All’inizio degli anni 2000 scrivevo:
« Della letteratura pubblicata in Italia nell’ultimo decennio, si tratti di autori autoctoni come di scrittori tradotti (naturalmente non mi riferisco a traduzioni tardive), salvo poco: il Nove di “Superwoobinda”, il Moresco di “Clandestinità” (il racconto) e dei “Canti del caos” e qualche testo di Evangelisti (oltre ai romanzi iniziali del ciclo di Eymerich, “Sepultura”) per i primi, il “Lovecraf” di Houellebecq e “Corpi da reato” di Ellroy per i secondi; mi pare che il resto – a naso, lo ammetto e sono disposto a esser contraddetto – sia tanto poco interessante quanto è educato, pieno di buona volontà sociale più che di ossessioni personali e asetticamente progressista. È stata proprio questa insoddisfazione di fondo che mi ha condotto verso altri lidi, non ancora ben codificati in Italia perché noti solo a pochi a causa del fatto che i testi di cui sto per parlare si trovano, per quanto ne so, soltanto in tre librerie (Mondobizzarro a Bologna, Sotto Mondo a Treviso e Demos a Napoli), sono quasi tutti in inglese e infine, in quanto prodotti d’importazione, hanno un costo medio piuttosto elevato.
In sostanza, si tratta di opere – a volte non letterarie in senso stretto – che si possono inscrivere abbastanza agevolmente nell’underground apocalittico angloamericano di fine millennio (anche se la prima edizione di “Apocalypse Culture”, più scarna rispetto a quella attuale, risale al 1987). A scanso di equivoci è bene dire subito che, a differenza di quelli dei vari Ginsberg e Kerouac, tali libri sono caratterizzati da una complessiva collocazione ideologica “molto” a destra, quasi a estremizzare in anticipo (come non di rado accade in campo culturale) gli atteggiamenti politici oggi vincenti del neoconservatorismo americano. Si potrebbe aggiungere inoltre che il politically correct, con il suo tentativo di eccessiva bonifica materiale (per esempio, il fumatore visto come un pericoloso drogato da isolare) e mentale (per esempio, non devo neppure sognare di toccare il culo alla mia collega) produce l’apocalisse dei disvalori come appropriata altra faccia della medesima medaglia puritana. Se ciò non è vero per alcuni autori, soprattutto di area inglese, questa è complessivamente l’aria che si respira leggendoli.
In ogni caso, fra gli autori collocabili in questa costellazione sono proprio i casi più intollerabili che pongono le sfide intellettuali maggiormente interessanti: in particolare non esito a sbilanciarmi su un nome, Peter Sotos (in passato attivo anche come musicista con gli Whitehouse) che, ossessionato da temi come la glorificazione della pedofilia criminale, degli assassini seriali e dei nazisti, è senza dubbio scrittore di talento: un rilievo che diventa problematico fare senza esser confusi con gli apologeti del suo horror senza cornice, ma che pure gli si deve. Introvabile o quasi “Total Abuse”, si possono rintracciare “Index”, “Tick” e “Selfish, Little” – tre titoli presenti anche in traduzione francese – e inoltre “Special” – tradotto in tedesco –, “Lazy”, “Comfort and Critique”, “Predicate”; “Proxy”, infine, è una raccolta antologica di buona parte degli scritti citati.
Altro autore da leggere, questa volta realmente maledetto (si tratta di un poliziotto e serial killer poi ucciso in carcere), è Gerald John Schaefer, che nel suo “Killer Fiction” ci offre fra l’altro una descrizione degli effetti fisici della sedia elettrica (“Nigger Jack”) e un’analisi dei propri limiti comportamentali di omicida (“Early Release”) difficilmente superabili per la lucidità impietosa di cui dà prova.
Passando dalla realtà alla finzione, farò il nome di Jesus Ignacio Aldapuerta, autore “spagnolo” che credo sia una pura invenzione letteraria degli inglesi Kerekes/Slater o di qualche loro collaboratore particolarmente creativo, data la stravagante introduzione al suo libro “The Eyes” con riferimenti abbastanza evidenti a “Killing for Culture” (l’indagine sugli snuff-movie della coppia sopracitata): comunque sia, Aldapuerta ci propone degli iperbolici testi erotico-grotteschi ricchi di humour nero che non sfigurerebbero affatto accanto a quelli di Ballard o ancor più di Ranpo; la conclusiva “Pornoglossa”, nella quale viene criptato un intero lessico sadico, poi, sfiora il puro sperimentalismo.
Se veniamo ad autori di stampo più saggistico, un posto importante è quello occupato dall’estremista di destra Michael Moynihan, autore con Didrik Soederlind del ben documentato e – quasi – equilibrato “Lords of Chaos”, sul black metal norvegese, la sua connessione con gli incendi delle chiese e la figura del musicista assassino Varg Vikernes (Burzum), e di due testi – brevi ma non per questo meno rilevanti – compresi nell’antologia “Apocalypse Culture II – Inaugurator of the Pleasure Dome: Bobby Beausoleil” (a proposito dei paradossali effetti benefici che la detenzione avrebbe sulla sessualità del sodale di Charles Manson, in cui si possono rinvenire, empiricamente tradotti, gli insegnamenti di Evola in merito) e “The Fecal Sorcerer” (sorprendente incontro di alchimia e chimica a livello di contenuto che trova un’adeguata soluzione formale in una scrittura a metà strada fra resoconto giornalistico e racconto); Moynihan è anche il leader del gruppo musicale Blood Axis: sulla musica “apocalittica” ci sarebbe da fare una lunga parentesi, ma la mia scarsa competenza in materia non me lo consente.
L’austriaco Kadmon, autore delle fanzine “Aorta” e “Ahnstern” (oltre che musicista come Allerseelen), offre spunti di riflessione a tratti stimolanti, che danno la sensazione d’una destra assai disinvolta nei propri riferimenti culturali: in particolare, si vedano i numeri di “Aorta” dedicati ai body-artist Schwarzogler (che viene deromanticizzato), Beuys (accostato alla religione egizia) e al percussionista Z’ev.
Nell’antologia “Cult Rapture”, insieme al saggio nazista di un assassino psicopatico come Joseph Haynes (“The Sex Economy of Nazi Germany”, che mira a contestare la teoria della repressione sessuale di Reich: “Wilhelm Reich dice “Fate l’amore – non la guerra”. Adolf Hitler dice: “Fate l’amore – fate la guerra”), si può trovare “How to Frame a Patriot” di Barry Krusch: una decostruzione della menzogna linguistica di un articolo giornalistico come non ne leggevo da quando mi trovai di fronte per la prima volta i saggi di Karl Kraus; proprio il fatto che due testi così opposti si trovino fianco a fianco sottolinea inequivocabilmente come il curatore ed editore (Adam Parfrey, fra i più noti propugnatori del “chaos for cash”) cerchi solo l’estremo per l’estremo, senza distinzioni ideologiche, allo scopo di vendere, scopo legittimo soprattutto se venisse apertamente dichiarato; accampar scuse intellettuali come fa lui, invece, da un lato mette il lettore di fronte a un giochetto che presto diventa prevedibile e dall’altro dimostra – al contrario di quanto vorrebbe Parfrey – proprio un’ideologia di estrema destra: basta pensare come una locuzione ossimorica del tipo “rivoluzione conservatrice”, che ben si adatta sotto il profilo della formula linguistica a descrivere l’operazione di “Cult Rapture” (“rivoluzione” = sinistra, “conservatrice” = destra), sia legata ad ambienti storicamente tutt’altro che al di sopra delle parti.
“Critical Vision”, altra raccolta antologica edita dagli inglesi Kerekes/Slater, propone una scelta degli articoli apparsi sui primi numeri della loro rivista di cultura estrema “Headpress” (che, ad esempio, fu fra le prime a valorizzare Buttgereit, sul quale poi Kerekes avrebbe scritto la monografia “Sex Murder Art”): oltre a deliranti non meno che maniacali lettere inedite (perché considerate eccessive) inviate a riviste porno, vi si può leggere “Hitting below the Belt” di Simon Whitechapel, una intensa e puntigliosa riflessione sulla violenza (memorabile l’aforisma: “I regimi che fanno ciò che De Sade approvava, non approvano De Sade”).
Lo stesso Whitechapel, con “Intense Device” propone saggi tanto bizzarri quanto culturalmente ricchi (un solo titolo: “Gilt by Association – From H. P. Lovecraft to Electronic Distortion by way of the Malayalam Alphabet”), ricchezza che non gli difetta neppure quando si dedica al romanzo (“The Slaughter King”, in cui il mito greco viene rifunzionalizzato a fini noir).
“Rapid Eye Movement” di Simon Dwyer (altra antologia dell’omonima rivista) è un buon esempio di come la critica nata dall’estetica punk sappia proporre indagini su momenti diversi ma sempre importanti dell’ultima avanguardia artistica (Genesis P.-Orridge come Gilbert & George) e di tenere a battesimo dei quasi capolavori del giornalismo di viaggio (il lungo saggio “The Plague Yard: Altered States of America”, in cui la parte più discutibile, ma comunque feconda, mi sembra quella in cui l’autore ricerca un’impossibile fruibilità classica per l’arte odierna). Sia “Critical Vision” che “Rapid Eye” sono orientate in maniera più selettiva sotto il profilo ideologico (soprattutto la seconda) e nell’insieme danno l’impressione di una maggiore reattività critica al contemporaneo rispetto a quanto accade negli USA.
Lo stesso dicasi per un personaggio prematuramente scomparso come James Havoc, autore di “The Butchershop in the Sky” testo di tale ricchezza lessicale da far impallidire tutti quelli fin qui citati, anche se, purtroppo, soltanto abbozzato in alcune sue parti (e il sottotitolo – “Premature Ejaculations” – appare ben rispecchiare l’incompleta espressione di questo autore).
In conclusione, dato l’obiettivo pubblico di nicchia della cultura apocalittica, pare comunque che all’underground di fine millennio sia riuscito fin troppo bene il momento eroico, e molto meno quello cinico della museificazione (per ricalcare la formula adottata da Sanguineti a proposito dell’avanguardia): in altri termini, i suoi lettori non sono certo diventati troppo numerosi, almeno allo stato attuale; sulle cause sarà forse il caso di interrogarsi in futuro. Questo, per il momento, valga come una sorta di consuntivo parziale e del tutto soggettivo: da un lato mi manca infatti la lettura di almeno un libro importante, “Lord Horror” di David Britton (offertomi alla modica cifra di trecento sterline), mentre dall’altro ho volutamente evitato di trattare scrittori che ho trovato poco interessanti (il “povero bianco” Goad, o il catalogatore Swezey – assai meglio come editore) oppure personaggi sotto alcuni aspetti notevoli, ma marginali rispetto al mio discorso (Juno/Vale, Metzger o Petros). Il consiglio è: “Adelante, Pedro, con juicio”. (Nota: il primo a recensire molti degli autori qui citati fu Fabrizio Li Perni, sulle pagine di “Flesh Art”, diversi anni fa; di Li Perni vorrei qui ricordare il singolare articolo “L’odore della morte”, apparso su “Nocturno Book n.9 Mondorama”).»
Riletto oggi, all’inizio del 2021, questo articolo mi fa pensare ai molteplici scrittori a cui diede vita Pessoa, o a uno di quei racconti di Borges in cui l’autore argentino inventava magistralmente letterati e biblioteche intere, oppure a “La letteratura nazista in America” di Bolaño… ma no, nel mio caso è tutto rigorosamente vero e documentato, purtroppo: dopo tanti anni, neppure uno degli autori citati ha avuto l’onore di una traduzione italiana, a esclusione di un’edizione ridotta di “Culture dell’Apocalisse” (ai curatori della quale rendo un sentitissimo ringraziamento per avermi indirizzato sui sentieri percorsi nel mio vecchio articolo) e del libro di Michael Moynihan e Didrik Soederlind (forse per i riferimenti alla musica e al satanismo). Nel frattempo, le tre librerie italiane citate all’inizio sono scomparse. Se avrò tempo, voglia e capacità (soprattutto) non escludo di analizzare i testi e gli autori più interessanti fra quelli nominati (cosa che a dir la verità ho già incominciato a fare, sia pure qua e là e non in maniera organica): perlomeno, sarà il primo caso in cui la critica risulterà inappellabile nei suoi giudizi, dato che a nessun provinciale italiano verrà voglia di leggere le opere citate per poi criticare l’estensore esotista di queste righe.
Finalmente, nel 2020 lessi “Lord Horror” su internet al costo di 0 euro. All’epoca di “Letteratura estrema” dimenticai di dire che il romanzo (ripeto: “romanzo”) di Britton fu messo al bando (nel 1992 in Inghilterra!) con l’accusa di antisemitismo e divenne pressoché introvabile (per questo il costo del libro era lievitato in maniera così eccessiva). Il demenziale provvedimento non merita neppure di essere preso in seria considerazione e a sua volta censurato. Piuttosto, mi pare che una frase di “Lord Horror” commenti degnamente l’atteggiamento generale dell’odierno Occidente nei confronti delle forme avanguardistiche di arte: “L’avanguardia era messa fuorilegge in Germania non perché una cultura superiore è intrinsecamente più critica. In effetti, il problema con l’arte e la letteratura d’avanguardia, dal punto di vista di Hitler, non stava nel fatto che essa era troppo critica, bensì troppo “ingenua” – troppo difficile per essere trasferita dalle tecniche di propaganda al popolo. Da questo punto di vista, il kitsch era molto più malleabile. Il kitsch aiutava Hitler a identificarsi con l’anima della sua gente e a tenersi in stretto contatto con essa. Se la sua cultura fosse stata di un livello superiore rispetto a quello della massa, ci sarebbe stato un pericolo di isolamento”.