NARBONA, IL VILLAGGIO FANTASMA DELLA VALLE GRANA E LA NEVE DI CROCELL
Era bello sapere. Conoscere il proprio passato che era riapparso e, come il sole, aveva bucato la nebbia dell’ignoranza. Avrei dovuto abituarmi a non essere più ciò che credevo in un vicino passato che sembrava distante anni luce. Abituarmi a convivere con il compito che mi era stato dato senza che io lo chiedessi. La tentazione era quella di tornare a Lymphae per farmi cullare dalle lunghe giornate pacifiche e prive di demoni, in compagnia di Sanahis e Matteo, ma sapevo che non mi avrebbero invitata molto presto e senza un loro esplicito invito non avrei mai più potuto tornarci. Nella lunga notte trascorsa all’Abbazia di Staffarda avevo appreso la storia di Willelm e di conseguenze anche la mia. L’irritazione e la diffidenza che avevano caratterizzato il principio del nostro approccio si erano man mano trasformate in profondo interesse e comprensione. Avevo pensato all’angelo nero come ad una sorta di parassita a cui necessitava un luogo in cui tornare a vivere e che, con l’inganno, aveva fatto sì che quel luogo fosse il mio corpo. Ascoltando le sue parole, la sua storia, le sue emozioni avevo compreso che non era come lo avevo immaginato. Da uno stato di estrema tensione e fastidio, con le braccia conserte sullo stomaco in un classico atteggiamento di chiusura e il più distante possibile da lui, mi ero ritrovata seduta sul bordo del tavolo, con gli occhi spalancati, in rigoroso silenzio e talmente vicino a Willelm da percepirne l’essenza bruciante.
Nella notte dei tempi, le forze luminose del bene combatterono con determinazione le potenti ed oscure forze del male. Ogni essere sulla terra aveva seguito la parte più intima della propria anima e schierandosi, si era battuto con ferocia e dignità. Vi erano però coloro che, per codardia, si erano tenuti alla larga dagli scontri. Chiusi nelle loro dimore, con le proprie ricchezze al sicuro, avevano preferito attendere la fine, qualunque essa fosse. Fu questo loro rifuggire dalle scelte e dalle responsabilità che li portò a divenire angeli neri. Chiusi in un mondo parallelo, dannati per l’eternità e costretti a rivivere solo tramite la possessione di un nuovo corpo.
Il nuovo corpo… il mio corpo.
Non era stato un caso che io fossi sul Ponte di Dronero in quel lontano giorno di tredici anni prima e non era stato un caso che Willelm fosse lì ad aspettarmi. Essere nata con la dote di Purificatrice era stata la mia condanna ed essere una delle più potenti mai esistite lo era ancora di più. Le forze del male tentavano da sempre, e senza che io ne fossi a conoscenza, di eliminarmi per poter aprire i portali e attraversare la soglia del nostro mondo. Nonostante i ripetuti tentativi non erano mai riusciti ad arrivare abbastanza vicini a me grazie all’amuleto Purificatore ed alla protezione ultraterrena del mio avo. Era stato per questo motivo che avevano inviato sulla terra, il demone della pioggia: Crocell, governatore di 48 legioni e comandante supremo dell’acqua, generato da Lilith e Adamo.
Ora tutto era chiaro. Il giorno in cui tentai il suicidio, la pioggia avvolgeva ogni cosa con violente scariche; le acque di fiumi e torrenti lambivano minacciosi le terre. Come in trance, richiamata da una voce suadente carica di false promesse, ero arrivata su quel ponte maledetto. Le acque torbide e grigie del torrente Maira mi chiamavano ed io volevo andare loro incontro come se si trattasse di farmi accogliere da un abbraccio materno. Willelm era rimasto nell’ombra, ad osservare e aspettare. Avrebbe potuto salvarmi, svegliarmi da quello stato di trance, ma non era questo che voleva. Se lo avesse fatto, avrebbe dovuto rinunciare a rivivere e soprattutto avrebbe dovuto mancare ad una promessa solenne.
Se capirai che la sua vita è realmente in pericolo,
portala a desiderare di perderla.
Portarla nel luogo magico, dove l’acqua scorre insieme ai flussi di energia
e salvala.
Queste erano state le parole del mio bisnonno e lui aveva promesso. Aveva atteso che il cappio scivolasse sul mio collo di adolescente. Aveva osservato i miei precisi movimenti per portarmi sul ciglio del ponte. Aveva aspettato di vedere la mia vita scivolare via, evaporare attraverso la mia pelle, simile ad una tiepida nebbia luminosa e quando aveva percepito l’ultimo battito di ciglia, l’ultimo faticoso tentativo di respirare era arrivato a salvarmi. Ricordo che, mentre sentivo il cappio che si allentava e poi l’acqua del torrente che mi accoglieva, mi domandai che cosa fosse successo. Perché mi trovassi lì.
Pensai che non volevo morire.
Ma mai avrei immaginato di essere una Rinata.
Il destino di Willelm era compiuto. Avrebbe albergato dentro di me, dividendo gli spazi con la mia anima ingombrante ed avrebbe fuso i suoi poteri con i miei per rendermi ancora più forte, per scontare la sua condanna e per mantenere una promessa.
Nulla aveva potuto fare Crocell per fermarlo. Non allora che il portale tra i due mondi non gli avrebbe permesso il passaggio. Ma ora il portale non era più un ostacolo per lui ed aiutato da Kobal, abile demone comandante dell’arte pittorica, si era impossessato di quella creatura indifesa di casa Invernizzi.
Ora che sapevo tutto mi sentivo forse un po’ più forte e più preparata ad affrontare l’ignoto. D’altra parte, ora potevo contare anche su Willelm che per così tanti anni era rimasto in disparte, ad attendere che io fossi pronta a riconoscerlo come parte di me. Ora avrebbe potuto palesarsi in ogni momento e non sarebbe più stato costretto all’inattività e al silenzio.
“Tornerai dentro di me o ti potrò vedere al mio fianco come ora?” gli chiesi con un lume di speranza.
Sorrise come fosse imbarazzato prima di sospirare e di guardarmi dritto negli occhi.
“Farò come tu vorrai. Sono vincolato a te per sempre. Dipendo da te per il resto dei tuoi giorni.”
L’ultima frase mi fece sorridere ed al contempo inorridire perché sottolineava come fosse eterno il suo esistere e come fosse invece passeggero il mio.
“Voglio che tu stia al mio fianco allora.”
“Come desideri. La mia immagine sarà al tuo fianco e la mia anima dentro di te.”
Mi sembrava un accordo perfetto.
Senza proferir verbo salimmo le scale ed uscimmo dall’Abbazia. Il cielo iniziava la sua trasformazione. Abbandonato l’abito da sera tempestato di stelle, indossava la seta gialla e arancione che il sole gli porgeva come omaggio. Mi voltai e sorpresi Willelm fermo sulla soglia a rapito da quell’incanto di colori. Mi parve persino di scorgere un luccichio nei suoi occhi scuri.
Lui si accorse che lo stavo fissando e subito si giustificò: “Perdonami. Sono tredici anni che vivo nel buio della tua anima…”
Mi sentii quasi in colpa per non averlo richiamato prima; per non essermi accorta di lui.
“Crocell ci aspetta. Dobbiamo andare.” Sentenziò risoluto.
Willelm sembrava sapere esattamente dove andare. Come qualsiasi comune mortale, camminammo lungo le strade ancora deserte fino a che non trovammo un anziano contadino che acconsentì a darci un passaggio fino a Saluzzo. Da lì fu relativamente facile giungere fino a Castelmagno. Il sole risplendeva alto nel cielo e finalmente assaporai di nuovo il ristorante tepore di una mattina estiva. La splendida vallata, dolcemente adagiata tra le valli Stura e Maira, era un tripudio di vegetazione e sonnolenta pace. Poco distate sorgeva austero il Santuario di San Magno dedicato al prode soldato della legione tebea. Imboccammo il sentiero ripido, unico collegamento di quel paesino abbandonato con il resto del mondo e piacevole passeggiata per i tanti amanti del trekking domenicale. Camminammo per più di un’ora, affiancati dagli alti frassini, superammo il rio Combaliere, prima di giungere, stanchi, tra le abitazioni desolate e strette attorno alla chiesa della Madonna della Neve. Mi fermai, completamente assorbita dall’atmosfera pregna di mistero di quel paesino a milleseicento metri d’altezza, abbandonato per sempre negli anni sessanta. Il campanile pareva vegliare sui ruderi spogli, come un genitore veglia sui figlioli indifesi. Fu proprio quando poggiai lo sguardo sul campanile che qualcosa cominciò a cambiare. L’aria si fece più tagliente e le pennellate calde del sole abbandonarono i muri come già avevano fatto gli antichi abitanti.
“Willelm…” sussurrai ricordandomi solo dopo, che non dovevo pronunziare il suo nome.
Entrambi rimanemmo immobili ad osservare le nubi nere che si addensavano all’orizzonte e che arrivavano da ogni lato, per convergere sopra di noi. I fulmini solcarono il cielo abbagliandoci e seguì il lamentoso ruggito del tuono. Un nuovo fulmine si diramò tra le nubi; al centro di esse si concentrò una più intensa e vasta luminosità da cui scaturì la sua distruttiva lancia dorata.
Willelm mi avviluppò come una calda coperta e mi portò ai margini del villaggio senza che neppure me ne accorgessi. Avevo solo sentito uno strano calore pervadermi e visto il villaggio allontanarsi come in un sogno.
Tra le scintille sfrigolanti, la bambina dalle gote rosa, si materializzò in tutta la sua apparente ingenuità. A tradirla, solo gli occhi; così crudeli e affamati.
“Crocell!” sbottai.
“Vedo che finalmente mi riconosci per quello che sono. Come hai fatto a trovarmi?”
“So che fosti tu a costringere gli abitanti di questo paese ad abbandonarlo. So che tutti si sono ripromessi di non farne parola con nessuno per non attirare le tue ire.”
“Ma qualcuno ha parlato evidentemente.” Rispose già meditando la sua vendetta.
“Ti sbagli. Nessun umano ha parlato.”
“Allora come fai a sapere?”
“Questo non ti riguarda.” Dissi, brusca.
“Sai chi sono io?” mi chiese inclinando la testa verso la spalla e sorridendo. Chiunque avrebbe potuto scambiarla per la smorfia simpatica di una bimbetta.
“Sei Crocell, governatore di 48 legioni e comandante supremo dell’acqua, generato da Lilith e Adamo.”
Chiuse gli occhi e assentì compiaciuto.
“E tu… tu chi sei invece? Perché credi di potermi sconfiggere?”
“Sono Clelia, Purificatrice appartenente all’ordine dei Rinati e sono l’angelo nero, guardiano dei portali e principe delle piante. E sono colei che ti rimanderà all’inferno.” La mia voce era bassa e minacciosa e anche se Crocell continuava a sorridere, io percepivo il vacillare della sua sicurezza.
“Qual è il suo nome?” sentii la sua voce diventare come una sorta di canto sommesso. Mi accarezzava la pelle facendomi rabbrividire.
“Qual è il suo nome?” le palpebre si fecero pesanti e sentii il primo delicato fiocco di neve posarsi sul mio viso. Agosto era di nuovo un miraggio e Crocell la realtà.
“Qual è il suo nome?” le mie labbra si mossero, senza che io potessi fare nulla per impedirlo, fino a prepararsi per pronunciare: Willelm, ma qualcosa dentro di me, serpeggiò come una scarica elettrica. Mi pervase da un’estremità all’altra. Sbarrai gli occhi. Attorno a me, alti muri di neve mi sbarravano ogni via di uscita. La neve mi turbinava attorno senza poggiarsi su di me e, guidata dalle mani esperte del suo padrone, mi si depositava attorno intrappolandomi.
Presa dal panico, mi arrampicai per tentare di uscire da quella prigione di neve.
Ferma! La voce di Willelm era forte e imperativa.
Se esci, per te è finita. Guardati intorno.
Lo feci. Attorno a me la distesa bianca era illimitata ed uniforme. All’altezza del mio collo.
È una trappola. Qui rimani viva. Appena esci, verrai risucchiata dalla coltre che ti tirerà giù come se avesse mille forti braccia.
“Cosa devo fare?” domandai.
Aspetta. Sarà lui a fare la prima mossa.
Attesi fino a che non notai che cadeva un numero minore di fiocchi. A quattro zampe, come una bambina giocosa, Crocell mi raggiunse e si sedette sul bordo della mia prigione bianca.
Se non sa il mio nome, non sa neanche come combattermi. Questa è la regola.
Annuii.
“Parla o non mi limiterò ad ucciderti.”
“Non puoi uccidermi. In parte sono già morta. E non puoi uccidere la parte di me che non è morta perché non ne conosci il nome.”
Il sorriso della bambina sfumò, lasciando il posto al broncio rosso di rabbia. Notai che aveva dei bellissimi occhi verdi.
Distrailo.
Mi venne in mente una domanda che avrei voluto porle già in precedenza.
“Che fine ha fatto tua madre?”
Il suo sguardo divenne diffidente e perplesso.
“Che t’importa di quella donna?”
“Era tua madre no?”
“Ha permesso che venisse concepito il corpo di cui avevo bisogno.”
“L’hai dipinta? Hai dipinto anche lei come tuo padre?”
La risata sguaiata invase tutta la valle, riecheggiando e stordendomi.
“Non mi ha permesso di eliminarti. Quella scema non mi ha dato la sua approvazione! Ho dovuto dipingerla.”
“Che fine fanno quando li dipingi?”
“Le loro anime si dibattono nell’ombra dolorosa.”
Non ebbe quasi il tempo di terminare quella frase.
Come serpenti, vedevo correre verso di noi, i rami verdi e carichi di foglie di un’edera. Correvano come tanti piccoli soldati pronti all’attacco. Iniziarono ad avvolgerla partendo dalle gambe.
Tocca a te ora! Apri il portale!
Sussultai e mi riebbi da quella specie di ipnosi che non mi permetteva di staccare gli occhi dai flessibili rametti che si attorcigliavano bramosi attorno alle caviglie grassocce e glabre. Fissai quegli occhi verdi, rabbiosi e senza nulla di umano e nella mia mente chiamai Willelm. Sentii i nostri poteri fondersi e creare come un vortice nel mio petto. Uno sfrigolio mi percorse le braccia. L’amuleto bruciò la maglia bucandola e, brillando come una stella, si fuse con le mie carni, che divennero rilucenti e dorate da spalla a spalla. Tutta la pelle brillava ora e la luce si protendeva come tante dita minacciose verso il volto esterrefatto di Crocell che, in un ultimo tentativo, chiamò a sé le acque che correvano sotto quel suolo dimenticato. Non mi lasciai distrarre dal liquido gelido che mi lambiva le caviglie e che saliva veloce, sciogliendo la neve e creando altra acqua da aggiungere a se stesso. Nemmeno quando arrivò al collo e tutto il villaggio fu sommerso dalle acque devastanti. Nemmeno quando finii sott’acqua, tirata giù dalle braccia infantili. Non mi spaventai quando sentii l’acqua scivolare in gola. Pensai solo al portale.
Il portale.
Denti aguzzi apparvero su ogni foglia dell’edera agguerrita, guidata da Willelm, che non aveva lasciato la presa. Denti aguzzi che affondarono nelle carni tenere di Crocell, dilaniandolo. Crocell fu costretto a lasciare la presa, ma io non riemersi. Rimasi lì, sott’acqua, a godermi lo spettacolo. A guardarlo sparire, centimetro dopo centimetro, fagocitato dai denti. Era così che avevo immaginato il portale in quel momento. Qualcosa che lo divorasse e che lo riportasse nel suo mondo fatto di ombra dolorosa.
L’urlo furente si propagò scuotendo violentemente me e ogni cosa arrivasse a sfiorare.
Quando l’edera-portale coprì il volto di Crocell, i tuoni si lamentarono per lui e un solo secondo dopo nemmeno una nuvola attraversava il cielo azzurro. Il villaggio di Narbona avrebbe per sempre custodito il suo segreto e nessuno mai avrebbe pensato, guardando quella rigogliosa pianta d’edera, che fosse un varco sull’infernale mondo di Crocell e delle sue 48 legioni. Il mondo dove l’acqua è un letale nemico da combattere.
Esattamente il contrario del languido mondo di Lymphae.
Mi appisolai sull’erba, esausta e felice, immaginando di essere proprio a Lymphae.
19/05/2008, Simona Gervasone