Questa storia accadde su Erat, l’ultimo dei Mondi della Creazione, molto tempo prima della scelta di Adam, quando gli Uomini erano Nomadi e viaggiavano attraverso i mondi , dopo gli entusiasmanti giorni dell’ esecuzione dell’Inno.
Graegor era uno degli Uomini dell’Inno, possente, dai capelli cresciuti oltre le spalle e selvatici come le ondate marine. Lui e i suoi fratelli si erano sparsi ciascuno per una terra diversa, data la loro natura di migratori, era difficile che si concentrassero tutti in una zona. Era l’unico Uomo dell’Inno su quel mondo. Navigava spesso il fiume Van in quelle zone impervie e buie, canticchiando le vecchie canzoni degli enormi Enres. Era di ritorno dal Nord, la zona delle cascate, con due casse piene di libri e rotoli di carta scritta. Le regioni più settentrionali rimanevano chiuse nella notte per buona parte dell’anno, gli Uomini che le abitavano trascorrevano la maggior parte del tempo scrivendo storie e canzoni. Graegor faceva spesso visita a quegli Uomini, erano, come li chiamava con Adam: “Coloro che sono arrivati dopo”, figli e nipoti degli Uomini dell’Inno. Da quegli incontri ricavava storie nuove da cantare ai suoi amici, una volta tornato a casa. C’è un punto del Van che costringe il flusso in una stretta ansa, lì si spalancano gli abissi delle Vandàm. Si tratta di grotte scavate dall’acqua attraverso le ere. Nessuno sa quanto siano profonde. Si aprirono per accogliere l’Inno, quando Adam compose il tema della Creazione. E una leggenda diceva che Adam vi si inoltrò per donare al cuore del pianeta la sua melodia. Nessun Uomo o altro vivente andò così in profondità. Si raccontava che sul tramonto dell’estate, all’impallidire del sole, le Vandàm affidassero al vento autunnale la melodia di Adam. E la si poteva udire assieme al soffiare delle tempeste. Durante l’inverno vi si riparavano nelle sale più superficiali, gli animali in cerca di una tana per il letargo. Non era consigliabile inoltrarvisi, perciò, se non si voleva destare un grosso Orso delle Caverne.
All’improvviso Graegor vedendo qualcosa fra le pietre sulla riva, virò la prua verso la costa con una manovra pericolosa fra gli scogli taglienti.
“Accidenti, che ci fai qui? Vuoi morire affogato?” Disse, raccogliendo da terra il corpo di un Allaghèn “Sei ancora vivo, ma mi chiedo per quanto lo rimarrai.” senza pensarci lo mise nella barca e remò in fretta, verso casa.
“Lankaster!” gridò.
Dal recinto delle Ghřenne, piccoli cervi dall’indole docile, un Uomo dai capelli neri e raccolti in una treccia dietro la nuca, sollevò la schiena dalla mangiatoia che stava riempiendo. Era uno di “coloro che sono venuti dopo”, come tutti gli altri Uomini di quel pianeta.
Graegor si accostò allo steccato: “Hai visto Adam nel Lazzaretto, oggi?”
“Adam?” la voce roca e bassa dell’Uomo rispose all’amico: “No, oggi non verrà. Hai bisogno di lui?”
“Sì, è piuttosto urgente.”
“Devo portargli una femmina di Ghřen che è prossima al parto ma non sta bene. Ho percepito la sua presenza da queste parti e mi ha fatto capire che in questi giorni passerà da noi. Perciò non c’è bisogno di andare sino al Lazzaretto.”
“Potresti venire un momento, Lankaster?”
La curiosità per lo strano atteggiamento di Graegor e ancor più, per l’insolita luminescenza biancastra che proveniva dalle cuciture della tenda, stimolarono la mente dell’Uomo, che accorse subito. Il Lazzaretto l’unico edificio costruito con mattoni dagli Uomini. Un luogo stanziale, abitato da esperti di medicina, e a cicli alterni l’uno dopo l’altro, da Adam, che portava la sua sapienza in quei luoghi, visitandoli nei suoi viaggi. Vi si ricoveravano gli infermi di ogni specie. E dopo l’arrivo di Adam, in genere si spopolavano dai degenti risanati, per ospitare nuovi malfermi.
“Mi prenda un colpo Greg!” sobbalzò vedendo il corpo devastato dalle ferite dell’Allaghèn sul tappeto migliore della sua tenda.
“Ecco che cos’erano quei bagliori!”
“Già, si è un po’ dibattuto, per il dolore, mentre lo soccorrevo.”
“Sta’ attento, queste creature non sono feroci, ma possono essere più letali di un Arcontosauro! Più mortali di ogni altra cosa conosciuta.”
“Lo so, me ne sono reso conto.” Fece Graegor, osservandosi le mani quasi scottate dal sangue bollente dell’Allaghèn.
“Se interpretasse in modo sbagliato il tuo soccorso, potresti venire irraggiato da un lampo gamma. Sai che non ci sarebbe scampo per te.”
“Non credo che ci farebbe del male. I casi di aggressione degli Allaghèn sono pochi e in genere si tratta di reazioni a loro predatori, non ricordo un Uomo morto per un irraggiamento Allaghèn.”
“Adam lo saprà maneggiare meglio di noi. Nel frattempo direi di non stargli troppo intorno.”
Graegor, annuì, ma i gemiti di sofferenza della creatura gli stringevano lo stomaco: “Sta male. Credi che morirà?”
Lankaster era un esperto conoscitore dei viventi della Creazione, ma un Essere della Luce riserva sempre un mistero profondo nella sua natura, talora incomprensibile a coloro che nacquero nella materia. “Non lo so, Greg, Adam mi disse una volta che gli Allaghèn possiedono una prodigiosa capacità di rigenerare il loro corpo, quando sono di carne.”
“Questo qui però è conciato male.” Sospirò Graegor.
Il giorno successivo una Ghřen annunciò con un garrito il sopraggiungere di una mandria di enormi Myarmar. Lankaster uscì dalla tenda per vedere. La testa avvolta dal collare osseo di un possente maschio Myamar sovrastava lo steccato dei piccoli cervi, che seppure incuriositi, non sembravano inquietati dalla sua presenza.
“Adam?” pensò Lankaster, l’uomo dal mento aguzzo e dalla pelle più chiara, rispetto al bronzeo aspetto del suo amico Graegor.
Il Primo Uomo era l’unico essere vivente ad essersi conquistato l’amicizia del grande stallone.
Il Myamar sbuffò in un muggito basso, e si mise a pascolare lungo il solco del recinto.
“Lankaster, vecchio mio, come stai?”
“Adam!” Lankaster si alzò dal campo, asciugandosi il sudore. Posò la roncola, per salutare il Primo Uomo.
“Non potevo farti fare tutta quella strada con una di queste bestiole incinta.” Gli disse Adam
“Sì, e ti ringrazio ancora.” Vieni, ti offro subito qualcosa da mangiare, visto che è ora di colazione. Avverto Greagor e gli altri.
“Il latte di Ghřen fermentato è sempre una squisita scusa per farti visita, Lankaster!” sorrise Adam.
“Prendi tutto quello che vuoi, la mia tenda è la tua.” Gli rimandò, indicandogli la dispensa aperta.
In breve nella tenda di Lankaster si riunirono tutti gli Uomini che avevano deciso di fermarsi per un po’ in quella zona.
La tenda di Adam non era lontana, e quella creatura non era pesante. Perciò decise di portare l’Allaghèn da chi avrebbe potuto aiutarlo.
L’Allaghèn era intirizzito per il dolore e non riusciva a stendere le sue membra .
“Dove lo hai trovato?” chiese Adam, carezzandone il corpo sofferente.
“Era nei pressi delle grotte di Vandam, non ho idea di cosa volesse fare, forse si voleva nascondere lì dentro. Ma è una follia, viste le profondità di quelle caverne!”
“è stato attaccato .Non ho idea di quanto abbia corso, forse è stato preso al confine dell’era della Luce e la foga del combattimento ha trascinato preda e predatore quaggiù.” Notò Adam.
“Ma lui è nel suo stato corporeo.”
“Sì, Graegor, deve essere riuscito a liberarsi ed effettuare la trasformazione appena in tempo. Non l’avrebbe potuta compiere se il predatore avesse infierito ancora.”
“Perché quest’alone? Un Allaghèn corporeo non dovrebbe essere così luminoso, o sbaglio?”
La pelle era lacerata e bagnata da un liquido fumante color argento.
“Mi sono ustionato per portartelo!” esclamò Graegor, curandosi le mani.
Adam sorrise. A lui quel sangue non comportava alcun danno, ma agli Uomini venuti dopo di lui, poteva procurare delle scottature noiose.
“Infatti non dovrebbe essere luminescente. Ma così ferito e debole non riesce a controllare la sua energia.” Notò le mani del suo amico umano: “Graegor, sei venuto in contatto con la sua luce, è pericoloso. Dovresti bagnarti con l’Orhomon.”
Prese delle larghe foglie frangiate e una fanghiglia da un di contenitore. Passò all’uomo un po’ del fango: “Questo ti dovrebbe bastare.” Poi con una voce lenta ma sicura cercò di richiamare l’attenzione del suo paziente. L’Allaghèn girò il viso pallido come una lapide tombale sugli occhi dell’Uomo. Era il momento buono per sapere cosa gli era accaduto.
“Con calma, amico mio, mi puoi raccontare che cosa ti hanno fatto?” chiese Adam.
Una voce senza timbro sessuale, quasi sfinita, cercò di capire cosa voleva il Primo degli Uomini: “Vuoi sapere cosa è successo?”
“Vorrei sapere cosa ti hanno fatto, solo questo.”
“Mi hanno attaccato, tirato via la mia luce.”
“Chi è stato? Lo ricordi?”
“Koissegai.” Fiatò, sfibrato.
“Quanti erano?”
“Due.”
Graegor rabbrividì: “Tirato via la mia luce?” ripeté “Allora questa creatura è stata quasi sbranata viva.”
“Già, e la cosa più inquietante è che due grossi Koissegai hanno varcato i confini dell’Era della Luce per inseguirlo.”
“Non è la prima volta che succede.” Replicò Graegor
“No, ormai gli avvistamenti di questi predatori sono sempre più frequenti.” Fece Adam.
“La cosa è preoccupante?”
“Direi che lo è, caro amico.” Rispose il Primo Uomo “ I Koissegai sono grossi e combattivi. Non è semplice farli ragionare. Inoltre qui abbiamo una popolazione migrante di Allaghèn, che si riposa dai suoi spostamenti. Se i Koissegai dovessero raggiungere le colonie di stazionamento potrebbero fare una strage, rendendole come mattatoi.”
“Pensi che si siano accorti degli Allaghèn migratori?”
“Forse sono un po’ ottusi, ma non ciechi. L’unica cosa che li frena è la mia presenza e la profondità nella Creazione dei siti Allaghèn. Dovrebbero viaggiare troppo in questa dimensione, e non possiedono un corpo materiale in grado di vivere qui. Non sono Dei, quindi non possono crearselo, né lo hanno per natura come le loro prede. Alla lunga la loro luce verrebbe corrosa dalle leggi fisiche della Creazione. Inoltre non tollero comportamenti così atroci.”
“Ma è la loro natura.” Graegor era perplesso dalle parole del Primo Uomo.
“La loro natura è la Luce, non la Creazione.” Replicò Adam.
“Difenderesti gli Allaghèn?”
“Tu non lo faresti?”
“Mi chiedo se questo non influisca sull’evoluzione naturale della Vita.”
“Se i Koissegai riuscissero a passare con le loro sole forze non potrei mai intervenire per i nostri amici. Ma siccome dubito che quei grossi globi luminosi siano in grado di fare qualcosa da soli, penso che la loro avanzata nella Creazione sia stata programmata da una volontà diversa.”
“Sii chiaro, Adam.”
“Gli Dei.”
“Alath?”
Il Nomade non rispose, Graegor capì.
Una voce sottile salì dal letto: “Fa male!” cercò di dire.
Adam abbassò gli occhi sull’Allaghèn: “Calmo, amico mio. Lo so che brucia, ma tra non molto guarirai.” Continuò: “Hai idea di quanto si siano spinti dentro la Creazione i Koissegai che t’hanno inseguito?” chiese, mentre gli avvolgeva le ferite con delle larghe foglie frangiate.
L’Allaghèn sentì una piacevole frescura sulle piaghe, che gli fece socchiudere gli occhi.
Piagnucolò: “Ho cercato di tenerli lontani dalle Zone.”
“Lo so, sei stato molto coraggioso, e ti ammiro.” Rispose “Ma dimmi, pensi che volessero portarti alle Zone di Confluenza?”
“Sì.” Fiatò senza forze.
Graegor guardò preoccupato Adam: “Allora le cose stanno come sospettavamo.”
“Alath ha inviato i cani da caccia sulla scia delle sue prede.” Disse Adam.
“Ma perché ce l’ha con queste creature? Sono del tutto innocui per un Dio, lo sono persino per noi! Non hanno tecnologia, né velleità imperialistiche, non sono predatori, né famigerati corsari!”
Adam sospirò, sfiorando la fronte dell’Allaghèn che si rilassò sotto quella carezza.
“Ho corso quasi tutta la notte, con quei due attaccati alle calcagna, ho corso, mentre mi mangiavano parte della mia energia fotonica. Non riuscivo a seminarli, perché colpendomi mi rallentavano.” Riuscì a raccontare.
“Me ne rendo conto.” Rispose con una voce dolce e calda Adam “Ti ammiro molto. Sei una creatura che ha dimostrato il suo coraggio davanti a un mostro gigantesco. Ora, grazie a te, quelle belve sanno di cosa sono capace i piccoli meravigliosi Esseri di Luce. Non regaleranno la loro energia.”
“Dovranno rincorrermi e se mi prenderanno lotterò con tutto me stesso.” Mormorò, dolorante.
Adam e Graegor erano meravigliati dalla sua voglia di combattere.
In viaggio verso Karpuurta. Re Asàmoad e i Lacerta del Nord
Quella giovane sfera di luce blu pulsante, svolazzava nei dintorni della tenda di Adam.
“Non mi devi nulla, Allaghèn, non sentirti legato a me.” Gli disse, ma notò presto che quel legame non era di gratitudine. L’Allaghé amava rimanere nei pressi dell’Uomo.
“Non mi mandare via. Mi piacciono le tue storie.” Gli rispose.
“No, non voglio mandarti via, non mi fraintendere, vorrei solo che fossi libero di scegliere cosa fare.” Adam si chiese se raccontare al suo paziente luminoso ogni sera una storia per tenergli la mente lontana dal dolore, fosse stata una scelta giusta. Ma gli occhi di quella creatura non potevano esprimersi in un modo migliore. D’altronde se se ne fosse voluto andare, nessuno glielo avrebbe impedito. Ad Adam non rimase altro da fare che godere di una così insolita compagnia finché sarebbe durata. Adesso mentre il Primo Uomo girovagava attraverso i mondi, una piccola stella smaniosa gli saettava accanto, talora precedendolo. I due divennero amici. Le rotte migratorie dell’Uomo divennero quelle dell’Allaghèn. Dopo poco anche i massicci Myarmam si abituarono alla presenta di quella creatura, nonostante lo scompiglio iniziale che creò irrompendo nel cuore del pascolo, incuriosito dall’enorme stallone. Adam dovette riportare alla calma l’animale, che furente si stava preparando per caricare l’Allaghèn.
“Perché li hai chiamati così questi animali?” chiese con un’ingenuità disarmante, mentre l’Uomo ristabilì la pace nella mandria.
Adam: “Vuoi sapere perché ho chiamato i miei amici Myarmar?”
L’Allaghèn annuì con il capo.
“Perché suona simile al verso che fanno loro.” Gli spiegò “E suona bene. Non ti pare?”
Scosse le spalle, come se avesse voluto dire: “Sei tu a conoscere queste cose, non io!”
L’ innocenza e la leggerezza con cui viveva un Allaghèn certe volte erano insopportabili per chi non vi fosse abituato, ma la sua mente era così, senza peso e veloce come la luce. Dopo poco, il suo amico pensava già ad altro.
“Bara è paziente, ma se continui a tormentarla ti metterà sotto, allora non alzerò un dito, così impari a molestarla.” Disse l’Uomo all’Allaghèn che aveva instaurato con la più mansueta femmina della mandria Mymarmar un’amicizia insolita. Le saliva in groppa, talora si addormentava sul suo dorso squadrato, solido come una montagna, mentre lei seguiva Adam e il resto della sua famiglia. Una volta cadde in un fosso, seguendo chissà cosa, nella sua mente, e lei, con un gesto del tutto inaspettato muggì, richiamando la mandria e Adam, come avrebbe fatto con un suo vitello in difficoltà. L’Uomo pensò che quegli animali avessero un grande cuore materno, non fossero solo erbivori da pascolo e da latte. L’Allaghèn e quella femmina divennero molto vicini, tanto che lui si addormentava con lei, la notte, dopo aver aiutato Adam nelle solite faccende. Il maschio invece non lo sopportava. Ogni volta che gironzolava attorno al suo pascolo prendeva a caricarlo. Ma un Allaghèn è troppo veloce, e così tutto sin limitava a un furibondo inseguimento di pochi metri, che divertiva Adam, anche se certe volte lo preoccupava: “Prima o poi ti prenderà. Sta’ attento, razza di scapicollato!” urlava, mentre i due inscenavano la pantomima.
“Dove siamo?” L’Allaghèn si accostò ad Adam, sollevandogli il mantello per ripararsi da un’improvvisa ventata di neve.
“Nelle terre a Nord di Karpuurta. Vedi quella pianura che si stende sino all’orizzonte? Oltre c’è l’Oceano di Hayr, il mare più settentrionale del mondo e il più freddo. Le sue acque non sono mai state liquide. È un’immensa calotta di ghiaccio.”
“Perché andiamo tanto lontano?”
“Perché avevo promesso a un amico che ci saremmo incontrati. E credo che ormai siamo già nei paraggi di casa sua. Sei stanco?” chiedere se lo fosse a un Allaghèn è una domanda senza senso. Non si era mai vista una creatura simile con il fiatone. Però Adam si preoccupava per quella canaglia luminosa in modo troppo paterno, glielo fece notare Graegor, ma era più forte di lui. Un Allaghèn stimola in un Uomo questo senso di protezione.
In un lampo schizzò lontano, Adam lo perse di vista, poi vide una folgore blu e una piccola sfera ritornare vicino alla mandria. Si era trasformato, attirato da qualche cosa oltre il limite visibile dell’orizzonte.
“Cosa hai visto, amico mio?” gli chiese. Aveva imparato come parla una sfera di luce Allaghèn. Non ha voce, ma crepitii simili all’ardere di un fuoco. Adam spesso si chiedeva se fosse solo lui a sentirli, o se qualcuno li aveva già uditi prima, o se fosse solo la sua immaginazione.
Però lui e quella piccola stella si capivano.
“Ci sono esseri strani, strani! Vanno su due piedi, come Uomini, ma non sono Uomini. Hanno coda e denti, non sono più grandi di te.”
Adam sorrise: “Sono Lacerta. Non li hai mai visti?”
“No, ma ho sentito di loro nelle Esperienze degli altri.”
“Bene, adesso li conoscerai. Sono Rettili, nonostante il loro aspetto feroce, non sono pericolosi, abitano l’estremo nord est del mondo, vengono da un altrove, ma da epoche ormai vivono anche qui. C’è un gruppo, il suo patriarca è un mio caro amico. Lo conosco da quando ha condotto sua moglie e suo figlio quaggiù, dal suo mondo originario. È una persona ospitale, e pensa sempre che mi debba qualcosa, ma non è così. I mondi sono fatti per essere abitati.” Raccontò, incuriosendo l’Allaghèn.
Il Grande Re Lacerta, era Patriarca di un Clan che ormai contava centinaia di membri e si era suddiviso in una miriade di piccole famiglie migrate altrove, come era consuetudine nei Lacerta. Non ci sono Clan troppo larghi, per non infierire sui territori di caccia. Nessun rimorso, quando si diviene adulti si oltrepassa il confine del Clan e si diviene padroni della propria vita. Un Lacerta si allontana anche a costo di vagare da solo per anni. Ma loro sono così. La popolazione di rettili non aumenta mai troppo, anche se talora supera quella degli Uomini. Ma si sa, gli Uomini non amano i luoghi affollati, e a differenza dei Lacerta sono accaniti solitari.
“Asàmoad!” Adam prese le spalle del grande Re, e lo strinse a sé.
Il Lacerta ricambiò, sfiorandogli la schiena con le lunghe dita artigliate: “Adam, quanto tempo, vecchio!” la piccola stella blu attirò la sua attenzione: “Cos’è, hai addomesticato una lampadina vivente?”
“è un mio amico, sta con me da quando gli ho salvato la pelle.”
Fece all’Allaghèn: “Tranquillo, è un vizio del Primo Uomo, salvare le penne a chiunque gli capiti sotto tiro!”
“A dire il vero è un vostro vizio mettervi nei guai.” Sorrise l’Uomo “Come stai, Asàmoad? Ti trovo in forma, e il tuo Clan è florido. Vedo molta carne a essiccare sui canneti.”
“Sì, qui va tutto bene, Adam, ieri abbiamo preso una grossa balena, e ora possiamo pensare a divertirci per il resto dell’anno.”
“Cos’è che ti preoccupa allora? Ho percepito il tuo richiamo, trovandolo pieno d’ ansia.” Disse l’Uomo .
“Fammi l’onore di entrare in casa mia, Primo Uomo.” Sospirò il Rettile.
“ E tu mi fai l’onore di ospitarmi.” Ricambiò.
I due si sedettero, bevendo the e mangiando del burro fermentato.
“Non è per la mia gente che sono preoccupato, Adam. Ma girano voci fra i Lacerta che giungono dal mondo in cui sono nato. E quelle voci oggi sono sempre più insistenti e solide.”
“Di cosa si tratta?”
“Dicono di una grande guerra che abbia scosso i mondi vicini a quello dove sono nato, una guerra letale, che abbia visto morire quasi tutti i Lacerta. E la cui ombra sembra si stia affacciando anche nei miei luoghi natale. Come sai noi non abbiamo grandi città, se mai piccoli agglomerati familiari, borghi. Ma sembra che a causa della guerra i miei simili si siano riuniti in grandi federazioni, per porre una barriera al nemico. Si sono organizzati in eserciti, e hanno dei Capitani del Popolo che guidano le coorti appena nate sul campo di battaglia.”
“Questo che mi stai raccontando è un fatto del tutto sconosciuto per me. Dopo la vostra partenza dal vostro mondo originale assaltato da Uzzath, sapevo che vi eravate ricreati luoghi dove vivere nella Creazione. Ma non ho notizie dei movimenti che mi stai raccontando.”
“Questi eventi erano sconosciuti anche a me, sino a qualche giorno fa. E immaginati la mia sorpresa nell’udire tali racconti! È accaduto appena prima che ti inviassi il mio messaggio. Un Capitano del Popolo, riuscì non si sa come, a sopravvivere a una tremenda catastrofe, lui descrisse una deflagrazione così immane che scaraventò il suo mondo in una notte totale. Giunse qui salvato da un cargo della Regina d’Aurora; ci parlò di quell’esplosione, la sua pelle era ridotta a brandelli e cadeva dalle mani. Nonostante cercassimo qualche cura, il suo corpo si era ormai disfatto. Neppure il Fango di Omhonon avrebbe potuto salvarlo. Ma prima di morire fece in tempo a raccontarci del nemico che li attaccò.”
“Ti ascolto, dimmi tutto.” Adam si corrugò, oscurato da quelle tremende novità.
“Il Capitano narrò che una notte, mentre i Lacerta erano intenti nelle solite faccende come la lavorazione della carne per l’inverno, il curarsi del vino nelle cantine, il cielo si tagliò letteralmente in due. Dallo squarcio penetrò una massa nera, informa, dai riflessi di metallo. Dal ventre di quest’oscenità piovvero nel loro mondo macchine volanti più piccole, piene di creature corazzate, coperte di armi dalla testa ai piedi, tanto che nessuno riuscì a capire a quale specie appartenessero. Si muovevano su due gambe, ma non si capiva cosa fossero, se Uomini, Lacerta o chissà che altro!”
“Siamo pochi per formare un esercito, caro amico. E gli Uomini, per la maggior parte sono tutti qui, su questo mondo.”
“Lo so Adam, ma credimi, la pena che ho provato ascoltando la voce di un morto vivente mi fece credere a tutto. Ma non accuso gli Uomini, non sia mai che tu creda a una cosa simile.”
“No, non lo credo, ma vai avanti.”
“Il Capitano ebbe un sogno, o gli parve di viverlo, perché in quel momento la sua mente stava già morendo, per gli effetti dell’esplosione. Vide una figura luminescente, alta, forse il triplo di lui, avvolta in una tunica bianca e d’oro, protetto da una corazza pettorale dallo splendore abbacinante. I connotati gli sembrarono simili a quelli di un Uomo, o di un suddito di An, ma il suo aspetto era avvolto nella luce, perciò gli fu impossibile discernere di chi si trattasse. Di certo Uomini così “bianchi” non li aveva mai visti, né tanto alti.”
“In effetti un Uomo di quattro metri d’altezza, dovrebbe essere una rarità.” Sbuffò, ironizzando “Almeno guarderebbe negli occhi un giovane Enres!”
“Non so cosa pensare. Forse era davvero il sogno di una mente morta, ma mi disse ancora che quella figura apparve ad altra gente come lui. Ebbe modo di incontrare altri Capitani in un Lazzaretto gestito dalla Regina del Sud, prima di venire imbarcato dalla gente del Mezzogiorno. Alcuni riferirono di aver visto alcuni cedere alle lusinghe di quella visione e seguirla.”
“Da come mi hai riportato questo sogno, sembrerebbe che il Capitano abbia incontrato un Essere di Luce.” Replicò Adam.
“Non so cosa pensare. A quale specie doveva appartenere? Un Dio non credo che fosse. Sono rimasti in quattro e di certo non se ne vanno in giro a raccogliere dei derelitti. L’unica che si è fatta viva è stata la Sovrana del Sud, ma mi ha detto che compariva sempre nei Lazzaretti allestiti ai bordi dei campi di guerra, e non prendeva parte alle ostilità, cercando di imbarcare più Lacerta possibili sui suoi cargo. Nessuno sa quali fossero le sue reali intenzioni.” Riprese Asomoad.
“Le emanazioni degli Dei vengono descritte in modo molto simile a quella riportata dal Capitano.”
“è vero Adam, per questo sono confuso. Perché hanno assunto le sembianze di un Uomo o di un Siran?”
“I Siran sono gente che sta per fatti propri, hanno i loro stati, e le loro città. Adorano gli Dei, prendendoli come modelli di sviluppo per la loro società, perciò disdegnano la compagnia degli Uomini. Non insisto di certo per farmeli amici.”
“E se avessero accettato la proposta di Alath? Se avessero costituito un esercito per lui?”
“Mio caro amico, anche i Siran sono in pochi.” Rispose Adam “ Per di più hanno una carnalità ridotta a una rapida stretta di mano, se costretti dalla diplomazia. Non ce li vedo battersi con dei Lacerta. Questi ultimi li costringerebbero in un corpo a corpo furente. Inoltre odiano Alath, perché pensano abbia usurpato il potere al loro Dio, Manzath, suo fratello minore.”
“Non so cosa pensare. Mi sento inutile. La mia specie sta morendo, Adam?”
“Asamoad, tu sei giunto sino qui perché hai presagito qualcosa. Non sapevamo bene cosa. Neppure te riuscivi a vedere in questa tua premonizione. E credo che i Lacerta stiano vivendo un inferno altrove, perché ne ho un forte sentore. Non solo io percepisco questa realtà di morte. Anche due Enres mi hanno parlato di quanto i Lacerta stiano vivendo. Ma ora non so cosa stia capitando con esattezza. Tu e la tua specie continuerete a vivere, perché li hai portati qui, e noi vi difenderemo da quelle forze che vogliono uccidervi. Lo faremo perché abbiamo visto in tutto questo un’ingiustizia senza pari. Nessuno deve invadere un mondo, devastarlo e ridurre a brandelli la vita che si muove in esso. A nessuno è stato concesso questo diritto. Non so perché quest’orrore sia cominciato con i Lacerta. Ma ti prometto che la tua specie non morirà.”
“Non voglio mandare i miei figli in guerra, non voglio fare del mio Clan un esercito, Adam.”
“Non sarà necessario. La Creazione reagirà con forza alla violenza di chi vuole stravolgerla. Questo persino gli Dei lo sanno, e si tengono alla larga.”
“Perché sanno che tu tieni il segreto della materia. Ma se tu dovessi…morire…”
“Adam non muore, vivrà finché sarà necessario alla Creazione. Il segreto del suono che plasma la materia è la cosa che Alath teme di me. Io sono qui per creare, per dare forma al suono. Quando non sarò più utile me ne andrò. Ma non sta alla guerra deciderlo. E poi sono sicuro che tu, amico mio, vali ben più di me, e sapresti difendere con coraggio i tuoi cari e la Creazione. Agiremo insieme e nessuno verrà lasciato indietro.”
“Ho ancora il corpo del Capitano.”
Adam scattò, aveva chiara l’immagine di quel cadavere, avendola vissuta nel racconto di Asamoad. Fra poco avrebbe visto come la tecnologia distrugge la carne. Era qualcosa che ormai sentiva da tempo agitarsi dentro di sé. Brandelli di un futuro opaco, una luce bianca che distrugge tutto, eserciti di derelitti che vagano alla disperata ricerca di un idolo.
“Vediamolo.” Disse al Lacerta.
“Non sarà un bello spettacolo.”
“Lo so, sono pronto.”
“Seguimi allora.”
Discesero in una delle cantine più profonde e buie del contado del Re, laddove era tanto freddo che la carne poteva mantenersi integra per mesi. Asamoad aprì un pesante portone di legno. Una zaffata insopportabile investì i due, nonostante il gelo di quella grotta. Adam presagì l’orrore che si nascondeva nel buio della sala.
Su un catafalco giaceva il cadavere del Capitano. Il lino che lo copriva se era inzuppato dei liquidi corporei, poiché ormai non c’era più pelle sulla carne. Adam si fece avanti, superando il re e sollevò il lenzuolo, con un gesto pietoso. Rimase impietrito innanzi a quella distruzione. Si chiese in quanto dolore prima dell’agognata morte quella creatura avesse dovuto vivere. I Lacerta lo avevano lavato, in un ultimo tentativo di alleviare quelle sofferenze. Una premura su un cadavere forse inutile, ma inevitabile.
“Che farete di lui, adesso?” chiese l’Uomo.
“Quello che facciamo con i nostri che muoiono.”
“Costruirete una barca per accogliere il suo corpo?”
“Sì, la lasceremo andare nel mare, poi una freccia infuocata, appiccherà l’incendio che brucerà il cadavere e il legno della barca.”
Facevano così sul loro mondo, affinché l’odore dei cadaveri bruciati non attirasse bestioni carnivori nei pressi dei villaggi, mettendoli in pericolo. Un Lacerta è massiccio e muscoloso, ma può ben poco contro le zanne di un Arcosauro, alto circa sei metri e pesante due tonnellate. Perciò i morti è meglio lasciarli al mare. Però la cerimonia che perpetuano per salutare il loro caro, è un’abitudine suggestiva, Adam s’intratteneva spesso sulla riva del mare, osservando di lontano, senza disturbarli, i Lacerta che accompagnavano nel fuoco un loro morto. Erano creature dall’indole rovente, ma preferivano inseguire una preda e combatterla, anziché indossare un’uniforme e marciare al ritmo di un tamburo, perciò rimaneva molto difficile credere che quel Capitano fosse parte di un esercito. Ma per necessità, forse, anche la propria natura può cambiare. Questo pensiero fece rabbrividire Adam in un grigio presagio. La natura che per bisogno, muta, facendoti divenire qualcos’altro. Qualcos’altro, che cosa? Se nasci in un modo, cosa può cambiare la tua direzione? E se lasci la tua natura, in quale strada t’inerpicherai? Domande fumose, tetre, avvamparono la mente del Primo Uomo.
“Adam, moriremo tutti?” Ripeté come ipnotizzato in un incubo senza soluzione, il re Lacerta.
Lui gli rispose: “Morire è la seconda parte della vita, amico mio. Non so dirti in che modo ognuno di noi finirà la sua vita. Forse la guerra sarà la nostra morte. Forse riusciremo a salvarci per raccontare alle future generazioni di come ci si possa ridurre con simili ordigni.” Ma ormai il dubbio, l’orrore per ciò che gravava ai confini della Creazione, e di quello che aveva dilaniato la società dei Lacerta, stava cominciando a logorare anche il Primo Uomo.
“Usciamo, Asamoad.” Disse “Torniamo a respirare.”
Coprirono il povero Capitano e risalirono dalle cantine.