CECILIA SCERBANENCO… MIO PADRE, IL NOIR E IL GIORNALISMO

In un passaggio del bel romanzo “Vita morte e miracoli di Bonfiglio Liborio”, vincitore del Premio Campiello di quest’anno, Remo Rapino fa dire al suo protagonista di aver incontrato, lavorando in fabbrica, un certo Giorgio dal cognome strano, ossia Scerbanenco, che per campare faceva tanti mestieri e che gli raccontava storie poliziesche nelle quali ci scappava sempre il morto. Ovviamente il protagonista del libro di Rapino, sta parlando del maestro del noir italiano Giorgio Scerbanenco, in origine Vladimir Giorgio Scerbanenko, di Kiev, dove era nato nel 1911, figlio di padre ucraino e madre romana. Il papà, che insegnava latino e greco, venne purtroppo fucilato dai rivoluzionari quando il piccolo aveva circa dieci anni. Così con la mamma erano scappati in Italia, prima a Roma e poi a Milano, dove tra mille sacrifici riuscivano a tirare avanti e dove Giorgio lavorava, studiava, scriveva e leggeva moltissimo e negli anni Trenta (anche con il sostegno di Cesare Zavattini che lo stimava) si fece spazio nel mondo dell’editoria. Durante il Secondo Conflitto Mondiale espatriò, come tanti intellettuali, in Svizzera. Tornerà in Italia dopo la guerra dove proseguirà la sua proficua avventura giornalistica, ma anche producendo tanta narrativa compresa quella rosa e quei polizieschi, apprezzati anche all’estero, tanto che nel 1968 vincerà il “Grand prix de littérature policière” come miglior autore straniero con il romanzo “Traditori di tutti”. Mancherà a Milano l’anno dopo. Per illustrare ai nostri lettori personalità, vita e opere del grande scrittore abbiamo chiesto alla figlia Cecilia di riservarci un po’ del suo prezioso tempo. Fondatrice e curatrice dell’archivio del padre, traduttrice e consulente editoriale, Cecilia Scerbanenco, laureata in Filosofia, è nata a Milano e vive nel Friuli – Venezia Giulia.

NEL 2018 HAI PUBBLICATO, PER LA CASA EDITRICE LA NAVE DI TESEO, LA BIOGRAFIA DI TUO PADRE DAL TITOLO “IL FABBRICANTE DI STORIE. VITA DI GIORGIO SCERBANENCO”. QUAL ERA IL TUO INTENTO? HAI AVUTO DIFFICOLTA’? QUALE MATERIALE HAI UTILIZZATO?

Il mio intento nello scrivere “Il fabbricante di storie” era offrire un quadro il più possibile non completo, non definitivo, ma ricco e vero della vita e del lavoro di mio padre. Alla fine ho deciso di usare il suo materiale, e cioè le lettere private e di lavoro, i diari, gli appunti sparsi nelle varie agendine che ci sono rimaste, e soprattutto le risposte che lui ha dato per vent’anni alle lettere delle lettrici di Annabella e di Novella, risposte dove ha raccontato molto di sé, parlando con sincerità di aspetti anche intimi e profondi della sua vita e del suo lavoro. Queste risposte alle lettrici e questa attività di giornalista sono state per me una grande ricchezza, una fonte molto feconda di informazioni per la biografia, e nello stesso tempo una difficoltà perché il materiale è sterminato. Mentre scrivevo avevo sempre il dubbio che mi sfuggisse qualcosa di fondamentale, anche per questo ci ho messo molto tempo a concludere la biografia.

HAI RACCOLTO TESTIMONIANZE DI SCRITTORI, AMICI O PARENTI?

All’inizio avevo pensato di ricorrere soprattutto a testimonianze e interviste, ma poi mi sono resa conto che non c’era obiettività.

COME MAI?

Mio padre era una persona particolare, non facile, con una vita complessa, e quindi non ha trovato molta comprensione. Inoltre ho visto che l’immagine che mi veniva riproposta era quasi sempre la stessa, molto banale, un cocktail vario di genio e sregolatezza, il giallista con un bicchiere di liquore a fianco nella notte, mentre scrive della bonaria malavita milanese. Ma mio padre non era così, era molto più complesso di questo stereotipo, e poi non credo abbia mai scritto della tradizionale malavita milanese. C’è ben poco di bonario o folcloristico nelle sue pagine.

COSA EMERGE DAL VOLUME?

Quello che ne emerge, ed emerge anche dalle pagine delle sue riviste e delle sue cartelline ordinate, è la figura di un grande professionista, di un uomo finalmente saggio, alla soglia dei sessant’anni. Forse non è un caso che io abbia sempre visto mio padre come un giornalista, – e quindi metodico nel suo lavoro – più che come uno scrittore. Questo non vuol dire che non avesse i suoi demoni, che non avesse passato periodi di vita molto complicati. Era un uomo che aveva molto vissuto, che aveva attraversato esperienze molto difficili, come i campi profughi prima da bambino in Russia, e poi di nuovo in Svizzera durante la guerra. Raccontò le sue cicatrici proprio alle sue lettrici su Novella e AnnaBella. Tuttavia, lo Scerbanenco degli ultimi anni aveva secondo me raggiunto un equilibrio, si potrebbe persino dire una serenità, e una nuova passione nel suo lavoro di scrittore, adesso sì, noir, che gli piaceva moltissimo.

TROVI DIFFERENZE TRA LO SCERBANENCO SCRITTORE E IL GIORNALISTA?

Non vedo differenza tra lo scrittore e il giornalista, perché la passione di mio padre era la vita degli altri, e lavorare per grandi femminili come Bella e Novella, (di cui fu direttore) e Grazia e Annabella, in realtà, gli ha sempre permesso di farlo, di scrivere indagando nelle vite altrui e nei loro dolori. Se vogliamo, alla fin fine c’è solo un cambio di etichetta, di finale, che non deve essere più obbligatoriamente “lieto”, come nel rosa. Si tratta sempre di sentimenti, di emozioni umane. Per dire, avidità e indifferenza possono portare alla fine di un amore, ma anche a un delitto, oppure a un delitto che segue alla fine di un amore…

E INVECE DAL PUNTO DI VISTA PIU’ STRETTAMENTE PERSONALE HAI DEI TUOI RICORDI?

Sì, io ho dei ricordi in prima persona molto ben definiti, perché nostro padre fu molto presente nella vita mia e di mia sorella quando eravamo piccole. Ci portava all’asilo, ci portava con lui quando andava in Francia in viaggio per lavoro, controllava come fossimo vestite, era molto presente nella nostra quotidianità, che era una quotidianità molto tranquilla e routinaria. Mio padre ci portava a scuola e poi lavorava in Rizzoli la mattina. Nel pomeriggio lavorava a casa, si dedicava a romanzi e racconti. La sera spesso usciva per motivi professionali, ma, se non usciva, continuava a lavorare. Mia madre, che era anche lei giornalista, era sempre con lui.

A TUO PARERE COSA HA RAPPRESENTATO PER LA NARRATIVA GIALLA O NOIR ITALIANA GIORGIO SCERBANENCO?

Credo che mio padre abbia rappresentato la possibilità di raccontare delle storie noir, non gialle ma proprio noir, completamente ambientate, vissute in Italia, senza debiti, senza trarre ispirazione da storie americane o inglesi; senza compromessi, ma profondamente italiane nelle psicologie dei personaggi e nelle loro vicende. Credo che a metà degli anni ‘60 Scerbanenco abbia mostrato per la prima volta che questo era possibile ed era possibile con una qualità alta di trama e di scrittura. Penso sia questo l’insegnamento più importante che è poi passato ai giovani giallisti degli anni ‘90.

RECENTEMENTE, E’ STATO PUBBLICATO IL ROMANZO INEDITO “LA VALLE DEI BANDITI” (LA NAVE DI TESEO). DA DOVE PROVIENE? E’ POSSIBILE CHE CI SIANO ALTRI MANOSCRITTI?

“La valle dei banditi” fa parte della lunga e travagliata serie dell’archivista Jelling, uno dei romanzi che non riuscirono a vedere la luce a causa della guerra. Proviene da un archivio privato dove è raccolto poco materiale, per lo più degli anni ‘30. Ci sono ancora un paio di cose inedite, che verranno pubblicate da La nave di Teseo. Per il resto, stiamo vagliando altri due archivi privati, ma credo che sarà difficile trovare altri inediti, forse qualche scritto, qualche prova giovanile, o altri titoli andati persi tra il ‘43 e il ‘44. C’è però una produzione sterminata, davvero sterminata, uscita soltanto su rivista.

NEGLI ULTIMI ANNI C’E’ STATO UN VERO E PROPRIO SDOGANAMENTO DELLA NARRATIVA GIALLA E NOIR CHE HA RAGGIUNTO UN NOTEVOLE SUCCESSO DI PUBBLICO. CHE IDEA TI SEI FATTA IN MERITO? COME TE LO SPIEGHI? E COSA POTREBBE PENSARE TUO PADRE?

Naturalmente, penso tutto il bene possibile dello sdoganamento del giallo! Amo molto il genere in letteratura, in tutte le sue forme, lo storico, il sentimentale (o rosa, amo anche il colore rosa!), il noir naturalmente e la fantascienza. Trovo che il genere riesca molto meglio della letteratura cosiddetta mainstream a raccontare le ambiguità e le complessità della nostra epoca. Credo che almeno una parte dei lettori che amano il noir, e la crime fiction in genere, lo amino per questo, per quello che sa dire su di noi, e sul nostro mondo. Se penso ai grandi temi della nostra epoca, il terrorismo, la droga, la malavita organizzata, sono stati proprio gli scrittori e le scrittrici di noir ad affrontarli più in profondità. Forse è stato proprio questo a sdoganare il genere noir, la profondità, l’autorevolezza mostrata. E questo anche quando si tratta di romanzi più intimistici, che raccontano da un punto di vista più personale quanto sia difficile mantenersi in equilibrio tra bene e male. Sono certa che mio padre ne sarebbe molto felice, e sarebbe molto felice del ruolo che tutti questi autori e autrici spesso gli riconoscono.

A LUI SONO INTITOLATE DUE ENCOMIABILI INIZIATIVE CULTURALI: IL PREMIO LETTERARIO SCERBANENCO PER I ROMANZI INEDITI, GIA’ ASSEGNATO A IMPORTANTI SCRITTORI DEL CALIBRO DI SCLAVI, PINKETTS, LUCARELLI, ALTIERI, CACUCCI, GUCCINI E MACCHIAVELLI, CARLOTTO, DE CATALDO, DE GIOVANNI, CARRISI, CAROFIGLIO, SOLO PER CITARNE ALCUNI. E POI C’E’ IL PREMIO BANDITO DAL COMUNE DI LIGNANO SABBIADORO (UDINE), PER ADULTI E RAGAZZI, DEDICATO AI RACCONTI GIALLI. CE LI VUOI ILLUSTRARE?

A mio padre è intitolato il Premio Scerbanenco – Noir in Festival per il romanzo giallo, che si svolge appunto all’interno del “Noir in Festival”, e che premia, ogni dicembre, il miglior romanzo “crime” edito dell’anno. È un compito all’apparenza facile, in realtà difficilissimo, perché quella che possiamo chiamare crime fiction ha assunto talmente tante sfumature, talmente tanti rivoli, che scegliere un migliore assoluto è a volte al limite dell’impossibile. Scerbanenco@Lignano è invece un premio per un racconto inedito che si tiene a Lignano Sabbiadoro, città dove mio padre ha vissuto gli ultimi anni della sua vita e dove, presso la biblioteca, c’è la sala Scerbanenco con i suoi dattiloscritti e le riviste. È pensato soprattutto per i giovani, scrittrici e scrittori non ancora affermati, per offrire loro un punto d’incontro con editor e giurati che già lavorano all’interno del mondo del dell’editoria. Per me, sono entrambe splendide esperienze, sia per le letture, sia per i rapporti umani, sia per le persone che incontro o rincontro ogni anno.

Filippo Radogna