RITORNO AL PIANETA ROSSO (2000) – PARTE 03
THE CELL – LA CELLULA (The Cell)
Il serial killer Carl (Vincent D’Onofrio) si lascia catturare ed entra in un coma profondo, ma la sua ultima vittima è rimasta prigioniera in un luogo che nessuno conosce, rinchiusa in una trappola mortale a tempo, e solo la mente dell’uomo conosce la risposta, per cui un’agente dell’FBI chiede aiuto alla psicologa Catherine Deane (Jennifer Lopez) che, grazie a una terapia rivoluzionaria può entrare nella mente del malato, vivere le sue esperienze e trovare il nascondiglio della vittima… se sopravviverà…
Sospettosamente simile a Sleepwalker – Il Progetto Sonnambulo del 1997 per la regia di David Nutter, è questa pellicola di Tarsem Singh intitolata The Cell – La Cellula (The Cell), la quale è ovviamente realizzata con maggior dispiegamento di mezzi rispetto a quelli usati dal suo predecessore; e altrettanto sospettosamente simile a un pilot e, in effetti il serial ha tirato le cuoia subito dopo la prime due puntate anche se ne erano state girate già nove, compreso il pilot.
Il regista Tarsem Singh è uno specialista di video musicali e spot pubblicitari, famoso per la cultura pittorica e l’impatto spettacolare. Giustamente celebri quindi il video della canzone Losing my religion dei R.E.M., composto da una serie di “tableaux vivants” che riproducono celebri quadri, e per lo spot della Nike dove i campioni di calcio sfidano una squadra di diavoli. E fu proprio quest’ultimo a convincere Mark Protosevich, sceneggiatore e co-produttore del film, ad affidare la regia a Singh. Con un plot forse non originalissimo ma comunque stimolante, un cast di buon livello e un regista con quelle credenziali, il risultato è senz’altro deludente. Tutto l’aspetto “realistico” del film si risolve in un banale thriller poliziesco, con svolgimenti prevedibili e personaggi bidimensionali. I viaggi di Catherine nella mente del killer mancano di tensione drammatica, dove anche la tecnica dei “tableaux vivants” (con citazioni da opere di Damien Hirst, H. R. Giger, Odd Nerdrum, Hans Bellmer per finire con una Pietà rinascimentale) risulta fredda e senza particolare estro visivo. Tutto il film è incentrato su alcuni temi visivi ripetuti ossessivamente: l’acqua (strumento tanto di redenzione che di morte e tortura), la bambola (tentativo di ritorno all’innocenza infantile, ma anche metafora della violenza sulle donne, ridotte a un’illusoria sottomissione), la pelle (le sofferenze autoinflitte da Carl, le tute indossate durante “i viaggi mentali”, che ricordano un corpo scuoiato).
(3 – continua)