TUTTI I COLORI DEL CIMITERO
(aka ESORCISMO ’70)
I giornali avevano riportato le fotografie in bianco e nero della bara bianca coperta di fiori mentre usciva dalla chiesa di Casale Monferrato tra due ali di folla; gente attonita, spaventata, addolorata, ancora confusa per quello che era successo. Silvana Bertolino era stata uccisa pochi giorni prima in modo brutale da una mano ancora ignota. Era stata uccisa nei bagni dell’Università Cattolica di Milano, aggredita e uccisa in una mattinata di luglio. Silvana stava per laurearsi, era passata per recuperare delle dispense nella libreria dell’Università…
La foto in bianco e nero del viso di Silvana è ingigantita sulle prime pagine dei quotidiani locali. La grana fotografica ne punteggia il biancore raggelato del viso, gli occhi spalancati fiduciosi su un futuro senza complicazioni…
Silvana non era una testa calda, si stava prendendo una laurea in lettere, sognava di insegnare nella scuola; la sua bellezza tranquilla rifletteva un temperamento posato e serio. Nei momenti liberi dallo studio, Silvana frequentava alcune amiche di Casale e di Vercelli, poi passava un po’ del suo tempo come volontaria alla Croce Rossa e tra le Dame di San Vincenzo…
Perché allora una ragazza così, lontana dalla violenza del suo tempo, dalle ideologie e dai contrasti della sua gioventù, ha trovato una morte tanto tragica?
Mentre il terrorismo di sinistra comincia la sua parabola di morte, mentre cominciano i primi spettacolari sequestri dei dirigenti delle fabbriche del Nord…
Mentre il terrorismo nero continua impunemente coi suoi turpi rituali…
Mentre masse di operai combattono contro il potere disumano della fabbrica, nella brutalità quotidiana di scintille, fumo e fiamme ossidriche…
Mentre avviene tutto questo, Silvana viene brutalmente massacrata un sabato mattina nei bagni di una labirintica Cattolica. Il suo corpo verrà ritrovato lunedì mattina da un seminarista che per caso sente il rumore di un rubinetto aperto proprio nei bagni femminili; l’acqua che scroscia e scivola giù nel buco nero dello scarico, unico suono nel silenzio arcano dei chiostri e delle infinite colonne ioniche e doriche del luogo…
Il giovane scoprirà il corpo di Silvana, accasciato a terra, immerso nel sangue rappreso. Sangue presente anche sui muri, sulle porte, segno della disperata difesa della ragazza…
Strisciate di sangue secco, grumi densi e pastosi ad ornare le gambe della ragazza, i calzari scoperti…
Nessuno si è accorto di nulla in quel sabato mattina? L’Università era quasi vuota, una squadra di operai lavorava poco distante con un martello pneumatico…
Voci e lettere anonime segnalano individui sospetti, soggetti da reparto psichiatrico che però col delitto non c’entrano niente…
Qualche telefonata anonima getterà fango anche su alcuni padri spirituali della Cattolica, a suo tempo allontanati dall’Università per aver dato fastidio a delle studentesse, ma anche questa pista non porterà a nulla…
(Dal romanzo di Mario Curcio, Un fantasma all’obitorio, distribuito nelle edicole nel 1989)
Il cimitero della Darola riposa nella quiete del vercellese, reliquia necromantica d’una chiesa sconsacrata, di un cimitero essiccato tra le risaie, devastato dallo scandalo delle profanazioni sataniche che lo hanno degradato a culto di magia nera, luogo inservibile e abbandonato, un relitto al cui interno cresce una flora selvaggia di rovi, escrementi vegetali a seppellire gli orpelli macabri delle sepolture borghesi. In quello scrigno di fiori appassiti e cianfrusaglie spente, tra la compiacenza malinconica di chi passeggia in questa depressione, le lapidi grigie di due gemelline inumate nel medesimo giorno in un reliquiario ottocentesco (…) La Darola è un cimitero maniacale, genesi graduale e ossessiva di un feticismo per cose che furono familiari, un ritorno del sinistro, di cronache vecchie, memorie defunte, pensieri ipnagogici agglutinati in modo allucinatorio…
(Da un dattiloscritto anonimo rinvenuto nell’inconscio librario della Biblioteca Civica di Vercelli)
“Ennesime tracce di un rituale satanico compiuto nella placida pianura vercellese. Gli ennesimi emuli di quello stregone del XX secolo che è Charles Manson? Qualcuno ha scambiato le Grange e il cimitero della Darola per la Valle della Morte americana? Quanto tempo è passato dagli anni convulsi dell’Era dell’Acquario, eppure qualche nostalgico è rimasto o si tratta solo di ragazzini immaturi imbottiti di cultura “splatter” e giornaletti violenti?”
“Qualche ragazzotto locale ha spaccato alcune lapidi e lasciato segni di candele rosse. All’interno della piccola cappella della Darola, segni di una grossa croce nera bruciata contro l’altare. Evocazioni occulte nei campi? Nel mondo dei cervelli elettronici continuano i crimini di qualche messa nera? Perché questi morti non possono riposare in pace?”
“In mezzo a queste tracce di rituali e malefici c’è ancora qualche vecchio che ricorda episodi lontani, dimenticati. Erano gli anni ’70, gli anni di una psicosi liberatrice, di un nuovo misticismo, dei conquistatori lunari. Da queste parti, lungo la strada delle Grange, qualcuno vocifera di uno strano episodio accaduto nel ’70 sempre nel piccolo cimitero nella risaia della Darola. Luci di lampade nella notte, invocazioni e urla disumane che provenivano dal perimetro del camposanto e imprecavano il nome di diavoli dimenticati. La mattina furono ritrovati oggetti strani, non riconducibili a una messa nera. Un aspersorio, i lembi di un paramento sacro, alcune ostie, del sangue, oltre che un recipiente pieno di acqua. I carabinieri misero tutto a tacere, bruciando i referti. Alcune voci parlarono di un esorcismo non autorizzato praticato durante la notte. Oggi è difficile risalire a quei testimoni e provare a capire se si sia trattato di una suggestione; resta il fatto che quelle voci collegavano l’esorcismo con un altro episodio terrificante avvenuto poco tempo prima: l’omicidio brutale di una giovane studentessa di Casale Monferrato (ma originaria di Leri Cavour, oggi borgo spopolato a due passi da Lucedio e dalla Darola) ammazzata nell’Università Cattolica di Milano. Di quell’omicidio non fu mai ritrovato il colpevole, almeno ufficialmente. Secondo alcune testimonianze anonime, il rito esorcistico praticato nella notte alla Darola aveva delle connessioni con un pittore che d’improvviso era impazzito e aveva cominciato a imprecare e dire parolacce, oltre che soffrire di sogni strani e di incubi legati al delitto. Anche lui abitava a Leri, negli anni ’60 prima che il paese si spopolasse del tutto. Malelingue parlavano di strani riti che venivano praticati di notte nei campi, strane luci sulle paludi. La gente si ammalava e moriva, senza che nemmeno il prete potesse farci nulla. E il pittore era sempre al capezzale dei morti, quasi ne volesse ritrarre l’ultimo alito di vita. Si spalmava i colori sul corpo, alle volte entrava nella chiesa di Leri e bestemmiava forte contro il crocifisso. Certe volte prendeva il treno e girovagava delirando. Poco dopo i ritrovamenti del presunto rito alla Darola, del pittore non se ne seppe più nulla. Dicevano che si era annegato nelle paludi, ma il suo corpo non venne mai ritrovato. Certi dicono di vederlo ancora, camminare nella baraggia, coi suoi pennelli e i colori sulle braccia… Troppo tempo è passato per investigare, troppe ombre e fantasmi continuano a invadere questi ruderi.
(Da alcuni ritagli tratti da “La Sesia”, collocabili tra il 1992 e il 2000)