LE METAMORFOSI

I

Inventato uno strumento nuovo – che volle chiamare “Lo sguardo di Heimdall” e che, in sostanza, era un cannocchiale – l’astronomo di corte, Snorri Diapason, si diede a studiare i fenomeni celesti. Per osservarli meglio, passava lunghe nottate all’aperto, col risultato che il suo organismo divenne sempre più sensibile al nefasto influsso della Luna; prova ne sia che, dopo cinque mesi trascorsi a tu per tu con le stelle, il bravo scienziato, ogni volta che il satellite riluceva all’apice del proprio fulgore, si trasformava regolarmente in lupo mannaro. Quando invece, a causa di un’eclisse, la Luna si tingeva d’un rosso tenebroso e torbido (molto simile, probabilmente, a quello del sangue rancido che circola nelle vene putrescenti di Hel, padrona degli inferi), Snorri assumeva subito sembianze di vampiro – mentre i canini, ovviamente, cominciavano a debordargli dalle labbra.

Simili episodi, senz’altro incresciosi, lo spinsero a riflettere sulla natura non solo dell’uomo, ma anche della Terra – e a temere fortemente che persino quest’ultima (soggetta com’era, da ere immemori, alla presenza ingombrante della Luna) fosse a rischio di metamorfosi poco piacevoli.

II

«Ti ascolto», annuì re Harald Clacson, assiso in trono, e Snorri chinò il ginocchio a sfiorare il pavimento di pietra, in segno di devoto ringraziamento; poi si risollevò, per esprimersi così: «Già sapete, altezza, delle preoccupazioni che nutro e se oggi vi ho chiesto udienza, qui nella sala del consiglio, è per un semplice motivo: ho trovato la spiegazione, finalmente! In tutti questi millenni la Terra non s’è mai trasformata, perché ogni notte l’influenza della Luna è stata sempre controbilanciata e neutralizzata da quella del Sole, che intanto splendeva indiscusso sul versante opposto del pianeta. Però che mai succederebbe se, a un tratto, avesse luogo un’eclissi solare?».

«Per Odino! Dunque esistono anche le eclissi di Sole?!», esclamò il sovrano, profondamente turbato.

«Non lo so con certezza, mio sire, ma se una di esse, come dicevo, si verificasse, ecco che l’intero globo – rimasto senz’alcuna difesa equilibratrice che agisca, fra virgolette, da contrappeso – non sarebbe più al riparo dai malefici effetti della Luna. E se a quel punto scoprissimo che la Terra, dannazione!, è licantropa proprio come il sottoscritto? Oh, sarebbe un disastro, maestà! Perché il mondo su cui viviamo potrebbe all’improvviso trasformarsi… in Fenrir, magari, il grande lupo cosmico che, come narrano le profezie, divorerà l’universo alla fine dei tempi e degli dei. Oppure» – continuò l’astronomo, in tono inorridito – «potrebbe nientedimeno tramutarsi in un altro pianeta: Giove, ad esempio! E allora tutti noi, avvolti a tradimento da un’atmosfera aliena di gas venefici, moriremmo all’istante! Certo, una volta terminata l’eclissi, la Terra ritornerebbe se stessa, come accade a me di mattina, dopo le nottate di Luna piena o rossa. Però intanto, della razza umana, non vi sarebbe più traccia… a parte, forse, una miriade di cadaveri, sparsi per nazioni e continenti».

III

Sul monarca e lo scienziato era piombato un silenzio intollerabile, che brulicava di pensieri cupi. A interromperlo fu Harald, colpito da un’intuizione repentina: «Emigrare su Marte è l’unica soluzione, a mio parere. Se non sbaglio si tratta di un pianeta che, secondo le tue rilevazioni, ricorda il nostro molto da vicino, anche in quanto alla composizione dell’atmosfera. Per cui se i mastri falegnami riuscissero a costruire, sotto la tua guida, una flotta di drakkar volanti, in grado di solcare gli spazi siderali, noi variaghi svedesi – in cambio di denaro, si capisce – potremmo caricare i notabili delle altre stirpi e degli altri Paesi, per poi salpare via verso Marte!».

«No, no. Troppo pericoloso…» – ribattè Snorri, sospirando di costernazione e scuotendo la testa – «Figuratevi, mio signore, che lassù di lune ce ne sono due, addirittura!».

Pietro Pancamo