Secondo una leggenda senza fondamento storico si dice che Giovanna D’Arco, durante un temporale, si fosse rifugiata sotto una enorme albero, dove avrebbe incontrato le Norne o Parche che le avrebbero mostrato il proprio destino. Le voci che essa sentiva, secondo quanto si narra in questo racconto tradizionale, pare fossero in realtà proprio i suggerimenti di queste divinità che vivevano sotto l’albero cosmico o Yggdrasil. Secondo Antony S. Mercatante esso è: “Yggdrasil, il cavallo del terribile, oppure, il destriero di Odino, nella mitologia nordica, il grande albero di frassino cosmico, conosciuto anche come l’albero del mondo”. L’Edda di Snorri lo descrive come “il più grande e il migliore degli alberi. Suoi rami, estesi su tutto il mondo, s’innalzano oltre il cielo. Ha tre radici molto grandi. Una si estende fino agli Asi …, un’altra fino ai Giganti del Ghiaccio dove prima c’era Ginnugagap (l’abisso primordiale), la terza poggia su Niflheimr (la terra delle brume fredde e oscure), e sotto la sua radice, costantemente rosicchiata da Nidhogg (il drago), c’è Hvergelmir”.
In cima all’Yggdrasill c’è un’aquila appollaiata. In mezzo agli occhi dell’uccello c’è un falco, Verdurfolnir. Uno scoiattolo chiamato Ratatosk corre su e giù per l’Yggdrasill, cercando di far litigare l’aquila e Nidhogg. Quattro cervi passano da un ramo all’altro mangiando i suoi germogli. Le Norne siedono sotto la fonte Urdar, situata alla terza radice dell’albero.
Laura Rangoni dice a proposito di questa leggenda: “Ecco alcuni stralci dell’interrogatorio che mi pare siano particolarmente indicativi: vicino a Dorèmy c’è un albero, lo chiamano l’albero delle Dame oppure, talvolta, l’albero delle Fate. Lì nei pressi c’è una sorgente. Ho sentito dire che gli ammalati vanno a bere l’acqua di quella sorgente per riacquistare la salute. Qualche volta sono andata con altre ragazze a fare delle ghirlande di foglie per adornare la statua di Nostra Signora di Dorèmy. I vecchi raccontano che le fate venivano a chiacchierare vicino all’albero. Ho sentito la Jeanne Aubry, che era la moglie del podestà e mia madrina, raccontare a me che vi sto parlando, di aver veduto le fate in quel posto. Ma io non so se questo sia vero. Ho visto delle ragazze al mio paese posare ghirlande di fiori sui rami dell’albero e, quindi, qualche volta l’ho fatto anch’io con loro; certi giorni ce li portavamo via con noi, altre volte le lasciavamo là”.
La leggenda relativa a Giovanna D’Arco e le Norne sembra riecheggiare una narrazione orale abruzzese tramandata per generazioni e generazioni all’interno di una cerchia familiare, dove si riprende la leggenda delle fate della Majella, e secondo tale racconto, pare che, un loro componente, abbia incontrato le fate superstite. Secondo quando dice la leggenda non tutte le fate rimasero intrappolate all’interno della grotta del Cavallone, ma alcune di esse fuggirono e si rifugiarono all’ombra di un grande albero che si trovava nella zona di Roccascalegna, proprio di fronte all’ingresso murato dell’antro. Un giorno d’estate una donna di nome Anna Vittoria, andò a lavorare vicino a questo albero magico. Ella era intenta nel lavoro dei campi quando vide delle ragazze discinte danzare intorno alla pianta. Anna le si avvicinò, ed esse le dissero di seguirla ma la contadina si rifiutò categoricamente e… queste, dopo averla schiaffeggiata le chiesero se aveva un desiderio da realizzare, la donna chiese di poter fare tutto ciò che le aggradava e così… da quel giorno la donna ebbe in dono una forza spropositata. Ella, infatti, con la sola forza del pensiero trasportò una macina per la spremitura delle olive notevolmente pesante dalla roccia del castello di Roccascalegna dove fu prelevata fino al luogo dove ha operato per molti anni e dove oggi si può ancora ammirarla. La donna sottoposta al sortilegio la notte, munita di un fucile e con l’ausilio di uno sparuto gruppo di uomini, girava per le stradine del paese e dei boschi limitrofi per cercare malefiche creature della notte: le streghe nemiche giurate delle fate oppure le fate stesse?! Il racconto, purtroppo non ce lo dice!
Era un Venerdì Santo, quando la donna intenta a zappare in compagnia del padre iniziò a schernirlo per la sua lentezza e questi, in preda all’ira, le tirò in testa il manico della zappa. Anna Vittoria cadde a terra tramortita e il padre continuò a lavorare nei campi senza preoccuparsi della sorte della sventurata!
Di lì a poco arrivò la madre che vide la figlia priva di sensi appoggiata a un pozzo, chiese spiegazioni al marito il quale le chiarì la dinamica dell’accaduto e la madre in preda al panico, per la presunta morte della figlia, si mise a urlare!
Le grida del genitore richiamarono un gruppo di fedeli e il parroco che stava officiando una funzione religiosa nelle vicinanze, questi si precipitarono sul luogo dell’accaduto e il prete iniziò a darle l’estrema unzione, pensandola morta; questa, però, raggiunta da una goccia di acqua santa, si risvegliò improvvisamente e iniziò a rimettere alcune ciocche di capelli biondi e da quel momento la donna tornò ad avere un comportamento normale per i canoni dell’epoca!
Molte persone che hanno conosciuto questa donna, realmente vissuta a cavallo tra Otto e Novecento, parlano di lei come di una virago che in diverse occasioni è stata in grado di salvare la vita ai suoi cari; si dice che una volta la famiglia di Anna era a digiuno da diversi giorni perché una forte nevicata seguita da una altrettanto rigida gelata aveva fatto ghiacciare tutto, impedendo di raccogliere i frutti di Madre Terra.
La donna in preda allo sconforto uscì di casa e rientrò poco dopo con delle verdure miracolosamente salvatesi dalla forte gelata! (1)
Sempre legata alla figura di Santa Giovanna D’Arco c’è una leggenda riportata dal famoso scrittore di favole Perrault, che narrò, nel lontano 1600, una storia alquanto singolare, di un uomo con una barba blu che lo rendeva la persona più orribile del creato. Questo nobile, sposava le donne per poi ammazzarle, finché una delle sue mogli non scoprì il suo tragico e crudele “gioco”, mettendo, così fine a tutto compreso la vita dello stesso.
Questo uomo, soprannominato Barbablù, era di una crudeltà inaudita, poiché si divertiva a fare scempio del corpo delle sue compagne, nascondendoli, poi, in uno stanzino, che teneva sempre chiuso, finché per un tragico e strano gioco del destino questo fu aperto, rivelandosi in tutto il suo orrore. La donna, che lo aprì, dapprima spaventata, poi disgustata e infine furente, chiamò in suo aiuto i fratelli, che la salvarono poco prima di condividere la sorte delle sue antesignane.
Questa fiaba piena di orrore ha, come tutte le leggende, un fondo di verità!! Infatti quest’uomo che sfoggiava una barba blu è stato modellato su un personaggio storico, forse realmente esistito, che rispondeva al nome di Gilles de Rais.
Quest’uomo fu un valoroso e nobile soldato che combatté a fianco di Santa Giovanna d’Arco per molti anni, legando il suo destino a quello della Santa e quando questa fu arrestata, egli cercò in tutti i modi di salvarla, ma non vi riuscì. Quando Giovanna, venne arsa, egli, forse come una forma di reazione, si distaccò dalla Chiesa, abbracciando le teorie e, soprattutto, le pratiche di biechi individui facenti parte di sedicenti sette sataniche.
Gilles de Rais seviziò molti adolescenti, sacrificandoli durante riti diabolici finché non incorse nel braccio secolare della legge che lo condannò come eretico, prima impiccandolo e poi purificandolo con il fuoco di una pira. (2)
Nicoletta Travaglini
Note
(1) http://www.terraincognitaweb.com/lalbero-cosmico-delle-fate/