7: GLI ENIGMI CHE NON ESISTONO – PARTE 04
Tutankamon e la sua maledizione
Fin troppo spesso si sfrutta il mistero che aleggia su questa civiltà millenaria per stupire gli spettatori in trasmissioni sensazionalistiche ipotizzando presunti legami degli Egizi con civiltà extraterrestri altrettanto antiche. In più si devono considerare i cosiddetti “esperti millantatori” che hanno di ogni avvenimento un’interpretazione fuori dalle righe, fantasiose e credibili solo per gli sciocchi. In questo contesto si colloca nell’immaginario collettivo uno dei faraoni più noti al grande pubblico: Tutankhamon (chiamato anche Tutenkhamen o Tutenkhamon). La sua fama è dovuta non tanto alle cronache del suo regno, visto che morì molto giovane dopo pochi anni dalla sua investitura, ma al suo ricco corredo funebre che venne rinvenuto in tempi recenti praticamente intatto, diversamente da quanto è avvenuto per la maggior parte dei faraoni più importanti. Non per nulla si è sviluppato un rinnovato interesse per la civiltà egizia proprio in concomitanza con la scoperta della sua tomba: infatti una delle icone più note del mondo egizio è proprio la sua maschera funebre. Grazie a quella scoperta, un re egizio che in vita fu tra i meno stimati è divenuto uno dei più rinomati. Un ritrovamento così importante non poteva far nascere attorno a sé un qualche tipo di leggenda, sempre sull’onda del mistero che il grande pubblico proietta sui reali contenuti della cultura egizia.
Ecco quindi il sorgere del mito della Maledizione del faraone Tutankhamon, che vede la sua origine nella morte improvvisa del quinto conte di Carnarvon, il finanziatore di Howard Carter, l’archeologo che scoprì la tomba del faraone bambino. Ma andiamo con ordine. Innanzitutto, chi fu Tutankhamon?
Recenti scoperte archeologiche (febbraio 2010), svolte anche con l’ausilio di test del DNA su antiche mummie, fanno ritenere che suo padre fosse Akhenaton. Quest’ultimo fu il cosiddetto “faraone eretico”, perché durante il suo regno impose il culto di Aton, una divinità solare di probabile origine semita.
Quella scelta fu di rottura rispetto alla tradizione poiché introduceva un culto monoteista. Ma alla morte di Akhenaton, venne ripristinata la religione del passato, e quel faraone subì la “damnatio memoriae”, ovvero la cancellazione da tutti i documenti ufficiali nonché dalle iscrizioni sui monumenti mediante scalpellatura.
Dopo un periodo di reggenza, divenne faraone il figlio Tutankhamon. Il suo nome, che significa “immagine vivente di Amon”, indicherebbe proprio il ritorno alla tradizione religiosa precedente, visto che Amon era il dio venerato nel tempio di Karnak dalla potente casta sacerdotale tebana, a cui Akhenaton aveva tentato di contrapporre il culto di Aton, poiché maggiormente legato alla figura del faraone.
Tutte queste notizie sulle parentele tra i vari monarchi e le vicende che ne hanno caratterizzato il regno, spesso legate a ritrovamenti e scoperte piuttosto recenti, sono tuttora in evoluzione. Il tempo delle scoperte scientifiche sull’antico Egitto non sono ancora terminate. Comunque Tutankhamon divenne faraone all’incirca a nove anni. A causa della sua tenera età, il ruolo di reggenti e consiglieri fu preponderante e la sua politica ne risultò decisamente influenzata. Anche l’attività edilizia monumentale, una prerogativa dei regnanti, si limitò a riportare all’antico splendore i complessi monumentali di Tebe abbandonati durante il regno di Akhenaton. La sua morte avvenne verso i vent’anni. Visse durante un periodo turbolento della storia egizia, un’età di restaurazione, perciò gli esperti sospettarono che si trattasse di un assassinio politico, “apparentemente” confermato da due autopsie svolte dopo il ritrovamento della mummia nel 1925 e nel 1968. Invece una recente analisi alla TAC (marzo 2005) ha rivelato una frattura a un femore che avrebbe potuto portare a un’infezione tetanica. Alla luce di questa ipotesi, la morte potrebbe anche essere stata causata da una banale caduta. Inoltre ulteriori analisi (febbraio 2010) hanno ipotizzato che il faraone fosse affetto dal morbo di Kohler, anche noto come osteocondrosi, e quindi che la causa della morte sia stata in realtà una necrosi ossea complicata dalla malaria.
Nel futuro ulteriori indagini scientifiche ancora più avanzate potranno permettere la formulazione di altre ipotesi, ma ciò che ci interessa è che Tutankhamon morì in giovane età e subì quell’avanzato processo di imbalsamazione necessario, secondo le credenze dell’epoca, perché il sovrano potesse raggiungere l’aldilà.
Il corpo, o meglio ciò che ne è rimasto dopo la mummificazione, fu quindi riposto nel sarcofago multiplo collocato nella tomba, e là rimase custodito con il suo corredo funebre per quasi 3250 anni. A parte un paio di frettolose visite di ladri, dopo le quali la chiusura venne ripristinata, l’escavazione di nuove sepolture ne ostruì l’apertura, e del faraone e della sua tomba si perse memoria, fino al novembre del 1922.
Howard Carter, il famoso archeologo, praticò un foro nella porta che sigillava la tomba. Dietro di lui, George Herbert, quinto conte di Carnarvon, suo finanziatore, chiese: «Vedi qualcosa?». Carter rispose: «Sì, cose meravigliose!».
Per quanto la tomba non fosse stata in origine progettata per ospitare un faraone, il corredo funebre e il sarcofago multiplo che racchiudeva la mummia, giunti praticamente intatti fino al 1922, possono davvero fregiarsi del titolo di “cose meravigliose” che Howard Carter, secondo le cronache dell’epoca, attribuì loro. La tomba si trova nella famosa “Valle dei Re” dove sono state scoperte, o erano note fin dall’antichità, numerose decine di sepolture di regnanti egizi. Se ne contavano 61 fino al 1922 (tre delle quali in realtà collocate nella “Valle delle Regine”, riservata non ai sovrani, ma ai loro familiari e ai dignitari di corte), poi con la scoperta di quella di Tutankhamon divennero 62, mentre un’altra di cui si sa ancora poco venne scoperta nel 2006. La numerazione delle tombe, iniziata nel 1827, pone la sigla KV come prefisso, che significa “King’s Valley”. All’inizio del XX secolo, in questa valle visitata per scopi “turistici” anche nell’antichità greca e romana, sembrava che non ci fosse più nulla da scoprire, ma non era così.
Carter con un’intensa campagna di ricerca individuò l’ingresso di quella che doveva essere la più grande scoperta archeologica di quel secolo. La sua collocazione ne rese l’individuazione difficoltosa, ma allo stesso tempo ne preservò anche il prezioso contenuto. Infatti la tomba era parzialmente occultata dalla sepoltura di Ramses VI, dato che alcune frane ne avevano nascosto l’ingresso e le capanne dei costruttori erano state innalzate nelle vicinanze. Lo scavo, avvenuto per gradi nel novembre del 1922, portò alla luce dopo più di tremila anni il corredo funebre di Tutankhamon e il corpo del faraone stesso. Nelle varie anticamere e nella sala funeraria vera e propria, vennero rinvenuti migliaia di pezzi d’ogni genere: armi, carri, abbigliamento, gioielli, modelli di navi, cosmetici, strumenti musicali e così via, qualsiasi oggetto che secondo le credenze dell’epoca avrebbe potuto far comodo al sovrano nel suo soggiorno eterno nell’aldilà. Non tutto ciò che era stato accumulato nella tomba era appartenuto veramente al sovrano, poiché a causa della sua morte improvvisa, per poter far fronte a una rapida sepoltura, si utilizzò parte del corredo di altre tombe, ma ciò non toglie nulla alla rilevanza degli oggetti rinvenuti.
Di particolare importanza archeologica, inoltre, fu il sarcofago multiplo che conteneva le spoglie del faraone. Infatti, il corpo era protetto da una serie di contenitori, alcuni dei quali in oro massiccio, per finire con la famosa maschera funebre finemente lavorata. Di altrettanta importanza fu il ritrovamento della mummia che, purtroppo, a causa del processo di imbalsamazione, venne liberata dai bendaggi con difficoltà. Il suo esame richiese parecchi mesi e una prima autopsia fu condotta solo nel 1925.Le scoperte comunque si susseguono ancora oggi, e ciò che più importa è che gli oggetti, tornati alla luce dopo millenni, hanno reso nuovamente vivido un mondo ormai sepolto nell’oblio. Tuttavia fu un ritrovamento così rilevante per gli storici e gli archeologi, però gli antichi Egizi l’avrebbero invece etichettato con orrore come una profanazione, per cui poteva davvero rimanere senza conseguenze? Eppure le spoglie mortali dei faraoni venivano sottoposte a un complesso rituale di imbalsamazione affinché fossero preservati, ed era adottato ogni accorgimento con lo scopo che a nessuno venisse la tentazione di disturbare il loro riposo. In realtà le maledizioni di cui siamo a conoscenza erano più spesso rivolte a chi doveva vigilare sulle tombe, più che indirizzate ai ladri. Comunque la leggenda narra di una scritta riportata sull’ingresso della tomba di Tutankhamon che diceva:
“La morte verrà su agili ali per colui che profanerà la tomba del Faraone”.
In realtà è certo che tale iscrizione fosse un’invenzione giornalistica, eppure qualcosa di vero ci deve essere se ancora oggi se ne parla. Chi era Howard Carter e quale fu la sciagura che lo colpì per dare origine a una delle maledizioni più famose e note al grande pubblico?
Howard Carter nacque nel 1874 in Inghilterra. Grazie al padre ritrattista e illustratore, entrò in contatto con i più importanti collezionisti d’arte inglesi dell’epoca, che principalmente si interessavano di antichità egizie.
Quindi partecipò a varie spedizioni e intraprese una brillante carriera che lo portò nel 1899 a diventare responsabile di siti archeologici che comprendevano Tebe e la “Valle dei Re”. Scoprì già in quel periodo alcune sepolture e si occupò di portare alla luce i reperti della tomba più grande della valle, quella della regina-faraone Hatshepsut. Era sua convinzione che lo scopo principale dell’archeologia non consistesse nel lavoro di scoperta e di scavo, ma in quello di preservazione di quanto veniva trovato, mentre altri ricercatori non si interessavano per nulla del lavoro di documentazione e catalogazione, per cui poco ci è giunto intatto di alcuni importanti ritrovamenti del tempo. Purtroppo, a causa di un incidente diplomatico, Carter cadde in disgrazia e si ridusse a vivere vendendo i propri acquerelli ai turisti in visita in Egitto, che però dipingeva senza dimostrare il talento del padre. Le cose tornarono a migliorare nel 1908 quando un nobile inglese, George Herbert conte di Carnarvon, visitò l’Egitto e si appassionò alle sue antichità. Era soprattutto interessato a oggetti di grande valore da aggiungere alla propria collezione. Gli fu consigliato perciò di rivolgersi a Carter e in quell’occasione i due si conobbero. Tra alterne vicende la collaborazione continuò dopo la Grande Guerra. In particolare, l’obiettivo divenne quello di individuare le tombe di Akhenaton e Tutankhamon di cui all’epoca vi erano poche notizie certe, ma che sembrava dovessero essere sepolti nella “Valle dei Re”: erano le ultime sepolture mancanti all’appello. Si arriva quindi al 1922, quando ormai, per le ingenti spese sostenute e le poche scoperte di rilievo all’attivo, Lord Carnarvon era in procinto di interrompere le campagne di scavi. Ma alcuni ritrovamenti convinsero Carter a riprendere in considerazione una zona che aveva in precedenza abbandonato. Riconosciuta l’importanza di quanto scoperto, decise di richiamare in Egitto Lord Carnarvon, il quale giunse alla fine del novembre di quell’anno e riuscì a vedere l’ingresso della tomba di Tutankhamon ancora intatto.
Quella scoperta ebbe grande risonanza e Lord Carnarvon affidò l’esclusiva mondiale al quotidiano The Times che divenne quindi l’unico autorizzato a divulgare notizie sui ritrovamenti effettuati, per giunta anche per quanto riguardava l’Egitto. Inutile dire che l’esclusiva non venne ben accolta dagli altri giornali, nonché dallo stesso governo egiziano che veniva a conoscenza delle scoperte che progressivamente venivano alla luce da un periodico straniero, invece di essere informato direttamente. Comunque le altre testate non si diedero per vinte e, per cavalcare il rinnovato interesse per la cultura egizia, non si fecero scrupoli a inventare storie di antiche maledizioni scatenate dai potenti rituali dei sacerdoti egizi e indirizzate ai profanatori di tombe: lo scopo era quello di colpire la fantasia dei lettori, invogliando così l’acquisto dei giornali. Allo stesso tempo vennero fomentate campagne denigratorie nei confronti della scoperta, anch’esse non basate su fatti, ma motivate solo da motivi d’interesse. Nonostante tutto, comunque, la fama di Howard Carter crebbe. Negli anni successivi, concluse il lavoro di catalogazione dei suoi ritrovamenti nella “Valle dei Re” e divenne collezionista a sua volta. A questo punto il lettore attento si chiederà quale effetto abbia avuto la maledizione che, secondo la tradizione, avrebbe dovuto colpire chi avesse profanato la mummia del faraone.
Se un effetto c’è stato, non ha interessato l’archeologo che per primo vi si è introdotto: infatti Carter morì nel 1939, ben diciassette anni dopo l’ingresso nella tomba, all’età di 65 anni nella sua casa di Londra, stimato per le sue scoperte. Su quali basi perciò si fonda questa diceria della “Maledizione di Tutankhamon”? Si tratta solo di un’invenzione di giornalisti frustrati o c’è qualche fondamento di verità? Probabilmente il mito non avrebbe avuto il seguito che ha riscosso se non fosse stato per la morte improvvisa di Lord Carnarvon.
George Herbert, conte di Carnarvon, era nato nel 1866 e aveva ereditato dal padre il titolo, oltre a una cospicua fortuna che gli permise di finanziare scavi archeologici per lunghi periodi. Come si è già detto, la sua passione per l’egittologia lo portò a incontrare Howard Carter e ad associare il suo nome a quella che è considerata la più importante scoperta archeologica del XX secolo. La maledizione di Tutankhamon, se ha risparmiato Carter, dovrà pur essersi abbattuta su di lui. In effetti, Carnarvon morì improvvisamente il 5 aprile del 1923, ben quattro mesi dopo l’apertura della tomba, ma prima ancora che il sarcofago multiplo venisse aperto e molto prima che venisse effettuata l’autopsia sulla mummia nel 1925. La sua morte fece pensare che qualche elemento di verità ci fosse in questa “Maledizione di Tutankhamon”, e ai giornali scandalistici dell’epoca non sembrò vero di poter corroborare così facilmente le loro illazioni.
Tra i tanti che formularono ipotesi sulle cause della morte di Lord Carnarvon ci fu anche Arthur Conan Doyle, l’autore di Sherlock Holmes, che in un suo articolo concluse che: “la causa immediata della sua morte fu la febbre tifoide, ma questo è il modo nel quale gli “elementi” che proteggevano la mummia potrebbero agire”.
Gli “elementi” citati da Conan Doyle erano le maledizioni poste dai sacerdoti di Tutankhamon a difesa della mummia. Sottolineò perciò le cause naturali della morte, ma attribuendole a ogni modo, col condizionale, a una ipotetica causa soprannaturale. Ma quali furono veramente le modalità del decesso?
Sembra che il conte fosse stato punto da un insetto un paio di mesi dopo la scoperta della tomba e che, qualche tempo dopo, avesse riaperto quella ferita radendosi. Per colpa del clima caldo e umido, l’infezione si propagò provocando una polmonite a cui seguì una lunga agonia. Il trattamento immediato con tintura di iodio (all’epoca non era ancora disponibile la ben più efficace penicillina), che avrebbe dovuto disinfettare la ferita, non ebbe effetto e le complicazioni portarono lentamente alla morte. Carnarvon aveva 57 anni.
Se volessimo seguire la linea di pensiero di Conan Doyle, potremmo ritenere anche noi che la catena di cause ed effetti, a partire dall’insetto fino alla polmonite, abbia davvero avuto come primo motore la profanazione della mummia. Si tratterebbe comunque di una maledizione piuttosto inefficace, in quanto ha risparmiato Howard Carter e tutte le altre persone che sono entrate nella tomba. Infatti, un elenco che riporta i dati biografici di coloro che hanno partecipato agli scavi, mostra che le persone censite sono decedute, per le cause più varie, tra i 16 e i 60 anni dopo la scoperta, con età variabili dai 61 agli 86 anni. Solo l’egittologo inglese Arthur Cruttenden Mace, collaboratore di Carter negli scavi e nel lavoro di catalogazione, è morto sei anni dopo la scoperta a 54 anni, ma anch’egli in circostanze non sospette. Troppo poco per poter sostenere che le cause abbiano qualcosa a che fare con una potente maledizione. Naturalmente ogni volta che qualche evento sembra non avere spiegazioni se non quelle soprannaturali, compare sempre qualcuno che tenta di spiegare scientificamente ciò che viene raccontato senza porsi il problema se quanto affermato sia avvenuto veramente o meno. In questo caso è sufficiente un’analisi statistica delle morti per verificare se rientrino o meno nelle medie usuali, magari con fattori correttivi per tenere conto dell’esposizione a un clima che senza adeguate precauzioni non è salubre di per sé. Ma nonostante questo, sono state comunque formulate ulteriori ipotesi sulle cause di questa presunta moria di archeologi, dalle più fantasiose a quelle dai fondamenti scientifici più solidi. Ecco quindi nascere l’ipotesi di una proliferazione di spore fungine velenose nell’ambiente di una tomba chiusa da millenni, che liberate all’apertura hanno investito gli scopritori. Si cita per esempio il fungo “Aspergillus Niger” che è presente su molte mummie. Nel caso di Tutankhamon quelle spore solo risultate particolarmente inefficaci, anzi per alcuni sono state di beneficio visto che hanno potuto superare brillantemente gli ottant’anni. In conclusione, la “Maledizione di Tutankhamon”, inizialmente alimentata dai giornali per fini commerciali, è entrata nell’immaginario collettivo, ma non supera la realtà dei fatti. Può essere portata come esempio di tutte quelle leggende che fioriscono attorno a un fatto già straordinario di per sé. Ma nonostante tutte le prove che si possono portare per confutare la diceria, è sicuro che su questa vicenda si scriverà ancora molto e difficilmente riuscirà a liberarsi da quell’alone di mistero che la circonda ancora oggi…
Secondo Nicholas Reeves, studioso della University of Arizona, ci sono le prove che la sepoltura di Nefertiti, regina vissuta nel XIV secolo a.C., sia accessibile dall’interno della celebre tomba di Tutankhamon. L’affascinante ipotesi, di cui ha parlato il Times di Londra nell’agosto 2015, è che quest’ultima sia solo l’anticamera del luogo in cui Nefertiti, considerata da alcuni la madre del giovane faraone e personaggio più illustre rispetto al figlio, sia stata deposta per l’eternità. Reeves è arrivato a queste conclusioni dopo aver analizzato alcune scansioni digitali ad alta risoluzione dei muri interni alla tomba di Tutankhamon: ha quindi scoperto i due ingressi, che non sarebbero stati violati fin dall’antichità, e uno di questi porterebbe a una scoperta «straordinaria». E questo non è l’unico degli indizi che gli studiosi stanno seguendo. Da tempo infatti gli esperti si interrogano su quanto modesta fosse la camera funeraria di Tutankhamon: anzi avrebbe le stesse dimensioni di una anticamera. Per Reeves non sarebbe che una aggiunta fatta rispetto alla tomba più grande, quella che per l’appunto ospiterebbe Nefertiti. Il “passaggio” fra le due camere, inoltre, sarebbe stato decorato con scene religiose in una data precedente rispetto agli altri tre muri della tomba del giovane faraone, e quelle decorazioni sarebbero servite come protezione rituale per la parte segreta e più importante del complesso.
«Solo una donna membro della famiglia reale ai tempi della diciottesima dinastia poteva ricevere questo tipo di onori, e quella era Nefertiti», ha detto Reeves, che ha descritto le sue teorie in un saggio per l’Amarna Royal Tombs Project. L’ipotesi affascina anche altri studiosi come Joyce Tyldesley, della University of Manchester. «Non sarebbe sorprendente se la tomba fosse stata progettata per avere altre camere – ha detto – ma sarei sorpreso se si trattasse del primo luogo di sepoltura di Nefertiti, morta durante il regno del marito Akhenaton e quindi sepolta nella città di Amarna». Secondo Tyldesley però, in teoria il corpo della regina potrebbe essere stato trasportato dal (probabile) figlio a Tebe ma restano dei dubbi se sia stato poi sepolto vicino a lui in quella parte di “Valle dei Re”.
Molti sono stati i documentari anche parlavano della vita di questo giovane faraone e, stranamente, pochissimi i film. Per quanto riguarda i primi ricordiamo Tutankhamon: Tra Storia e Mistero (The Great Egyptians) di Peter Spry-Leverton del 1998 edito dalla Cinehollywood e nato come mini serie TV in sei episodi per gli USA e che in seguito è stato compattato in 2 filmati: il primo filmato riguarda la vita tormentata del giovane Tutankhamon, la tragica infanzia, la sua straordinaria storia d’amore e la sua morte improvvisa avvolta dal mistero di un presunto assassinio. Il secondo racconta la storia della scoperta della sua tomba da parte dell’archeologo inglese Howard Carter e delle misteriose maledizioni a essa associate. Il programma è arricchito da interessanti schede informative di approfondimento sulla storia e i costumi dell’Egitto con un elenco cronologico di tutti i faraoni e presenta anche schede e filmati sulla mummificazione e sul ritrovamento della tomba del faraone.
Tutankhamon – Il Volto Segreto di Brando Quilici (2005) del National Geographic è un documentario sulla storia della vita del faraone fino alla ricostruzione del volto tramite computer.
Nel 2007 abbiamo Tutankhamon il Faraone Perduto di Christopher Rowley del 2007, edito da Fabbri Editori e composto da filmati e fotografie d’epoca che testimoniano l’affannosa ricerca e la scoperta da parte di Howard Carter della tomba di Tutankhamon.
Quindi nel 2010 incontriamo I Nuovi Segreti di Tutankhamon sempre del National Geographic dove, attraverso la grafica 3D, vengono ricostruite precise e recenti scoperte archeologiche, ad opera di esperti egittologi, sulla vita del faraone bambino.
Sempre nello stesso anno abbiamo Tutankhamon Sangue Reale, un documentario che rivela la vera identità del faraone, quali erano i suoi genitori e i suoi fratelli e sorelle. Zahi Hawass, famoso egittologo, ha utilizzato per la prima volta le tecniche di genetica molecolare nonché i test sul DNA per svelare questo mistero.
Per quanto riguarda il cinema possiamo citare un film televisivo del 2006 dove il nostro faraone è praticamente solo citato. Si tratta di La Maledizione di Tutankamon (The Curse of King Tut’s Tomb) di Russel Mulcahy: nel 1922, l’archeologo Danny Fremont è convinto che un prezioso reperto conosciuto come “la Tavola di smeraldo”, custodito nella tomba del re, possa dare a chi lo trova un potere inimmaginabile. Sfortunatamente, l’unico a credergli è il collega e acerrimo rivale Morgan Sinclair, membro di una società segreta che cerca il gioiello per dominare il mondo. Ad aiutare Fremont interviene un gruppo di avventurieri, tra cui la scettica egittologa Azelia Barakat. La squadra attraversa la Valle dei Re per arrivare al sarcofago di Tutankhamon: la verità sta per venire alla luce…
Diverso è il discorso di Tut – Il Destino di un Faraone (Tut) di David Von Ancken del 2015, una miniserie in tre puntate di 90 minuti l’una che racconta la vita, le imprese, le congiure di corte e gli amore del faraone bambino.
(4 – fine)