“Il Signore degli Anelli – La Compagnia dell’Anello” (2001) di Peter Jackson, con Elijah Wood, Ian McKellen, Liv Tyler, Viggo Mortensen, Sean Astin, Cate Blanchett, John Rhys-Davies, Billy Boyd, Dominic Monaghan, Orlando Bloom, Christopher Lee, Hugo Weaving, Sean Bean, Ian Holm e Andy Serkis.
Il cinema, come la letteratura e gli sceneggiati televisivi, costituisce lo specchio delle attese utopistiche e delle paure anti-utopistiche dell’umanità contemporanea e di ogni altra epoca. Questa asserzione è valida in maniera esemplare per la trilogia cinematografica de “Il Signore degli Anelli”, basato sull’omonimo celebre romanzo-culto di John Ronald Reuel Tolkien, e per il suo primo capitolo, dal titolo “Il Signore degli Anelli – La compagnia dell’Anello” (“Lord of the Rings – The Fellowship of the Ring”).
Sia il presente film che le altre successive pellicole, come lo stesso romanzo di Tolkien, hanno collegato e collegano nella sfera psicologico-spirituale conscia e inconscia dell’immaginario individuale-collettivo ossia della cultura popolare, l’ambito onirico e della fantasia umana, con le sue speranze e i suoi terrori che assumono le connotazioni di idealità archetipiche etico-morali, sociologico-politiche e scientifico-conoscitive rispettivamente evolute ed involute, all’esigenza di costruire un nazional-socialismo anglosassone e dei popoli anglosassoni (dal Regno Unito agli Stati Uniti d’America, dalla Nuova Zelanda all’Australia, al Canada, al Sud-Africa e così via), coerente con la liberaldemocrazia di massa e con lo stato di diritto e dei diritti, da contrapporre non solo al nazionalsocialismo tedesco, al fascismo italiano e allo sciovinismo imperialista nipponico sconfitti nel secondo conflitto mondiale, ma anche ai comunismi totalitari sovietico e cinese-maoista, alle dittature di ogni colore ideologico-politico e ai prepotenti privati di ogni sorta. Le idealità etico-morali, sociologico-politiche e scientifico-conoscitive evolute che emergono dal lungometraggio “Il Signore degli Anelli – La Compagnia dell’Anello”, sono in piena sintonia con questo nazional-socialismo anglosassone, che tutta la letteratura del Novecento come quella precedente e attuale, la cinematografia e le “fiction” televisive in lingua inglese e di ogni altro Paese dell’Occidente sono state protese a creare, e che è chiamato ad orientare il pensiero-immaginario ovvero la struttura psicologica, il linguaggio verbale parlato e scritto (in inglese, in italiano e in altre lingue occidentali), e i comportamenti interpersonali e pubblici dei soggetti umani, e che sono indicate come espressioni dell’avanzamento della Ragione o dello Spirito ovvero dell’Essere spirituale dell’uomo. Si tratta del pensare e dell’agire dell’individuo umano in funzione dei diritti dell’altro-da-sé (da intendersi nei sensi della singola persona e sociale), della cooperazione per scopi moralmente ed eticamente superiori, della società multietnica e multiculturale in cui ogni soggetto umano ha pari diritti, pari dignità e pari protagonismo pubblico, del rifiuto della subalternità a coloro i quali sono animati dalla volontà di potenza o di dominio sugli altri, del ruolo dirigente che gli individui umani anonimi e portatori della sola forza-lavoro fisica e mentale possono avere nella costruzione della vita collettiva e del divenire della storia, e della difesa di una civiltà progredita dall’esplicitazione degli istinti animaleschi aggressivi.
E’ nota, poi, la trama del lungometraggio. Lo hobbit Frodo Baggins riceve l’incarico dallo stregone Gandalf di distruggere uno degli anelli del potere che potrebbero permettere all’entità malefica Sauron e al mago Saruman suo alleato di ottenere il comando assoluto su tutte le creature viventi. In questa impresa pericolosissima, Frodo sarà accompagnato dallo stesso Gandalf, dagli amici hobbit Sam, Pipino e Meriadoc, dai guerrieri Aragorn e Boromir, da un nano dalla forza prodigiosa e dall’arciere elfo Legolas.
Il regista neozelandese Peter Jackson – che è anche sceneggiatore dell’opera insieme a Fran Walsh e a Philippa Boyens – guida questo ultraspettacolare superkolossal fantasy avventuroso realizzato con un grandioso dispendio di mezzi (il budget ha raggiunto i novantatré milioni di dollari), con la raffinatezza narrativa e figurativa, coniugando al meglio l’avventura, il dramma dalle tonalità scespiriane, l’arguto tratteggio dei vari personaggi, le suggestive e monumentali scenografie, i prodigiosi effetti speciali e gli incantevoli scenari naturali della Nuova Zelanda. Sono ottime le prove offerte dagli attori, da Wood, da McKellen e da Mortensen alla Tyler, ad Astin, alla Blanchett, a Rhys-Davies, a Boyd, a Monaghan, a Bloom e agli altri, mentre sono splendide le musiche di Howard Shore.
“Il Signore degli Anelli – Le due torri” (2002) di Peter Jackson, con Elijah Wood, Ian McKellen, Liv Tyler, Viggo Mortensen, Sean Astin, Cate Blanchett, John Rhys-Davies, Bernard Hill, Christopher Lee, Billy Boyd, Dominic Monaghan, Orlando Bloom, Hugo Weaving, Miranda Otto, David Wenham, Brad Dourif, Karl Urban e Andy Serkis.
Il cinema è una macchina dei sogni, che traduce in immagini in movimento proiettate su uno schermo le speranze e le paure del genere umano. Il film “Il Signore degli Anelli – Le due torri” (“The Lord of the Rings: The Two Towers”), secondo capitolo della trilogia cinematografica imperniata sull’omonimo romanzo di John Ronald Reuel Tolkien, rappresenta un’ulteriore memorabile conferma di questa idea.
In tale pellicola, Frodo Baggins continua il suo viaggio verso Mordor per distruggere nel fuoco uno degli Anelli del Potere, ma l’Oscuro Signore Sauron e il perfido mago Saruman cercano di impadronirsi della Terra di Mezzo con un’armata di migliaia di orchi in armatura, che però è fermata e respinta nell’epica battaglia del Fosso di Helm.
Sceneggiato da Fran Walsh, Philippa Boyens, Stephen Sinclair e dal suo regista Peter Jackson, “Il Signore degli Anelli – Le due torri” è un megakolossal fantastico di straordinaria spettacolarità, realizzato con un gigantesco dispendio di mezzi (il budget è stato pari a novantaquattro milioni di dollari). Jackson guida il lungometraggio con collaudato mestiere e mano ferma, rendendolo molto più intenso del precedente “La Compagnia dell’Anello” sul piano emotivo e dei sentimenti romantici, e in rapporto alla capacità della trama di avvincere ed entusiasmare lo spettatore, e dando risalto all’eroismo cavalleresco condito con un pizzico di ironia, sontuoso apparato scenografico, ai sensazionali effetti visivi ed ai maestosi paesaggi naturali della Nuova Zelanda.
Dal punto di vista della filosofia-storia-magia intesa come scienza superiore dell’anima-psicoanalisi-pedagogia/didattica idealistiche-esoteriche dei contenuti della dimensione psicologico-spirituale conscia e subconscia dell’immaginario individuale/collettivo ossia della cultura popolare che permea la comunicazione di massa letteraria e cinematografica verbale (nella lingua inglese, in quella italiana e in altri idiomi del mondo) e non-verbale (comportamentale-situazionale-visiva), il film “Il Signore degli Anelli – Le due torri” di Jackson contribuisce ulteriormente alla formazione negli spettatori di ieri e di oggi di una coscienza individuale e intersoggettiva riempita dalla concezione ideologica del nazional-socialismo anglosassone, che diffonde ideali etico-morali, sociologico-politici e scientifico-conoscitivi come quello delle genti anglosassoni – e ariane – che assumono il ruolo di paladini della libertà, dell’uguaglianza e della democrazia per tutti i popoli di un mondo globalizzato, e che sono chiamati ad orientare il pensiero-immaginario, il linguaggio verbale parlato e scritto (in inglese, nella lingua italiana e in altre lingue), e i comportamenti interpersonali e pubblici dei soggetti umani.
Sono ottime ancora le prove interpretative degli attori, mentre sono sempre splendide le musiche di Howard Shore.
“Il Signore degli Anelli – Il ritorno del re” (2003) di Peter Jackson, con Elijah Wood, Liv Tyler, Viggo Mortensen, Sean Astin, Cate Blanchett, John Rhys-Davies, Bernard Hill, Billy Boyd, Dominic Monoghan, Orlando Bloom, Hugo Weaving, Miranda Otto, David Wenham, Karl Urban, John Noble, Andy Serkis e Ian Holm.
Il trionfo del cinema in quanto specchio dei sogni – intesi sia come attese utopistiche che come incubi anti-utopistici – dell’umanità, e dei soggetti umani appartenenti ai popoli dell’Occidente e dell’Europa in particolare, ad oltre un secolo dalla mirabile invenzione dei fratelli Lumiere e con l’eccezionale ed avanzatissimo sviluppo tecnologico raggiunto dalla Settima Arte: è questa la definizione migliore che potrebbe essere fatta al film capolavoro “Il Signore degli Anelli – Il ritorno del re” (“The Lord of the Rings: The Return of the King”), capitolo conclusivo della saga cinematografica basata sull’omonimo romanzo fantasy di J. R. R. Tolkien, e vincitore di undici premi Oscar, di quattro Golden Globe e di quattro premi BAFTA nel 2004.
“Il Signore degli Anelli – Il ritorno del re” , insieme agli altri due primi capitoli di questa saga cinematografica della scienza del fantastico – ossia “Il Signore degli Anelli – La Compagnia dell’Anello” e “Il Signore degli Anelli – Le due torri” – può avere altre definizioni: pietra miliare della storia del cinema, a fianco e in pari merito con “2001: Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick; punto di arrivo massimo o vertice dell’evoluzione ultracentenaria della cinematografia sul piano mondiale, raggiunto nei primi del XXI secolo; pieno compimento delle scienze della letteratura, della cinematografia e delle “fiction” televisive del fantastico e dell’avventura, per cui vi è un prima, con le opere letterarie, cinematografiche e televisive che lo hanno preceduto, e c’è un dopo con i lavori letterari, cinematografici e televisivi successivi che traggono ispirazione da esso; specchio della nostra interiorità conscia e inconscia, ai livelli individuale e intersoggettivo dell’opinione pubblica; nuovo Eden, nuova Gerusalemme, prosecuzione dell’Antico e del Nuovo Testamento biblici e monoteistico-cristiani nell’ambito della dimensione psicologico-spirituale conscia e subconscia dell’immaginario individuale-collettivo dello scrittore Tolkien, dei lettori e degli studiosi del suo romanzo, dei realizzatori e degli spettatori del film; concretizzazione letteraria e cinematografica del nazional-socialismo anglosassone, in quanto idealismo filosofico-politico-ideologico chiamato a guidare le liberaldemocrazie di massa e lo Stato di diritto e dei diritti dell’Occidente, con le genti anglosassoni – e ariane – che se ne rendono interpreti e paladine del mondo libero; esempio per tutti i romanzi e i racconti, per tutti i film per il cinema e per tutti gli sceneggiati televisivi, di veicolo mediatico o comunicativo verbale e non-verbale per gli ideali etico-morali, sociologico-politici e scientifico-conoscitivi – nazional-socialisti o socialisti romantici o socialisti pre-raffaeliti – degli anonimi lavoratori o operai – gli hobbit, nel caso specifico – che diventano dirigenti della vita pubblica e della storia al di là di ogni emarginazione e subordinazione, e della difesa della civiltà progredita dalla volontà di potenza o di dominio espressione a sua volta degli istinti aggressivi animaleschi, idealità che a loro volta assurgono a modelli evoluti per l’avanzamento del pensiero-immaginario, del linguaggio verbale parlato e scritto (nella lingua inglese, in quella italiana e in altri idiomi del globo), e dei comportamenti interpersonali e pubblici degli individui umani.
Ma il film “Il Signore degli Anelli – Il ritorno del re”, insieme ai due precedenti capitoli, sono io Gianluigi Cofano nella storia della mia interiorità, siamo tutti noi con le storie dei nostri mondi interiori, che sono parte integrante della storia contemporanea dell’Occidente e mondiale (tenendo presente il fatto che le storie esteriori o civili e le storie interiori ovvero dell’immaginario, hanno una eguale rilevanza nello sviluppo dello Spirito o della Ragione ossia dell’Essere spirituale di ciascuno).
Il regista Peter Jackson – che ha anche curato la sceneggiatura, ancora insieme a Philippa Boyens e Fran Walsh – governa questo megakolossal di gigantesca spettacolarità realizzato con un immenso spiegamento di mezzi (il budget finale ha raggiunto anche stavolta i novantaquattro milioni di dollari dei primi anni Duemila) con solida professionalità (maturata anche attraverso la regia dei due precedenti film), porta le emozioni e i sentimenti romantici alle vette del sublime, e orchestra in modo encomiabile il poderoso apparato scenografico e degli effetti speciali.
Non possiamo che identificarci con Frodo Baggins e con il suo amico Sam, che riescono a distruggere l’Anello del Potere, annullando la terribile minaccia del malefico Sauron, l’Oscuro Signore, sulla Terra, o con lo stregone buono Gandalf, con il principe Aragorn, con il nano Gimli, con l’arciere elfo Legolas, con Pipino, con Meriadoc e con le migliaia di guerrieri di ogni età e condizione sociale che si oppongono alle armate degli orchi e dei loro alleati in colossali battaglie. Alla fine Frodo decide di partire con lo zio Bilbo, con Gandalf e con alcuni elfi in un viaggio per mare verso terre sconosciute, forse – ma è una mia ipotesi – perché è innamorato cotto della bellissima elfa Galadriel.
Gli attori entrano nei loro personaggi come nelle figure di un dramma di William Shakespeare o di Christopher Marlowe, mentre sono semplicemente stupende le musiche di Howard Shore.
“Il Signore degli Anelli”, il romanzo e la trilogia cinematografica, è la mia vita, è l’esistenza di tantissime persone, come lo sono innumerevoli altri libri, film e miniserie televisive che hanno arricchito e arricchiscono spiritualmente il nostro pensiero-immaginario, la nostra comunicazione verbale scritta e parlata, e il nostro agire ai livelli interpersonale e pubblico.
Resta da chiedersi: ammireremo mai una realizzazione cinematografica come la trilogia de “Il Signore degli Anelli” di Peter Jackson? Forse non in questa epoca, non in questa vita, non in questo mondo, non in questo universo.