IL SONNO DELLA DONNA DEL TEMPO
di POLISSENA CEROLINI
La nebbia è tanto densa da sembrare compatta, Sitka si passa le mani sulle braccia, ritrovandosele bagnate. Solo l’eco dei corni e il benvolere di qualche demonio, permette alla piccola flotta di procedere. Dopo pochi minuti la luce giallastra del faro gli indica la via; sincronizzato come un sol uomo, l’equipaggio spegne ogni lume che potrebbe tradire la loro presenza e fa tacere i corni.
Quando il ragazzo di vedetta avvisa dell’imminente arrivo, Sitka è già pronto: con la spada sguainata, si è portato sulla prua. Gli occhi fissi sulle fioche luci tremolanti, del piccolo villaggio costiero.
L’avamposto viene falciato in pochi minuti, gli uomini di guardia non hanno nemmeno il tempo di dare l’allarme, le gole squarciate da mani esperte.
Comunque sarebbe stato inutile. Nessuno nelle terre del nord può contrastare l’armata di re Markut, signore di Karta. Nessuno può fronteggiare le sue flotte, soprattutto se comandate dal suo primogenito.
I due uomini di guardia al faro vengono uccisi prima ancora dell’approdo, investiti dall’impietosa pioggia di frecce che sembravano vomitate direttamente dai flutti scuri.
Quando i piedi dei conquistatori toccano terra, la battaglia è già vinta.
Sitka e due dei suoi più fidati compagni, corrono per il ripido pendio che porta alla rocca del barone. Quando scavalcano il muro di cinta, il crepitio impetuoso dei fuochi appiccati nel villaggio, li raggiunge.
Sono veloci, forti e spietati. Come sempre.
Il guerriero si porta davanti al grande portone di legno e metallo e grida, rivolto a una delle feritoie nella parte più alta del muro di cinta. <<Sono Sitka, di Karta! Abbiamo preso il villaggio, se vuoi che ne risparmi gli abitanti arrenditi e giura fedeltà al mio re.>>
La stessa brezza leggera che lascia ondeggiare i lunghi capelli del guerriero, dipana la nebbia. L’aria densa e lattiginosa accarezza i corpi dei guerrieri pronti all’assalto. E il vecchio barone non ha scelta.
Mentre il nuovo vassallo esce dalla rocca, seguito dalla famiglia e dalla sua piccola corte, una lunga fila di uomini e donne con i polsi legati, viene indirizzata a forza su per la collina.
Quando finalmente la foschia svanisce del tutto, lo spettacolo che il villaggio offre di se è solo distruzione e terrore.
I pianti dei bambini, fanno eco a quelli delle donne, tutti legati insieme, indistintamente.
<<Potente Sitka, io non volevo oppormi all’avanzata di tuo padre, non avrei potuto. Sono stato obbligato dai conti del sud, miei alleati.>>
Gli occhi color ghiaccio del guerriero, si fermarono solo un istante sulla bella figlia del suo prigioniero, poi tornarono sul vecchio.
<<Re Markut ti aveva offerto l’annessione spontanea e tu hai rifiutato.>> Si avvicina al primo degli ostaggi, lo strattona verso di se facendolo cadere carponi. La spada poggiata sulla nuca. <<Capirai che ora la sua offerta non può essere la stessa.>> Il vecchio barone si porta le mani nodose alla bocca <<ti prego, potente signore, lasciali vivere e accetterò qualsiasi condizione.>>
<<Lei è chi credo io?>>
Il ritorno da una campagna vittoriosa è sempre un momento lieto, i soldati vogano con maggiore forza, sognando il profumo dei corpi caldi delle loro donne. Anche il vento sembra volerli aiutare, gonfiando le grandi vele nere.
Sitka non ha contato i denari dei tributi, né ha catalogato le merci: lui è un guerriero.
La bella figlia del barone, parte del tributo, gli ha massaggiato le spalle vigorose, e ha cucito le due ferite più profonde, una sul braccio e una sull’addome.
<<Sei brava, come hai imparato?>>
Lei non solleva lo sguardo dalla pelle perfettamente bianca dell’uomo <<se vivi perennemente assoggettato da un padrone a un altro devi imparare a fare ogni cosa ti salvi la vita.>>
<<Tuo padre ha detto che i conti erano vostri alleati.>>
<<Dirà lo stesso di re Markut, al prossimo che verrà a conquistarci.>>
La nave rolla lenta, il viaggio è breve. Meno di due giorni di mare prima di tornare a Karta, la capitale.
<<Cosa farai di me quando saremo arrivati?>> Lui si volta su un fianco, scoprendo due lunghe cicatrici trasversali <<non sarò io a deciderlo, tu fai parte del tributo. Il re ha chiesto personalmente di averti. Quindi credo vorrà tenerti con se.>>
<<Quando dici “il re”intendi tuo padre?>> Lui si fa serio in volto, i lineamenti delicati oscurati da un ombra di sconforto <<intendo il re.>>
<<Quindi le voci sono vere, non sarà “Sitka il coraggioso” a succedere al trono di re Markut.>>
Lui si volta su un fianco, mostrando un’ampia e vecchia cicatrice, <<qual è il tuo nome?>>
<<Saphia, signore.>>
<<Se hai sentito queste voci avrai anche appreso che non è intelligente indispettirmi.>> Lei abbassa appena lo sguardo, fissando un’increspatura del lenzuolo e rimane in silenzio.
<<Ecco, così va meglio.>>
L’alito del grande drago dei venti è stato benevolo, sospingendo la flotta su onde leggere e prima che il sole tramonti sul secondo giorno di navigazione, la costa di Karta appare all’orizzonte.
Sitka ha indossato gli abiti migliori, e il mantello da cerimonia, ha ordinato alla sua prigioniera di acconciarsi i capelli, e le ha donato un caldo mantello di pelliccia. Alla prima lacrima della ragazza le concede un sorriso, delicato. Con due dita le raccoglie la goccia salata da sotto l’occhio destro, <<non temere, non credo ti voglia in sposa, se è quello che temi. Quattro mogli e tre figli sono sufficienti. Vuole il tuo potere, non te.>>
<<Non piango per timore, solo per nostalgia, non credo che rivedrò mio padre, né la mia famiglia.>>
Il guerriero stringe i lacci del mantello intorno al collo della ragazza. <<Non posso rassicurati su questo, ma se può esserti di consolazione, sappi che è abitudine del re lasciare piena libertà ai vassalli tributari. Quando le acque si saranno calmate credo che nulla impedirà a tuo padre di venirti a trovare.>>
Una folla festante accoglie i soldati vincitori, il collo di Sitka viene ornato di collane di fiori, e petali rossi vengono sparsi al suolo sul pontile. L’osanna al suo nome echeggia nella piazza e in ogni vicolo della città non si parla che del suo ritorno glorioso.
Una nuova vittoria, un nuovo vassallo per il più potente tra i regni del nord.
L’intera città sorge intorno al porto, e proprio davanti ad esso, circondando la piazza, il maestoso palazzo reale si erge imponente, sfidando il cielo.
Dalla scalinata principale, quella che muore sulla piazza grande, re Markut in persona si affaccenda sugli scalini.
Il passo più veloce che l’età gli consente, dritto verso i suoi guerrieri, mentre la folla si apre a ventaglio al suo incedere.
Sitka ha tentennato, ha deglutito sonoramente e ha mosso un passo nella direzione del vecchio re, solo quando lui lo ha superato senza guardarlo, ha abbassato gli occhi. <<L’hai portata? Dov’è la Donna del Tempo?>> Il guerriero si discosta, in modo che le sue spalle tornite non celino oltre la figlia del barone. <<Eccola mio signore, abbiamo portato anche…>> Gli occhi grigi del vecchio scintillano, accesi da nuova fiamma. Prende la ragazza per un polso e senza altro indugio si ritrae alla volta del palazzo.
La sera ha regalato onori e festeggiamenti agli eroi, il vino ebrezza: ma è solo la notte che concede a Sitka conforto.
Il gallo non ha ancora cantato quando Ebiur, uno dei suoi fratelli, irrompe nella stanza circolare <<Nostro padre ha estorto la prima premonizione alla donna del tempo, non si partirà per la campagna contro le contee.>>
Il guerriero si è sollevato sui gomiti, il petto possente coperto di nuove e vecchie cicatrici freme, <<perché?>>
<<Lei dice che saremmo sconfitti, quindi nostro padre ha rimandato la partenza, Questo però sarà il tuo vero problema: stasera ci sarà la cerimonia della megara,>> il sorriso malevolo del ragazzo dal viso sottile si compone tra le ombre dell’aurora <<e tu stavolta non hai una scusa per disertarla!>> Sitka è veloce, il più veloce.
Ebiur non ha il tempo di smettere di sorridere, e i suoi denti bianchi si riflettono sulla lama che il fratello gli punta alla gola, dopo averlo atterrato. <<Quello che concedo al re è per suo appannaggio, e suo soltanto. Mancami di rispetto un’altra volta e non avrai più una bocca con cui deridermi.>> Quando lo lascia, il ragazzo si tocca la gola e si dirige verso il pesante tendaggio che delimita la camera <<sarai tu a dovermi portare rispetto. Io, succederò a quello che tu non puoi più chiamare padre. E allora vedremo di chi si canteranno le gesta.>>
Il resto della mattina lo trascorre tra le pieghe del lenzuolo e di un sonno agitato. Incubi, e ricordi forse anche peggiori, non gli concedono il riposo che agognava. Decide quindi di uscire.
Non è abituato alla città, né al palazzo e senza accorgersene è arrivato al porto.
La piazza centrale è stata ricoperta di sabbia ocra e gli spalti sono quasi ultimati, nel framestio dei preparativi, scorge la Donna del Tempo. Eterea e bellissima, affacciata dal pontile.
<<Hai mentito, non ho mai perso una battaglia, e gli eserciti delle contee sono piccoli e mal riforniti.>> Lei non distoglie lo sguardo dal blu intenso del mare, fisso nella direzione dove dovrebbe essere casa sua.
<<Non sono io a decidere quando la magia avviene. È la predizione che viene da me, non posso invocarla.>>
<<Quindi non sai davvero cosa sarebbe successo se fossimo partiti?>>
Finalmente si volta, mostrando il grande livido violaceo sotto l’occhio destro e quelle labbra perfette spaccate da un lato. <<Tuo padre sa essere convincente, e una bugia che non avrebbe portato dolore a nessuno è quanto ho potuto offrirgli.
Ora diglielo, se credi. Non ha più importanza.>> Inaspettatamente il guerriero si avvicina di qualche passo, le sposta, con un garbo inadatto alle sue grandi mani, i capelli dal viso. <<ho dell’unguento nelle mie stanze.>>
Lei è bellissima, un corpo da dea e il profumo del mare in tempesta. Si siede su un mucchio di pelli accatastate in un angolo del pavimento e solleva il viso, porgendolo al guerriero.
Lui le fa scorrere le dita, madide d’unguento, sulla pelle martoriata. È delicato, quanto non sarebbe mai sembrato.
<<Tu non sei come gli altri.>>
<<Vuoi dire che sono debole?>>
<<Voglio dire che sei caritatevole.>> Non risponde, si alza e raccoglie il suo mantello dalla catasta di pelli, lo indossa facendolo roteare. Poi le porge la mano <<dobbiamo andare. La cerimonia inizia tra poco e il re non è uomo che ami aspettare.>>
La conduce per mano per i lunghi corridoi del castello, superano la lunga scalinata, fino agli spalti centrali e quando si siede, le copre le spalle esili con il mantello.
Qualche scalino più in alto suo padre ha già preso posto, accompagnato dalle due mogli più giovani e da Ebiur.
Il brusio della folla che va aumentando è un sottofondo continuo, crescente, finché nella piazza trasformata in arena fa il suo ingresso il giovane Davio, il minore tra i figli del re.
Sitka ha avuto un moto di commozione vedendo entrare quello che riteneva ancora un bambino, e nell’esplosione delle grida di incoraggiamento la sua voce ha un tremito che solo Saphia riesce a cogliere.
Il ragazzino si sposta verso il centro dell’arena seguito da uno splendido esemplare di megara blu. L’imponente felino si struscia sulle gambe del ragazzo e lui inizia il rito. Si porta di fronte alla fiera creatura e con un gesto deciso della mano gli comanda di abbassare le grandi ali per permettergli di montare, subito dopo inizia il volo.
Agli occhi di Saphia, mai uomo e animale erano parsi più felici, due ampie evoluzioni intorno alla piazza per la gioia della folla, e al cenno del re, il ragazzo la riporta delicatamente a terra, in uno sbuffo di polvere. La creatura abbassa il capo possente per permettere al ragazzo di smontare, poi inizia un mugolio sommesso e compiaciuto.
<<Ora figlio, rendimi fiero.>>
Il vecchio sfila dal fodero un pugnale riccamente decorato e lo lancia nell’arena conficcandolo nella sabbia.
<<Che succede? Non capisco.>> Saphia cerca lo sguardo di Sitka e lo trova. Gonfio di dolore <<adesso deve uccidere la sua megara, e mangiarne il cuore.>>
Lei si alza in piedi afferrando il braccio del guerriero, mentre il giovane Davio esita: pugnale alla mano davanti al bellissimo animale. <<perché? Perché?>>
<<Tutti i tuoi sentimenti di bambino: amore, compassione, paura. Sono cresciuti insieme alla megara che hai allevato per dieci anni. Uccidendola dimostri che puoi liberarti del fardello dell’amore e diventare un uomo. Mangiandone il cuore, che seppellirai definitivamente la compassione, diventando un guerriero.>>
Lei non riesce a togliere gli occhi dal piccolo Davio che ora sembra ancora più giovane dei suoi tredici anni, e dal coltello tenuto con mani tremanti.
La megara si sdraia davanti al ragazzo, rotolando sulla schiena, gli concede le zampe anteriori, vogliosa di gioco.
<<Cosa aspetti figlio? Vuoi disonorami anche tu come il mio primogenito?>> Il re volta la testa di scatto, verso il seggio più basso, verso Sitka. È furente e il pallore tipico della sua gente ha lasciato il posto al rosso della rabbia mentre lo indica <<vuoi rinunciare anche tu a essere mio figlio?>>
Saphia si volta verso Sitka, un istante. Il grido della folla la coglie di sorpresa e quando torna a guardare l’arena, la bellissima creatura giace a terra con la gola squarciata.
<<Vieni, andiamo via.>> Mentre le cinge i fianchi con la destra, la voce stonata di Ebiur li raggiunge <<Non ce la fai a rimanere Sitka? Il bello viene adesso.>>
Non ha smesso di piangere finché non sono arrivati agli appartamenti di Sitka, e anche lì ha dovuto fare appello a tutta la sua forza per riuscire a farlo. Il guerriero è alla finestra, le urla della folla arrivano ovattate e distorte ma è chiaro che Davio ha appena mangiato il cuore della megara. Chiude le pesanti tende scure e si appoggia al muro umido.
<<È per questo che non chiami “padre” il re. Perché non hai ucciso la tua megara?>>
<<Sufi, si chiamava così. Me l’avevano consegnata che non aveva ancora gli occhi aperti.>> Il suo bel viso dai lineamenti delicati si illumina di un sorriso, cullato dall’onda dolce del ricordo, ma solo per un momento <<sono stato sciocco. Conoscevo la legge. Ho perso tutto: l’onore, il rispetto, l’amore di mio… del re. E non l’ho nemmeno salvata.
Quando mi sono rifiutato di ucciderla, il re lo ha fatto per me.>>
<<Questo che vuol dire, che non sei degno di essere chiamato “uomo”?>>
I rumori dalla piazza vanno scemando, il rituale deve essere giunto al termine, Ebiur avrà un contendente per la successione.
<<Però si è assicurato che potessi essere un guerriero.>>
Non le permette altre domande, spostandosi verso l’uscita. <<Davio, adesso avrà bisogno di me. Tu rimani qui, se vuoi stare tranquilla. Il re non entra nei miei appartamenti.>>
Ebiur però non è ancora re, e quando piomba nelle stanze del fratello la trova addormentata. La sveglia stringendole il collo con la destra <<voglio sapere chi sarà a succedere al trono.>> Lei tossisce, cercando di prendere fiato <<non posso decidere delle mie visioni.>>
La presa si fa più forte, <<non stai parlando con quel rammollito di mio fratello, Donna del Tempo. Se non rispondi alle mie domande, il ricordo di quello che ti ha fatto mio padre ti sembrerà piacevole!>>
Annuisce e quando la lascia inizia a massaggiarsi il collo. <<Prima però ho io una domanda per te.
Se tuo fratello non ha mangiato il cuore della megara, perché è un guerriero?>>
Ebiur si è seduto sulla catasta di pellame e si è tolto gli stivali << e chi ha detto che non lo ha fatto? Dopo sei giorni di digiuno nelle prigioni, quel cuore putrefatto deve essergli sembrato dolce come il nettare! Ora parla.>>
<<E cosa dovrebbe dirti?>> Sitka è apparso sulla soglia come una visione, alto e imponete. La mano poggiata sull’elsa della spada. Si è avvicinato al fratello di qualche passo, abbastanza da colpire i suoi piedi nudi con lo stivale.
<<Se non sei il re, non hai potere su di me. Quindi esci, o sfidami.>>
Nessun’uomo dotato di ragione si sognerebbe di sfidare il più potente guerriero delle terre del nord. Il condottiero di mille battaglie, il conquistatore. E suo fratello Ebiur non è uno sciocco.
<<Ti ha fatto del male?>>
<<Non potrai proteggermi per sempre, domani non sarai nemmeno qui.
Ho visto le vostre prossime battaglie, in sogno.
Che io lo comunichi o meno a tuo padre, domani partirai con tutta la guarnigione. Andrete a est, nelle terre dei Michieri.>> Si solleva sulle punte per arrivargli alle labbra e sfiorarle con le proprie. <<E vincerai.>>
<<Come sai che le tue visioni sono esatte?>>
Saphia aggrotta le sopracciglia, poi il viso si fa pensieroso <<non lo so in effetti, semplicemente non è mai accaduto nulla di diverso da quello che ho sognato.>>
<<Potrei non partire, e tutto il futuro cambierebbe. Potrei decidere di non andare.>>
<<E cosa ti farebbe tuo padre?>>
<<La stessa cosa che farebbe a te per una previsione sbagliata.>>
La luna ha salutato i picchi innevati ed è salita alta nel cielo, illuminando i resti della megara. Rischiarando le acque calme del mare, riflettendo sulla prima neve della stagione, donando una tenue luce perlata al corpo nudo di Sitka.
Le dita sottili della donna ricorrono la linea netta dei muscoli del suo torace, accarezzano le spalle tornite, le braccia muscolose e cariche di vene.
Sta per dire qualcosa ma lei gli poggia un dito sulle labbra <<non ora. Questa notte è nostra, tuo padre annuncerà solo domani, chi sarà a succedergli. E allora tuo fratello Davio, il futuro re sarà in pericolo. Ma solo domani, adesso concediti del tempo e concedilo a me.>>
Il sole del mattino li trova abbracciati, avvolti in una spessa coperta di pelliccia. <<Svegliati Saphia, voglio partire prima che le navi da guerra siano pronte.>>
<<Per andare dove?>> Lui sorride, <<dicono che a sud oltre il mare, ci siano terre dove splende sempre il sole. Potremmo andarci insieme.>>
Il timido pallore del mattino ha già rischiarato la stanza, Saphia ha raccolto in una sacca di cuoio le sue poche cose. <<Dobbiamo portare Davio con noi, ho sognato la sua morte, non può restare qui.
Ebiur nasconderà una serpe grigia nel suo letto.>>
Seguendo le indicazioni del suo uomo, Saphia si dirige a un piccolo porticciolo nascosto da una fitta vegetazione spontanea. Da anni viene usato solo per le barche da pesca ma Sitka vi ha fatto ormeggiare una piccola e veloce nave. I suoi guerrieri avrebbero eseguito qualunque suo ordine e attrezzare una piccola nave da trasporto non era certo un compito difficile.
La veloce imbarcazione lascia il porto in silenzio, mentre metà della guarnigione è impiegata nella ricerca dei tre fuggiaschi.
Saphia apre gli occhi di colpo, solo pochi istanti per capire se è giorno o ancora notte, poi i delicati colori pastello della sua stanza la rassicurano.
Un forte e inaspettato odore di bruciato invade l’aria.
Repentina si leva dalle coltri, per correre alla finestra, metà del villaggio sta bruciando e la luce del faro è spenta.
Raggiunge la sala grande in pochi minuti, il tempo di indossare la veste, suo padre il barone, è seduto davanti al grande portone, pensieroso.
Si affaccia da una delle feritoie, mentre un bellissimo guerriero dai capelli neri sta gridando le condizioni di resa a suo padre.
<<Saphia mia pupilla, credo che l’esercito di re Markut sia arrivato fino a noi, che gli dei ci proteggano che cosa mai possiamo fare? Il tempo non ha parlato con te?>>
Lei ha la voce calma, sorride al padre e gli sfiora la spalla, rassicurandolo, <<lasciali passare.>>