DA SOTTOTERRA

Se vuoi conoscere ciò che sei, non guardare ciò che sei stato,     
ma l’immagine che aveva Dio nel crearti (Evagrio il monaco)
 
 
 
 
I shall reign in blood (Slayer, raining blood)
 
 
Tutto cominciò dopo l’ultima lezione di quella mattina. Insegno storia e lettere in un liceo scientifico. Avevo parlato di inquisizione e dell’inferno di Dante. Sinistra coincidenza, come vedrete. Uscita da scuola trovai la bicicletta con entrambe le ruote bucate. Lacerate. Mi guardai intorno sconsolata. Alcuni studenti fumavano nel cortile a pochi metri da me. Distolsero subito lo sguardo da quella stronza della prof. Altri parlavano al telefonino o mangiavano panini attirando piccioni. Un tram passava sferragliando nella via davanti alla scuola, oltre la ringhiera di recente ridipinta color grigio fumo. Decine, centinaia tra milanesi e turisti affollavano i marciapiedi, poco distante dalla Stazione Centrale. Il tram incrociò due jeep dell’esercito in pattuglia. Traffico e caos. Come sempre. Milano fa male, ho letto una volta su una locandina. E’ vero.
Fu in quel momento che cominciò l’orrore. Notai il cadavere di un nero in mezzo alla strada, sui binari del tram. E un essere simile a un granchio su due zampe che infieriva sul corpo con una sorta di mazza chiodata. Rimasi inebetita a fissare la scena. Soltanto nel momento in cui i due vennero travolti dal tram distolsi lo sguardo: e quando tornai ad osservare la scena non c’era più traccia né del mostro né del poveraccio. Scomparsi. Nessuno sembrava essersi accorto di nulla. Ebbi un mancamento. La più antica e forte emozione dell’uomo è il terrore, mi sembra scrisse H. P. Lovecraft. Ed il terrore adesso era lì. Con me, intorno a me.
***
 
Mi risvegliai alcuni minuti dopo circondata da un capannello di studenti e colleghi. Ero sdraiata nel cortile mentre l’insegnante di eduzazione fisica mi reggeva il capo. Qualcuno aveva portato una lattina di aranciata. Un’allucinazione, non poteva essersi trattato d’altro. Rassicurai tutti dando la colpa a un banale calo di pressione e lasciai la scuola. Desideravo soltanto mettermi sotto la doccia. Sarei tornata a casa in metropolitana: alla bicicletta da riparare avrei pensato un altro giorno. Svoltai l’angolo di viale Tunisia ed entrai in corso Buenos Aires.
Si nascondeva dietro il chiosco di un ambulante cinese che vendeva scarpe e ombrelli. Come mi vide balzò fuori. Impugnava un’ascia. Urlai, ma come per il nero massacrato sui binari del tram nessuno diede segno di vedere nulla. Ancora una volta quell’incubo sembrava essere un problema soltanto mio. L’essere era alto, robusto, vestito di un saio marrone, e non aveva la testa. Lasciai cadere la borsa di cuoio piena di appunti e temi da correggere e cominciai a correre.
                                                                                                 
***
La metropolitana. Alla prima stazione che incontrai, quella di Porta Venezia, decisi di scendere. Mi scoppiava la milza. Non avrei resistito ancora a lungo. Caddi rovinosamente lungo le scale e mi trovai a terra con una caviglia slogata. Ancora una volta nessuno intorno a me sembrava essersi accorto di niente. Ma anche l’uomo senza testa era scomparso. Lasciai passare alcuni minuti. Silenzio. Presi la decisione di rivolgermi ad un buon specialista. Evidentemente ero io, non il mondo. Arrivò il treno. Trovai un posto libero e dopo pochi secondi mi addormentai, stremata nel corpo e nello spirito.
 
***
Non so dire dopo quanto tempo mi sono svegliata. La carrozza era vuota, e il treno era fermo nel buio di una galleria. Pensai di essere arrivata al capolinea e che nessuno si fosse accorto di me. Era la cosa più logica. Poi vidi che accanto a me sedeva un barbone. Puzzava di vino e piscia e aveva residui di cibo semisolido tra i peli della folta barba grigia.
-Sei stata anche tu a San Bernardino alle Ossa di recente, amica mia?-
La domanda dello sconosciuto riuscì a sorprendermi nonostante tutto quel che stava accadendo. La testa mi girava come dopo una sbronza. Non che ne abbia prese tante, di sbronze. Forse l’ultima rimaneva quella dopo la tesi, molto tempo addietro.
-In effetti sì- gli risposi -tre giorni fa. Insegno. Sono andata con la scuola… -
La chiesa di San Bernardino alle Ossa si trova non lontano dal Duomo, tra il Verziere e Piazza Santo Stefano. Venne edificata nel 1269. Il nome stesso deriva dal suggestivo ossario della cappella, interamente decorata con ossa umane prelevate dal vicino lazzaretto. Un luogo suggestivo ed impressionante come pochi, riaperto al pubblico da non molti anni dopo vari restauri.
-Allora è tutto normale- disse il barbone. –Perché ti è rimasta addosso un po’ di benedizione. Li vedi ma puoi anche fuggire da loro, se ci credi abbastanza. E se riesci ad essere veloce quanto serve.-
Non capivo molto di quel discorso insensato ma il pensiero corse istintivamente ai ventidue studenti che avevo portato a visitare la chiesa. E alla professoressa di storia dell’arte che ci accompagnava. Loro sarebbero stati abbastanza fedeli e veloci, se fosse servito?
-Chi sei?- domandai al barbone.
Mi accorsi di avere il fiato brutto e la bocca come foderata di piombo.
-Non ricordo il mio nome- rispose il vecchio. Prese un torsolo di mela annerito dalla tasca dell’eskimo che indossava e l’addentò. –Non ho bisogno di un nome da ormai molti anni. Fino al settantuno ero uno di quelli che ai tempi venivano chiamati ‘preti operai’. Oggi sono solo tanto uno dei tanti che vivono nell’ombra dei marciapiedi. E’ una posizione d’ascolto e d’osservazione privilegiata.-
Il mio mal di testa non accennava a placarsi.
-Per cosa?-
-Per sentire voci- mi rispose. -Raccogliere informazioni. Scambiarle con poveracci venuti dall’altra parte del mondo per condividere lo stesso inferno.- La luce della metropolitana iniziò a vacillare. Prima fu soltanto un leggero calo di potenza. Poi, dopo una decina di secondi, la corrente se ne andò lasciandoci nel buio più assoluto. -Esistono da sempre città parallele che vivono una vita nascosta. Voi dei piani alti non volete o non potete mischiarvi a noi scarafaggi. In fondo quel che facciamo non vi interessa. Basta che non disturbiamo.-
Un forte lezzo di muffa e marciume iniziò a diffondersi nella carrozza.
-Posso fumare?-
-Nessuno verrà qui a darti una multa. E d’ora in avanti il cancro ai polmoni sarà l’ultimo dei tuoi problemi.-
Presi un pacchetto dalla tasca della giacca. Le ultime due sigarette.
-Fumi?- domandai allo sconosciuto.
-No- rispose lui continuando a mangiare quella schifosa mela. -Mi fa male alle gengive…-
Accesi la mia sigaretta. Trovai conforto nella fiammella dell’accendino che spezzò almeno per un po’ quel buio opprimente, ma il gas durò poco. Potei scorgere grandi ragnatele che sul fondo della carrozza scendevano dal soffitto al pavimento, e chiazze scure di qualcosa simile a fanghiglia sui sedili non lontano da dove eravamo noi due.
-Ancora non ho capito niente di quanto sta accadendo- dissi al vecchio dopo le prime due o tre boccate. -Di che informazioni stai parlando?-
-Tutti quelli che quaggiù nel sottomondo sanno qualcosa- mi interruppe voltandosi a parlare e portando il suo viso a pochi centimetri dal mio -concordano sul fatto che quanto accaduto il mese scorso al Cimitero Monumentale abbia scatenato un autentico casino. Un gran bordello, cara la mia prof, come direbbero i giovani che ben conosci…-
Sottomondo. Quella parola mi colpì. Il vecchio parve intuirlo e scoppiò a ridere. Era una risata catarrosa, malata. Sputò pezzi di mela masticata tutto intorno. Nell’oscurità ne sentii uno finirmi sulla guancia e istintivamente ci passai sopra la mano per pulirmi.
Quanto accaduto il mese scorso al Cimitero Monumentale. Da allora a Milano, e non solo qui, non si parlava d’altro: aspettavamo il nostro undici settembre e l’abbiamo avuto. Nella notte qualcuno aveva riempito di mine e cariche di tritolo l’interno del cimitero e piazzato almeno una dozzina di autobombe lungo tutte le mura perimetrali. Le esplosioni l’avevano completamente distrutto poche ore prima dell’alba. I morti furono una trentina. La chinatown di via Paolo Sarpi era piombata nel caos. C’erano stati scontri con la polizia e altri incendi. La sede della RAI, in corso Sempione, a poche centinaia di metri in linea d’aria dal cimitero ridotto in macerie, rimase chiusa per tre o quattro giorni. Da quel momento l’esercito era stato schierato il più discretamente possibile nelle strade di Milano, ed era ancora lì. I militari dovevano servire alla sicurezza, ma alla gente facevano paura. Si respirava una brutta atmosfera nelle case, nelle scuole, nei luoghi di lavoro. A quanto si sapeva oggi, a tre settimane dal fatto, non c’erano rivendicazioni nè testimoni attendibili, e le indagini erano a un punto morto.
Tutto avrei pensato tranne che di doverne discutere con un barbone in una situazione simile. Sottoterra. E con un orrore ignoto che stava aggredendo la realtà.
-Ti riferisci all’attentato? Cosa c’entra?-
-Il fuoco distrugge e purifica- rispose il barbone. Il suo fiato sapeva di mestruo ed era un odore che andava a mischiarsi con il fumo della mia sigaretta e il lezzo di tomba che sembrava avere avvolto la carrozza. Per fortuna aveva un po’ allontanato la faccia da me. –Le fiamme bruciano una foresta, ma dalla cenere nascono piante più forti. Devi sapere, tesoro, che un certo interesse per l’occultismo era una cosa abbastanza diffusa, sul finire del diciannovesimo secolo, nell’ambiente della buona borghesia milanese che poteva permettersi una tomba al Cimitero Monumentale. Si parla anche di uomini bene in vista, tra cui membri importanti del clero ambrosiano. Persone insospettabili che oggi studiamo sui libri di storia e a cui sono dedicate vie o piazze di questa città. Erano in gioco interessi non da poco, e non sto parlando del vil denaro. Mi riferisco al sapere, e al potere. Per alcuni dei praticanti era un gioco, per altri un’ossessione, per altri ancora un’autentica missione. Questo è il quadro di riferimento. Un bel giorno, cento e passa anni fa, qualcuno è stato sepolto insieme a qualcosa che nella tomba non doveva esserci. E qualcun altro a conoscenza del fatto ha organizzato il gran botto del mese passato. Voleva distruggere quel che c’era nella tomba? Riprenderselo? Chi lo sa. Vedi, amica mia, cento anni non sono niente, rispetto alla vastità cosmica di talune questioni…-
L’uomo parlava con il tono di voce di qualcuno che ricordasse con nostalgia eventi lontani vissuti in prima persona. Era inquietante. Quasi più di tutto il resto. Nel frattempo la sigaretta era finita e gettai a terra il mozzicone.
-Come sai queste cose?- I miei nervi erano sul punto di cedere. -E soprattutto io che cosa diavolo c’entro? Io che…-
Sentivo che la mia mente se ne stava andando un’altra volta. Era tutto semplicemente folle. Pensai di avere un tumore cerebrale. Per un attimo fu un’ipotesi consolatoria. Volevo negare a me stessa la realtà dei fatti. Ma negare la verità non mi fu possibile. Ero viva, ero sveglia, non stavo sognando.
-Considerami parte della benedizione di cui ho parlato pocanzi- disse il vecchio posandomi una mano sulla coscia. Istintivamente mi ritrassi. La mano non si mosse. Iniziò anzi a salire lentamente. -Un antipasto di quello che aspetta oltre il varco. Non siamo tutti come quelli che devi aver visto tu. O come quelli che probabilmente hanno già preso i ragazzi che erano con te a San Bernardino.-
Chiusi gli occhi come se avessi ricevuto una pugnalata. Le sue dita mi affondarono nella carne. La sua puzza sempre più penetrante.
-Accadrà, se non è già accaduto- continuò –Mi spiace per loro ma è inevitabile. I guardiani camminano. Accadrà a tutti coloro che negli ultimi tre o quattro giorni sono stati in quella chiesa ed hanno guardato quei morti negli occhi. Vedi, non è mai facile trovarsi in prima linea, da una parte o dall’altra.-
I guardiani camminano. Io avrei voluto correre via, correre fuori, correre all’aperto. Dai mostri che mi aspettavano alla luce del sole. Avrei voluto essere ovunque ma non lì sotto, nel buio. Con quel folle pezzente che mi toccava. Meglio i mostri,sì. Presto li avrei raggiunti. Improvvisamente il treno cominciò a vibrare. Erano scosse violente, come se qualcuno da sotto stesse cercando di uscire fuori. Il barbone si alzò. Dove c’era la sua mano sembrava ancora che la mia pelle scottasse.
-Ci sono altri mondi, e varchi che li uniscono. Grazie a Dio non tutti possono percorrerli.- Era orribile sentire parlare di Dio in quella situazione. -E ci sono anche luoghi intermedi. Santuari. Non del tutto inviolabili, ma ben protetti. La metropolitana ne nasconde parecchi. Se tutto questo fosse accaduto a Londra o Parigi, cara prof, forse il lavoro sarebbe stato più facile. Ma se fosse successo a New York o a Mosca non avremmo avuto alcuna possibilità, quindi non lamentiamoci…-
Sentivo avvicinarsi da molto lontano qualcosa di freddo e luminoso. Il buio non era più impenetrabile. L’odore invece stava peggiorando. Mi sentivo come inchiodata al sedile. La caviglia pulsava di un dolore cieco e costante. L’uomo, nella penombra potevo soltanto intuire la sua sagoma muoversi incerta per resistere agli scossoni, si inginocchiò al centro del vagone e mosse le mani a tentoni. Sembrava stesse cercando qualcosa sul pavimento.
-Ecco- esclamò. Mi fece cenno di raggiungerlo. -Ci siamo… Lodato sia il Signore per aver concesso che il santuario rimanesse incontaminato…-
Mi alzai. Le gambe faticavano a reggermi. E ancora una volta sentire quel folle vecchio parlare del Signore mi fece pensare alla più orribile delle bestemmie. Dovetti aggrapparmi ai sostegni per non finire a terra mentre andavo verso di lui. Il treno sembrava sul punto di cadere a pezzi come una capanna di tronchi durante un terremoto. Il barbone aprì quella che sembrava una botola sul pavimento. Da sotto filtrava una debole luce color ambra. Mi chinai per osservare meglio. Sembrava venire da una pietra luminosa.
-Prendila in mano- mi disse il vecchio.
-Perché?-
Mi faceva paura. Era una semplice pietra dalla forma ovale non più grande di una noce ma mi faceva paura.
-Sei una dei benedetti della chiesa di San Bernardino!- mi gridò il vecchio. La sua voce si udiva appena sopra il rombo che veniva da fuori e da sotto. –E per quel che ne so io potresti anche essere l’ultima. Tu non hai immagini, donna, la fortuna che hai avuto a rifugiarti qui, in una stazione presidiata da uno di noi anziché da uno di loro. Ma adesso non c’è più tempo. Non posso tenere qui in eterno questa carrozza. Non posso compromettere la segretezza del santuario… Qui è custodita la chiave!-
Mi sentivo come se lo stomaco fosse divenuto una sola, grande, dolorosa massa tumorale, mentre la gola cominciava a stringersi. Ero sul punto di svenire. Avvertivo i colpi del cuore che cercavano di squarciarmi il petto, come la mazza ferrata del mostro all’inizio di tutto questo orrore. Il vecchio mi colpì sul viso con uno schiaffo. Posai lo sguardo su di lui. Appariva, nel contempo, in collera per la mia esitazione ma anche in preda a un terrore non dissimile dal mio. Recuperai un minimo di autocontrollo e di contatto con la realtà, per assurda che fosse. I colpi che sentivo non erano il mio cuore. Era qualcosa dall’esterno che batteva furiosamente sulla carrozza. Un paio di metri alla nostra destra il metallo della parete si stava deformando. Non avrebbe retto a lungo. Presto ciò che era là fuori sarebbe entrato. Ma, Signore onnipotente, oltre il vetro, lì dove si sentiva picchiare non si vedeva nulla…
-La pietra è la chiave- spiegò il vecchio con un filo di voce. Fu l’ultima volta che lo sentii parlare. Sembrava stesse implorandomi. -Occorre che tu la stringa in mano. Non discutere…-
La vibrazione, da metallica che era, si era trasformata in un suono animalesco la cui intensità cresceva ad ogni secondo. Un ultimo colpo e lo squarcio nella carrozza finalmente si aprì.
Presi la pietra e strinsi il pugno.
 
***
Tutto cessò all’istante. Ero nella stazione di Porta Venezia. Intorno a me tanta gente. Tutto sembrava normale. Uno zingaro venne a chiedermi una moneta. Dunque mi vedevano. Mi allontanai senza degnarlo di uno sguardo e corsi fuori. Avevo bisogno di vedere la luce del sole. Un disperato bisogno di vedere la luce del sole.
 
***
Ma il sole non c’era, oscurato da un cielo era basso e nero. Stava per scoppiare un temporale. La gente si affrettava a cercare un riparo. Una camionetta dell’esercito attraversò il corso a tutta velocità sparando raffiche di mitra contro qualcosa. Poveri illusi. Volevo quasi ridere, per la prima volta dopo secoli. Ero riuscita a ingannarli. Le fiamme al cimitero e la mia magia avevano fatto un ottimo lavoro. Mi strappai la maschera di pelle umana dal viso e attesi la venuta delle mie legioni. Cento anni non sono niente, rispetto alla vastità cosmica di talune questioni…
Il primo che vidi giungere fu il frate senza testa: si avvicinava zoppicando con qualcosa di vivo in bocca, e mi portava come omaggio quella del barbone della metropolitana. Gli aveva strappato gli occhi. Povero stupido vecchio. Ecco cosa succede a lasciare Santa Madre Chiesa.
 
***
Incastonata nel palmo della mano, come un’escrescenza callosa, avevo la pietra d’ambra. Tesi il braccio e l’alzai al cielo, quasi a volerne ghermire l’immensità.
Cominciò a piovere. La tempesta era arrivata.
Il primo tuono annunciò la mia venuta, il secondo si abbattè sulla chiesa dei teschi neri, il terzo mi avvolse come il bozzo di un bruco in attesa di rinascere farfalla.
 
***
La Strega della Terra è tornata.
 
(Pubblicato per la prima volta sul portale ePress).

07/06/2008, Luca Ducceschi