FUGHE DALLA REALTÀ: HIERONYMUS BOSCH, AUSTIN OSMAN SPARE, I LORO “UNIVERSI PARALLELI” ANCHE NELLA DIMENSIONE DEL SOGNO…

Alcuni studiosi della psiche umana si sono avventurati nella non facile impresa di interpretare la produzione artistica di Hieronymus Bosch in base a quello che avrebbe potuto essere il suo carattere.

Hieronymus Bosch – ma poi vedremo che questo non era il suo vero nome – nasce forse il 2 ottobre 1453 a ‘s-Hertogenbosch, una città nel sud degli odierni Paesi Bassi, vicino a Tilburg.

Poco più di trent’anni più tardi lo troviamo tra i confratelli di un’associazione di uomini e donne denominata “Nostra Diletta Signora” (“Lieve-Vrouwe Broederschap”, destinata a laici ed ecclesiastici, raffigurata da un giglio tra le spine – sicut lilium inter spinas) dedita al culto della Vergine.

Ma alcuni studiosi “non di stretta osservanza hanno ipotizzato anche una sua appartenenza ad altre “sette” come quella degli “Homines intelligentiae” ispirata a un’eresia che prevedeva il nudismo e il libero amore come tramite per giungere a una rinascita della “innocenza paradisiaca” prima del biblico Peccato originale.

Qualche psicanalista ‘”eretico”, come per esempio Kurt Hubner, si è avvalso anche di presunti ritratti dell’artista, in cui Bosch appare con il “pomo d’Adamo” prominente, magro, con le labbra sottili e il volto affilato: tutte caratteristiche che lo farebbero classificare tra gli astenici o leptosomici, con un temperamento schizotimico, proprio di un individuo che non si accontenta mai delle vie di mezzo, capace di passare dalla più grande euforia alla più cupa depressione.

In questo dipinto di Bosch sembrerebbe che il personaggio con lo strano cappello e con l’ancor più strano corpo sia proprio il geniale artista olandese. Praticamente tutta la sua produzione artistica è dominata da immagini, personaggi, situazioni che sembrerebbero frutto di un alterato stato di coscienza. Naturale o meno…

“… le labbra sottili e il volto affilato…” quello raffigurato sopra è veramente un autoritratto del geniale Hieronymus Bosch visibile nell’antica stampa che vedete sotto?

Che abbiano ragione gli psicanalisti, secondo i quali l’opera d’arte è un fenomeno di proiezione dell’inconscio dell’artista?

In base a questa chiave di lettura, nel caso di Bosch emergerebbero chiare tendenze sado-masochiste, sommate a una nevrosi ossessiva. Jacques Lacan, esponente della scuola freudiana di Parigi, ha messo inoltre in evidenza le frequenti scene di castrazione, di smembramento, di divoramento riconoscendovi le immagini aggressive che tormentano da sempre il genere umano.

Un altro psicanalista, Pierre Rabin, ha invece individuato le latenti, ossessive pulsioni erotiche di Bosch soprattutto nel pannello centrale del “Trittico delle Delizie”, in cui l’artista sembra proiettare le sue cupidigie sessuali nella sfera lasciva del demonio.

Trittico delle Delizie

Non manca anche chi ha ravvisato in lui un mai risolto complesso di Edipo, sia nel cambiamento del cognome da van Aken a Bosch, nelle frequenti raffigurazioni delle tentazioni di Sant’Antonio (il nome del padre) e nell’aver sposato una fanciulla che si chiamava Aleyt, lo stesso nome della madre.

Ma ciò che a chi scrive appare altamente probabile è che Jeroen Anthoniszoon van Aken (1453 – 1516), il vero nome del nostro immaginifico pittore, abbia voluto “fuggire dalla realtà” e rifugiarsi in un “universo psichedelico”…

Hieronymus Bosch e la sua “fuga dalla realtà” in un universo psichedelico?

Perché non considerare che uno dei più stravaganti e geniali artisti che il variegato mondo della pittura abbia mai prodotto, Hieronymus Bosch, abbia voluto esplorare il proprio subconscio che poi ha raffigurato nei suoi inquietanti dipinti?

Qualche ipotesi, conoscendo un po’ la vita dello strano artista olandese, forse ci è concesso formularla.

Un passo indietro nel tempo…

Scrive Erodoto di Alicarnasso (484 – 425 a.C.), nel Libro IV, Cap. 75, delle sue Storie… “[…] Gli Sciiti gettano sulle pietre arrossate dal fuoco grani di canapa che hanno portato; essa fuma subito e spande un vapore abbondante come quello di una stufa greca. Questo vapore eccita gli Sciiti al punto che lanciano grida di gioia [...]”.

Ma era già dall’VIII secolo a.C., che gli Assiri fumavano la qunnabu, mentre a Tebe, secondo Diodoro Siculo, gli antichi egiziani preparavano, con una particolare pianta, pozioni che procuravano effetti simili a quelli dell’oppio.

In India questa strana pianta viene menzionata in testi medici del 1000 a.C. ed è chiamata “guida celeste” e “addolcitrice delle pene”, mentre i Cinesi, che sembra la conoscessero fin dal III millennio a.C., la definivano “fonte di gioia” e “redentrice dei peccati”.

Ebbene sì, stiamo parlando proprio della famigerata “Cannabis indica”, oggetto di infinite critiche, ma anche di lodi incondizionate sia da parte di alcuni eretici esponenti della classe medica, sia da parte degli inossidabili cercatori di “paradisi artificiali”.

Perché parlare di questa pianta definita “colei che segue l’uomo” per la sua eccezionale capacità di migrazione e di adattamento alle diverse condizioni ambientali?

Perché occuparsi delle sue proprietà – al pari di molte altre piante contenenti sostanze psicotrope – di influenzare la capacità di percezione della realtà circostante?

Ebbene un motivo è l’ipotesi in base alla quale quel grande ed ineguagliabile pittore del ‘500, Hieronymus Bosch, trovasse – diciamo così! – l’ispirazione attraverso l’assunzione di particolari droghe psicotrope, prima tra tutte la “Cannabis indica”, ai giorni nostri più conosciuta come Marjuana.

Evitando il ricorso a inutili voli pindarici e a metafore fuor di luogo, Bosch assumeva veramente qualche droga psicotropa?

Tale ipotesi, affatto peregrina, fu formulata anni fa dallo studioso Robert Delevoy alla ricerca, come molti altri appassionati indagatori, di una traccia, di indizi, di sentieri proibiti da percorrere per fornire una spiegazione al particolare e forse unico stile pittorico di Jeroen van Aken nelle cui opere dipinse un universo assolutamente teratologico cioè un mondo in cui le mostruosità animali dominavano la scena aggiungendovi una dimensione prettamente onirica.

Cosa lo spinse a raffigurare una stupenda realtà demoniaca interagente con l’immanente realtà quotidiana?

Occulti legami con una setta eretica come quella prima citata?

Proibite letture? Disturbi della personalità?

Oppure… assunzione di droghe allucinogene che lo proiettavano in un universo psichedelico che, poi, egli rappresentava nelle sue inquietanti tele?

Lo studioso Robert Delevoy ha ipotizzato infatti che alla base delle allucinanti creazioni dell’inquietante Hieronymus ci fossero delle esperienze oniriche di matrice – diciamo così – psichedelica, originate dall’uso di pozioni o pomate all’epoca ben note anche perché di uso abbastanza comune nell’ambito di chi si dedicava a pratiche occulte, o quantomeno eretiche come, forse, tra i membri della setta dei “Fratelli e Sorelle dello Spirito Santo” di cui sicuramente faceva parte l’artista olandese.

Tale ipotesi, affatto peregrina, fu formulata anni fa dallo studioso appena citato in base alla sua ricerca di una traccia, di indizi, di sentieri proibiti da percorrere per fornire una spiegazione al particolare e forse unico stile pittorico di Hyeronimus Bosch.

Per concludere con Bosch, aggiungeremmo che il professor Peuckert, dell’Università di Gottinga, anni fa condusse una serie di esperimenti e, avvalendosi di una ricetta rintracciata in trattati del ‘500, ricompose un unguento delle streghe a base di prodotti vegetali che sui volontari studenti produsse una sonnolenza prolungata, pullulante di allucinazioni, orge con creature infernali, aggressioni da parte di esseri mostruosi… tutto ciò che possiamo ammirare anche nelle opere del singolare artista di Saint Hertogenbosch.

Hans Baldung Grien (sopra) e il suo “Sabba delle streghe”, 1508 circa

Ovviamente non ci sono precisi elementi per affermare che egli si avvalesse di “aiuti” di natura vegetale per entrare in quella particolare condizione di spirito in cui avrebbe potuto avere visioni o distorsioni della realtà che poi avrebbe magistralmente tradotto in immagini sui suoi dipinti.

Però, ci piace immaginare il leptosomico Hieronymus mentre mescola in un calderone la “Atropa belladonna”, la “Digitalis purpurea”, la “Datura stramonium” o, accanto a un braciere acceso, mentre aspira – come gli antichi Sciiti – gli inebrianti vapori dei semi e delle foglie della… “Cannabis indica” per raggiungere un suo particolare stato alterato di coscienza…

Uno dei vari demoni a tutto tondo che l’artista olandese poteva ammirare quotidianamente anche nella sua città natale, ove essi ornavano palazzi e chiese. Fu fonte di ispirazione – insieme ad altre possibili concause – della sua “fuga dalla realtà”, della sua sulfurea produzione pittorica?

Le letture proibite di Hieronymus

È anche probabile che l’incredibile “universo onirico” raffigurato sulle sue ineguagliabili tele sia stato influenzato da proibite letture quali, ad esempio, la “Visio Tnugdali”.

La “Visio Tnugdali” è un’opera scritta il latino, nel 1149, da un monaco benedettino di origine irlandese, Fratel Marco, che viveva in un convento di Ratisbona.

Il protagonista, Tnugdalo, è un cavaliere crudele, empio e vizioso, il quale, durante un banchetto viene selvaggiamente colpito al capo da uno dei suoi debitori. Mentre Tondalo rimane in uno stato di incoscienza per ben tre giorni, la sua anima – accompagnata nell’Aldilà dal suo “angelo custode” – quasi una dantesca Commedia un po’ ante litteram ma anche quasi un incontro con un Guardiano della Soglia – prende coscienza delle durissime pene cui i dannati sono sottoposti nelle regioni infernali e, ritornata nel corpo del violento cavaliere, lo redime trasformandolo in un uomo pio che distribuirà tutti i suoi averi ai poveri.

La “Visio Tnugdali” è un testo latino scritto nel 1149 dal monaco irlandese Marcus nel XII secolo. Riporta la visione ultraterrena del cavaliere irlandese Tnugdalo. In questa immagine è raffigurata la “Bocca dell’Inferno”.

L’edificante avventura di Tnugdalo fornisce all’autore lo spunto per lanciarsi in apocalittiche, mostruose raffigurazioni dei peccatori, raffigurazioni che puntualmente riscontriamo, ad esempio, nello scomparto destro de “Le costruzioni infernali” del “Trittico del fieno”, in cui un cavaliere (Tnugdalo?) su un vitello, tiene in mano un calice d’oro, nei pressi di un ponte infernale, e nello scomparto “Inferno musicale” del “Trittico delle delizie”, in cui un mostro bluastro divora i dannati e li espelle successivamente dal proprio corpo.

“Inferno musicale” del “Trittico delle delizie”, un mostro bluastro divora i dannati e li espelle successivamente dal proprio corpo.

Austin Osman Spare, un altro “viaggiatore del sogno”

“…Ho inviato la mia anima nell’invisibile,
a decifrare qualche lettera del dopo vita:
e in un baleno la mia anima è tornata,
e mi ha detto che io stesso sono paradiso e inferno…”

…scriveva l’enigmatico esoterista Austin Osman Spare a commento di una sua suggestiva serie di disegni – che dall’Inferno di Dante traggono ispirazione – raffiguranti una moltitudine di “entità” che sarebbero poste a proteggere il confine posto a separare questa “realtà immanente” dai “mondi del limitare”, dalla “realtà trascendente”. Austin Osman Spare, una strana figura di artista e di studioso delle “realtà parallele”, nasce a Snowhill, un sobborgo nei dintorni di Londra, ma egli stesso non sapeva dire se il lieto evento si fosse verificato il 31 dicembre del 1888 o il 1° gennaio 1889.

Fin dai primi vagiti la sua figura quasi aleggia – una sorta di Giano bifronte – in uno strano limbo collocato tra Passato e Futuro…

Una foto giovanile di Austin Osman Spare, un “viaggiatore del sogno”

La sua prima opera fu “The Book of Pleasure”, in cui il ventenne Austin – poi definito addirittura “occultista satanico” – mescolò sapientemente inconsuete espressioni artistiche e ancor più eterodosse attività sessuali per esplorare gli infiniti “universi mentali” che si annidano nel subconscio di ogni individuo.

Alcuni disegni di Spare appaiono molto significativi ai fini di come si possa interpretare la realtà trascendente, i “mondi di confine” ai quali in determinate circostanze, mediante particolari tecniche – alcune di derivazione orientale – e a volte anche con l’ausilio di droghe psicotrope, ci si possa affacciare anche se per breve lasso di tempo e in modo nebuloso. Siano essi appartenenti a realtà extradimensionali – le recentissime prospettive della fisica contemplano universi a undici e più dimensioni – sia facenti parte di zone ancora del tutto inesplorate della nostra mente!

Una significativa opere dell’artista londinese, in cui emergono aspetti del suo interesse per la sessualità ma anche per le dimensioni sulfuree…

Per l’esoterista inglese – ma anche per chi scrive… – squarciare il velo di separazione tra le due realtà in cui consapevolmente o meno navighiamo, affacciarsi anche se per brevi attimi e quasi annaspando nel “mare magnum” di nebbia che offusca l’anima e la mente di colui il quale intenda vedere oltre la Soglia, ha come naturale conseguenza una sorta di ristrutturazione della personalità, una modificazione forse irreversibile dell’Io dell’iniziando, un diverso modo di concepire i concetti di spazio e di tempo.

Austin Osman Spare in età matura. Viveva in una “artistica confusione”, attorniato dai gatti che costituivano i suoi unici compagni, forse il suo unico vero contatto con la realtà immanente…

Su Austin Osman Spare potremmo andare avanti per pagine e pagine, ma lo spazio è tiranno e allora vorrei concludere con un altro eclettico “viaggiatore del sogno” che ben conosco da quasi quarant’anni: l’avvocato Mario Venditti il quale ha saputo armonizzare la sua lunga esistenza tra gli aspetti più tragicamente immanenti del complesso mondo in cui viviamo, popolato anche dai personaggi dei quali egli si è dovuto occupare come penalista, con una sua concezione degli universi onirici nei quali rifugiarsi per sfuggire, quando possibile, al gucciniano “tedio a morte del vivere…”.

“… L’emotività vissuta in sogno, finalmente al primo posto nella sua anima, gli fa incontrare il grande amore… Ma anche nei sogni può far capolino, magari anche solo a livello subconscio, qualche ricordo della vita vera precedente… Finalmente libero, parte per mete sconosciute alla ricerca di una nuova vita. Ma non è così facile. Si rimette in viaggio per tornare a casa…”

Roberto Volterri

Intriganti memorie ed esperienze di viaggi reali ed onirici nel recentissimo libro dell’avvocato Mario Venditti, FAMMI SOGNARE ANCORA, ora su Amazon, cartaceo ed e-book…