserirsi in quei varchi e lasciarsi andare sulla sua voce, crogiolandomi in quel canto. Doveva difendere questa terra da forze contrarie. E tutto gli concedevo di me, perché il suo compito potesse completarsi. Ma evitavo di farmi scoprire, perché, provavo timore di suscitare una sua reazione ostile.
In quel tempo vivevo, allora come oggi, all’interno del Castello di Viborg, in Danimarca, con colui il quale mi diede la vita. Non ho dimestichezza con il vostro calendario, poiché nel Castello si usano un tempo e una lingua diversi, però ho imparato il Danese e leggo i giornali, ricordo quindi che l’anno in cui si svolsero i fatti, era il 2009. Un anno facile da tenere a mente perché venti anni esatti prima del 2009, il vostro mondo e le vostre nazioni, sono stati attaccati da terrificanti alieni che vi hanno flagellato per mesi, sino a quando, lui e la sua famiglia, non decisero d’intervenire. Prima di allora, gli umani non sapevano della sua esistenza né del suo Castello all’interno della Danimarca. Non so il motivo di questo segreto, non me lo ha mai detto. Il Castello esiste già da molto tempo prima che la Danimarca venisse abitata. Il Creatore è molto più antico di qualsiasi umano sulla faccia della terra. Nessuno di voi ha mai vissuto almeno un millesimo della sua età. Anche i suoi soldati e i servi hanno una vita molto più lunga della vostra, ma non si avvicinano neppure ai suoi anni. Ecco perché nel Castello il tempo viene calcolato in modo diverso. Gli invasori spaziali furono cacciati ma allora, come oggi, se ne rimasero in agguato in qualche nascondiglio dell’orbita lunare.
Passeggiavo spesso insieme al Creatore e, una volta, lungo la sponda lago di Viborg, mi accorsi di un cane semisepolto nella fanghiglia di una palude. Il suo corpo era ridotto a un contenitore vuoto. Mentre il Creatore era distratto, andai a vedere quel cane dalla pelliccia nera ormai privo della sua aura. Solo quando sono allo stato di luce, l’idrogeno dell’acqua può causarmi problemi. Ma io ho paura lo stesso del Lago. Rimasi quindi sul limite dell’asciutto.
“Perché è morto?” chiesi al Creatore. Non mi diede retta, stava parlando con un suo capitano. Dovevo arrangiarmi da solo e cercare io la causa della morte di quel cane. Il Creatore cercava sempre qualcosa. Poi mi richiamò con voce di ferro: “Ventuno, torna subito qui, non toccare quella bestia!” Obbedii. Quando la sua voce ha quel tono è meglio non rispondere. Un cane morto, non è proprio una strana storia, penserete. Ma dite così perché non avete vissuto quanto io stavo per vivere .
Certe volte l’aura del Creatore era molto calda, stargli troppo vicino significava farsi male. E quando quell’insetto della mia mente ronzava nel modo più rumoroso, m’induceva nel pensare che fosse il Creatore stesso a provocare dolore. Mi faceva paura questa mia credenza. Nel volo inquieto di quei pensieri, lo vedevo come un predone che si agitava sotto la superficie dell’acqua, cercando la sua vittima fra le creature degli abissi. In quei momento cercavo di allontanare le mie idee, in qualunque modo. Una volta presi a correre in palestra per tutto il giorno sino a notte fonda. Al contrario di quanto ci si aspettasse, il Creatore non parve preoccupato, anzi. Mi sorrise, asciugandomi il sudore. Non disse nulla, non mi chiese il motivo della mia folle giornata. Sembrava compiaciuto e non osai parlargli di quei miei pensieri su di lui. Da quando venni al mondo obbedii sempre alla sua volontà. Tutta la realtà che conoscevo era il Castello, Viborg e l’ Anello, così chiamavo il tunnel dell’Acceleratore di Particelle, sepolto sotto mille metri di roccia.
Il suo diametro tocca le sponde opposte dello Jutland, un gioiello che il Creatore infilò al dito posato sull’Oceano della Danimarca.
Compii con successo un altro esercizio nell’Anello e il Creatore decise di premiarmi. Passeggiammo insieme tutta la mattina. Il cane morto che trovai lo scorso giorno, giaceva ancora lì. Andai a controllare il suo stato.
Udii la sua voce tuonare “Ventuno!” Mi ritirai subito, tralasciando ancora una volta le mie considerazioni su quel cadavere.
Un’aura potente è bianca. Il Bianco è la luce madre, matrice delle altre luci. L’aura del Creatore talora era bianca. Dentro quel bianco giaceva un nucleo oscuro dal quale nessun segreto fuggiva. Vi erano delle volte che in me montava la voglia di stargli lontano, ma cercavo sempre di reprimere quell’inconcepibile istinto, degno di un animale selvatico e non di una creatura erudita.
“Cosa c’è che t’interessa nella morte di quella bestia?” disse, con un tono interessato.
Non sapevo cosa stesse pensando, la sua aura era troppo densa perché le sfuggisse qualche raggio d’emozione. L’insetto in me cessò di svolazzare.
La notte fu piena di incubi orribili. Il corpo del cane era stato accerchiato da strane entità che banchettavano succhiando la sua energia residua, aprendo le carni marce. La loro aura era di un rossastro pallido, con riflessi di piombo trasmettevano impulsi lunghi, ripetitivi, alternati a battiti metallici. Il cane era ridotto a un sacco di pelliccia, sembrava che avessero liquefatto persino le ossa durante la suzione. I suoi occhi però erano ancora vivi e mi parlarono: “Un vestito sulla stampella. Un’eterna prigione. Libera questo prigioniero dal suo sarto.”
Provai un’ansia mai sentita prima, come un dolore intenso allo stomaco. Entrò il Creatore a svegliarmi, per condurmi verso l’Anello e mi trovò in piedi, sudato. Anche allora, la mia strana reazione non lo colpì. Prese l’asciugamano dal bagno e mi pulì. Le sue mani erano roventi, sentivo in lui un motivo profondo, ma non riuscivo a decifrarlo. Non volevo allontanare la sua pelle dal mio corpo con i miei assurdi pensieri. In quel momento il suo tocco era il mio mondo, la fonte di ogni mia percezione.
Mentre mi preparavo per l’esercizio, gli chiesi : “Se una cosa non esiste, tu la crei, vero?”
“Se è una cosa necessaria, sì, la creo. Adesso piantiamola di parlare, abbiamo un compito.”
Mi sparse sul corpo la crema di protezione: “Odio questa cosa, mi fa sentire un pesce imburrato!” dissi.
“Ti protegge quando effettui il passaggio di stato energia-materia.” Rispose Appena finì con la lozione: “Ora basta parlare di sciocchezze, concentrati sull’esercitazione.” Mi fece.
Il Creatore dava vita ai morti, sapeva il corso delle stelle. La sua parola era tutta la mia realtà. In lui trovavo riparo dagli incubi della notte. Ma la sofferenza dopo quel sogno non smise di tormentarmi, neppure dopo aver sentito le sue mani su di me. La cosa mi turbò, mentre la mosca nella mia testa svolazzava in una danza dal significato oscuro . Neppure al momento del mio ‘sgancio’ nel tunnel d’accelerazione, quel sogno mi lasciò in pace. Fu difficile controllare i miei atomi durante il passaggio da corpo a energia. Dopo l’esercizio il Creatore mi visitò, perché sui parametri di trasformazione sembrai indebolito. Il suo volto mi fissava negli occhi. La sua aura era forte, mi scavava dentro, era un’onda di luce dura. In qualche modo intuì che stavo vivendo qualche cosa di diverso dal solito, ma non mi fece parola dei suoi sospetti.
Non mi ero mai allontanato senza permesso dalla mia stanza. Ma quella mosca nei miei pensieri divenne insopportabile con il suo ronzare. Nell’insulso strepitio di quell’insetto percepii l’aura del cane. Mi stupii perché non era morta e anzi, mi lanciò un messaggio: “Cercami”. Ma per esaudire il suo desiderio dovevo violare una legge del Creatore, cioè uscire dalla mia stanza senza permesso. La curiosità però era quasi incontrollabile. Cercai di resistere, ma avevo i crampi allo stomaco per la smania. Zeppo di dubbi sulla mia sanità mentale, infransi la sua legge e seguii l’aura del cane. Era dapprima una traccia molto lieve, appena fuori la mia stanza. Ma via, via, che la seguivo, l’eco di quelle flebili pulsazioni, diventava quello di colpi sempre più intensi. Tanto più mi avvicinavo al Laboratorio, quanto più quei colpi divenivano urti stridenti. Il Laboratorio era aperto, il Creatore doveva essersi allontanato per qualche imprevisto. Avrei dovuto aspettarlo, ma in quel momento un’irrefrenabile voglia mi condusse verso la parte più interna del locale, una zona proibita a chiunque non fosse il Creatore stesso. Percepii una specie di gorgo di luce nera, capace di risucchiare ogni sensazione. Dovevo oltrepassare quelle tenebre e avanzare nella sala proibita. Disorientato da quel turbine scuro, seguii la fioca luminescenza delle mura. Mi trovai innanzi una fila di cilindri, non più alti di me, che si spingeva sino nelle viscere di una caverna segreta, oltre un’apertura delle pareti. Avanzai di qualche passo, verso uno di questi oggetti. C’era del liquido verdognolo e qualcosa che vi galleggiava. Sobbalzai quando vidi un corpo simile al mio, sommerso in quel liquame. Le sua pelle era levigata e gli arti sembravano molli, senz’ossa. Sembra fatto di lattice. Osservai all’interno di altro cilindri: vi erano corpi, alcuni completi, anche se inespressivi e coperti da un’epidermide grassa e trasudante. Ad altri mancavano alcune parti anatomiche, come arti, occhi, certi di loro erano senza volto. Il raccapriccio mi accapponò la pelle. Mi vennero alla mente le parole del cane nel sogno: “Un vestito su una stampella. Un’eterna prigionia.” Indietreggiai ansimando.
Vestiti senza nulla dentro, mi chiesi a cosa sarebbero potuti servire. Erano vivi, morti o cos’altro?
Il corridoio sarà stato lungo almeno un centinaio di metri e decine erano i cilindri stoccati, sui quali erano riportati la data dell’inseminazione del liquido, il progetto genetico. Mi trovavo nel mistero più inviolabile del Creatore. Non so cosa mi sarebbe potuto accadere se mi avesse colto lì dentro. Ora non c’era più una mosca nella mia mente, ma uno strano silenzio. Le mosche talora muoiono schiacciate dalla tremenda umidità di un uragano all’orizzonte. Raccolti in un punto più appartato, giacevano i cilindri con i corpi più perfezionati, ma dall’aspetto ancora gommoso e viscido. Mi accostai a uno di questi, recava la scritta: “Modello Base, Ventuno X”. Gli occhi del volto oleoso si schiusero, lasciando intravedere una sguardo umido, incolore. Levò una mano verso di me. Nella mia mente esplosero le parole del cane: “Libera il prigioniero dal sarto” . Era come se quell’essere mi avesse infettato con la sua esistenza. I germi del suo corpo flaccido penetrarono in me inserendosi in ogni mio ricordo, sin da quando nuotavo fra le mani del Creatore
“Smettila, smettila!” gridai “Cos’è che vuoi da me?” gli urlai, disperato.
Mi parlò, ma udii la sua voce nella parte più nascosta dei miei pensieri, perché le sue labbra erano quasi fuse, incapaci di creare parole: “Un vestito su una stampella, è questo il tuo mondo.” Sentii
Un tuono greve mi scosse sin le viscere: “Benvenuto, ma non ricordo di averti invitato.” Era il Creatore.
Mi voltai verso la porta, atterrito. La sua figura sovrastava i cilindri, imperturbabile, mostruosa. Cercai di essere fuori dal raggio delle sue mani. Sentivo il mio cuore lanciato in una corsa perversa. Chi era veramente colui che mi ha dato la vita? Perché aveva plasmato un luogo di dolore simile? Nella mia mente infettata ormai tutto era fuori controllo. Così quello strano insetto che morì prima della tempesta, ora sembrò risorgere in un essere alato, potente, capace di coprire quelli che prima erano interi deserti di idee, domande irrisolte, incubi. Ero attratto da quello che si animava nella mia mente, ma al tempo stesso terrorizzato da quanto sarebbe potuto emergere in quegli spasmi.
“Cos’è Ventuno X?” balbettai, cercando di affogare la mia paura.
“È un Allaghen selvatico” Rispose il Creatore “O almeno, è il bozzolo che lo ospita . Non credo ci si trovi bene, ma è l’unica cosa adatta per contenerlo.” Rispose. Ma era la sua tetra aria di compiacimento a rendermi ancor più inquieto. Perché era tanto soddisfatto di vedermi lì?
“Questo corpo è come il mio…?” farfugliavo, deglutendo con terrore.
La sua bocca stirò un tremendo sorriso: “Una piccola larva nata in laboratorio, sta diventato un perfetto esemplare adulto e molto più selvatico di quanto mai, nessuno prima di me, si era solo sognato di poter creare.” Avanzò una mano sulla mia fronte, cercai di scansarmi, ma non mi colpì. Mi carezzò solo la frangia sulla fronte e continuò: “Non è ‘come’ il tuo. Questo corpo è il tuo. Si tratta di un clone. Non è perfetto, ma dopo di te mi è stato molto difficile creare un soggetto migliore. Uso la tua struttura genetica perfetta, per agganciare un Selvatico quando è allo stato di energia.”
Ero devastato da un dolore che non avevo mai sentito prima: “Agganciare un Selvatico? Cosa significa?”
“Voglio creare un Allaghen identico a un esemplare naturale, Ventuno. Ma tu sei l’espressione del massimo che la mia scienza può raggiungere. Sei perfetto. Nessuno prima di me è riuscito a fare tanto. Non è stato facile crearti. Non sei venuto al primo colpo. I corpi si sfaldavano una volta fuori dall’acqua di coltura o erano così imperfetti che ogni tuo attimo di vita sarebbe stata un’agonia. Tu sei il risultato di anni di ricerca e tentativi.”
“Questi corpi, sono stati i tuoi tentativi?”
“Alcuni sì. Questi che vedi con la sigla Ventuno X sono i tuoi cloni, esperimenti per catturare i Selvatici. Questo prototipo, per esempio, è il decimo. È cieco fuori dalla sua acqua, non ha un nervo ottico capace di sopportare la luce che si propaga nell’aria. E ha difficoltà di coagulazione, quindi una volta ferito potrebbe morire dissanguato. Ma sono difetti lievi, se messi a confronto con il loro destino.”
“Ma perché? Perché devi catturare la Luce di un Allaghen Selvatico?” chiesi con orrore.
“Non si fanno prendere allo stato corporeo. Le mie trappole non funzionano. Però se riesco a confondere le loro frequenze fotoniche quando si trovano in questo mondo, mi è facile trascinarli in trappola. Basta inviare la traccia radioattiva da uno di questi corpi, essa si sovrappone a quella selvatica. Durante sua mutazione da luce in materia, l’Allaghen, inserirà la scia falsa nei suoi atomi che distruggerà la memoria del suo antico corpo, trascinandolo in questo. ” Indicò il cilindro.
Sentivo la sofferenza di quello sventurato attraversarmi la mente, mentre nel suo involucro artificiale tentava di sopravvivere a quell’orrenda prigionia.
“Sta soffrendo…”
“Lo so. Ma per ora non posso dargli una sistemazione migliore.” Rispose freddo come la neve.
“Cos’è che vuoi da lui?”
“Quello che chiedo anche a te. Solo che tu mi obbedisci e non fai storie.”
“L’Anello dell’Acceleratore?”
“Sì, ma non è solo per questo che li sto cercando. In queste condizioni il nostro amico non riuscirebbe neppure a uscire dal cilindro, però la sua energia è forte. Verrà immagazzinata nell’arco della sua esistenza.”
“Quanto tempo vivrà conciato così?”
“Posso farlo vivere in eterno se voglio.”
“Un’eternità di dolore?” indietreggiai, terrorizzato. La vita e la realtà concepita attraverso il mio assoluto amore verso il Creatore, mi sembrò adesso solo la finzione di un pessimo regista. Percepii in me uno svuotamento dei sensi. Tutto ciò che mi circondava divenne insapore, estraneo. Ma al contempo da quella fine parve germinare una nuova vita mentale, più densa, più profonda.
“La natura non è materna. Il predatore vince se la preda è debole.” Parlò, con una sinistra soddisfazione insita nella sua voce.
“ Lui è stato la tua preda?” chiesi, impaurito.
Non mi rispose.
Una strana completa consapevolezza mi avvolse. La mente divenne morbida, capace di assorbire tutto quello che captava attraverso l’intuizione. Non ero solo un rapido intercettatore delle particelle subatomiche, un pesce che nuota svelto nell’oceano della fisica quantistica, eseguendo la sua volontà. Compresi ciò che il Creatore cercava in me, sin da quando comparii nella sua vasca. “Energia” disse, guardando il povero Selvatico intrappolato in quel corpo di lattice e grasso. Energia per cosa?
Fu il Creatore a rispondermi, percependo quella domanda nel mio atteggiamento “Abbiamo navi spaziali grandi come città, in orbite remote milioni anni luce e basi sprofondate negli abissi oceanici. Tutto questo ha bisogno di una forma di energia perfetta. Un Allaghen nel suo stadio energetico è una fonte perfetta per le nostre macchine, vista la sua capacità di rigenerazione continua.”
Mi feci coraggio come non mai prima, e gli domandai: “Ma tu hai me, perché devi catturare degli innocenti? Che c’entrano loro con le tue macchine? Usa la mia di energia e crea altri come me, senza danneggiare la vita di chi nasce libero.”
Il Creatore non si piegò ad alcun cenno di emozione e rispose: “ Purtroppo sembra che l’energia dei soggetti nati in laboratorio, come te, non sia compatibile con i motori. Questi ultimi sembrano rigettare la tua luce. Inoltre, ti ho detto, è molto difficile replicare qualcosa che si avvicini alla tua perfezione. Perciò debbo catturare i Selvatici per ottenere una fonte di energia adeguata. ” Per quella stessa tecnologia che ha consentito al Creatore e alla sua famiglia di sconfiggere gli invasori alieni, ora un innocente doveva essere agganciato a una macchina per essere spremuto in eterno.
“Allora io a che ti servo?”
“Sei un pezzo importante in questo Laboratorio. Solo il tuo dna mi fornisce materiale così puro con il quale costruire i corpi trappola.” Disse, con un compiacimento sfociato in una perfida vanità “Mi fornisci ottime risposte sui campi quantistici, grazie alla tua devozione. Non ho avuto bisogno di durezza nel tuo addestramento. Sei stato obbediente e fiducioso. Ma adesso che la tua emotività, come previdi al momento della tua creazione, ha rotto gli argini, non mi sarai più utile nell’Anello, perché dovrò costringerti a eseguire il mio volere. Pazienza. Dovevo portarti a questo punto. Presto i tuoi ormoni, grazie a quello che stai provando, scaricheranno energia nel sangue e con essa la scia delle mie trappole sarà perfetta, indistinguibile da quella dei Selvatici. Produrrai molto anche sotto costrizione. Il tuo dna è troppo prezioso, ti farò correre ancora per un po’ nell’Anello, ma poi dovrai rimanere qui dentro per il resto della tua esistenza.”
Il ribrezzo mi avviluppò. Sarei stato confinato per sempre in quella grotta, fra il puzzo di disinfettante e carne macellata. Dovevo rifornire il Creatore di dna per costruire le sue maledette trappole, come quella prigione di carne in cui era rinchiuso lo sventurato Selvatico. Nulla in me era rimasto intatto. Quel non mi apparteneva. Le sue assurde richieste divennero l’ombra di quello che ero.
Una nuova consapevolezza della mia esistenza mi scosse le viscere della mente. Era quella che, all’inizio del mio racconto, vi descrissi come una ‘memoria’ recondita nel mio sangue. L’istinto di fuggire quando la sagoma del Creatore si avvicinava al mio corpo ora aveva una sua spiegazione. Non era l’unico cacciatore di luce nell’universo, ma era uno dei più esperti e feroci. Vidi la sua aura divorare la luce di Allaghen, allo stesso modo di un pesce cane che addenta la sua preda. Da quanto tempo il Creatore cacciava la nostra luce? La sua tecnologia richiedeva sempre più energia, e nulla sembrò placare la fame delle sue macchine. Provò con ogni forma possibile di propellente, ma persino il sole si stancò delle sue richieste. Solo un Allaghen poteva replicare le tempeste nucleari di una stella. Bastava chiudere la sua luce in un corpo a lui estraneo, per attaccargli un cavo e succhiare la sua energia. Una piccola stella chiusa in una cella di carne, capace di generare energia per sempre e sotto comando, era molto più economica e sicura delle reazioni nucleari selvagge scaturite dai tremendi impatti della materia con l’antimateria. In caso di pericolo poi sarebbe bastato addormentare l’Allaghen. Il Creatore voleva usare la mia razza come benzina per la sua civiltà. Vidi all’improvviso stormi di piccoli impulsi azzurri che migravano attraverso i mondi. Erano le luci dei miei simili. Mi arroventò il desiderio di essere fra loro e partire verso il più profondo dei cieli segreti, lontano dal Creatore, dalla sua scienza assurda e crudele. Quell’anelito rimane oggi il mio più grande spasmo. Attraverso gli occhi del prigioniero nel cilindro, avevo riconosciuto la mia identità. La mia consapevolezza è la causa della mia nuova energia, il Creatore non aspettava altro che acquistassi coscienza di me stesso per usare questa forza.
Non ho più nulla da fare qui. Sento i suoi passi che attraversano il corridoio. Mi basta poco, solo un attimo di distrazione sua e delle guardie, per fuggire da qui. Per la maggior parte del tempo sono legato alle caviglie con due anelli, che mi vengono tolti solo quando mi fa andare nel ‘recinto’, un pezzo di prato cinto da quattro enormi mura. Non usciamo più insieme. Sono sempre scalzo, tanto le scarpe non servono a chi rimane sempre nella sua stanza. Quando esco per le esercitazioni sono incatenato a lui. Sa che mi basta davvero poco per dileguarmi. Mi dibatto ogni volta che mi lega per portarmi nell’Anello. Non voglio regalargli nulla di me. Non si prenderà più nulla in modo gratuito. Lotterò e cercherò di fargli male. Ma più scalcio, più mi divincolo, più i suoi occhi si gonfiano di soddisfazione. Dice che sono sempre più simile a un Allaghen Selvatico, e questo lo riempie di fierezza. Il mio dna ha conosciuto una mutazione profonda dalla notte che entrai nel Laboratorio. Ora, è tale e quale a quello dei Selvatici. Le sue trappole saranno così invincibili, e molti altri cadranno in quelle prigioni di carne.
“Se non esegui gli ordini nell’Anello, qualcun altro soffrirà molto.” Mi disse bloccandomi per i polsi.
Divenni docile, ascoltate quelle parole.
“Bravo, hai capito, quel tipo dentro il clone patirà dolori infernali per la tua intemperanza.” Sorrise “Perciò, anche se solo fiati senza un mio ordine, quel disgraziato proverà una sofferenza inaudita.” Dunque se mi fossi allontanato con la fuga, qualcuno ne avrebbe pagato le conseguenze. “Fa male provare emozioni, vero, ragazzino?” mi disse, con un tono compiaciuto “Era meglio prima, quando non vedevi nulla oltre te stesso, me e queste quattro mura, non è così?”
“Sì, sì!” piansi.
Aveva programmato tutto. Parlandomi della razza umana, di come siamo diversi, dicendomi delle meduse e gli zombie…la mia istruzione, tutta la mia vita era carburante che si accumulava in me per una scarica finale. Quell’insetto molesto nella mia mente stava accumulando in me le forze che mi avrebbero condotto in questo nuovo stato mentale. Sapeva che quella passeggiata sul Lago, la visione del cane mi avrebbe condotto a questo. Sono una sua creatura, conosce ogni cosa di me, anche quello che io stesso non comprendo. Doveva provocarmi la scarica delle emozioni che mi avrebbe acceso la mente, rendendola com’è adesso, capace di inondarmi il sangue di energia. Pensai queste cose, mentre cedetti alle sue mani e mi feci cospargere la lozione. Da quel momento non gli opposi più alcuna resistenza. Ero una sua creatura, e null’altro. Oggi fa di me quello che si sente di fare. Non provo più alcun desiderio, nulla, come se quella vampata iniziale si fosse spenta. Mi sento solo colpevole di esistere. Mi basta poco. Afferrare la pistola di un soldato in un momento di sua debolezza, e spararmi alla testa.