Stefano Jacurti è un vero personaggio che non potevamo non incontrare per voi: autore, fra le altre cose, di un saggio dedicato a un grande regista come Sam Peckinpah e di un’antologia che raccoglie storie sex-rock-horror-western, è un vero e proprio sfegatato del western, uno che arriva a vestirsi come se fosse in un western e che ha pure diretto un film western… Attore e scrittore con esperienze registiche anche nel teatro, Stefano è forse un uomo d’altri tempi, ma ben calato nella realtà odierna.
COMINCIAMO CON UNA DOMANDA DI RITO. CHI È STEFANO JACURTI?
Un uomo di 63 anni che viene dalla TV in bn e dalle sale con i sedili di legno che Tornatore ha narrato in Nuovo Cinema Paradiso. Mio padre e mia madre non hanno avuto nulla a che vedere con il cinema ma ho respirato quell’atmosfera dai racconti di mio padre riguardo la sua gioventù e del suo fidanzamento con Silvana Mangano prima di incontrare mia madre. Non durò molto, ma restai affascinato dagli aneddoti visto che lui era anche compagno di scuola di Sergio Leone. Certo che allora i citati erano ragazzi come gli altri. Poi anche mia madre mi ha raccontato quando da giovane fece l’assistente ai provini di Ugo Gregoretti a Cinecittà anche se fu una cosa fugace. Tutto questo non poteva non affascinarmi ma comprendo che certi nomi a un ventenne di oggi magari non dicono nulla o quasi.
COME NASCE LA TUA PASSIONE PER IL GENERE WESTERN?
Nasce in quei cinema dove si andava con il cinturone e una pistola giocattolo, la stessa con cui giocavo in strada.
COME HAI COMINCIATO A SCRIVERE?
Prima scrivevo esclusivamente copioni teatrali e sceneggiature, cosa che faccio tutt’ora perché consideravo la scrittura in narrativa e saggistica noiosa. Poi mi sono sbloccato intorno al 2007 anche sui libri dove ho scoperto una grande passione.
SCRITTORE, ATTORE, REGISTA: QUALE RUOLO TI RISPECCHIA DI PIU’?
Nasco principalmente come attore, ma le altre due esperienze sono state molto intense nella mia vita artistica.
VUOI PARLARCI DELLE TUE PRODUZIONI PRECEDENTI, IN PARTICOLAR MODO DI QUELLE A CUI SEI PIU’ LEGATO?
Sono legato a tutto quello che ho vissuto, un western sulla neve come Inferno Bianco, poi Se il mondo intorno crepa, altro western che fu premiato negli Usa nel 2015. Resto legato ai miei compagni di viaggio alcuni molto importanti, ma bisogna andare avanti anche da soli. Ricordo Golden City uno dei primi western che portai a teatro nel 95-96 e 2010. Altra passione sono gli shooting in chiave western che organizzo perché mi piace costruirci brevi storie che scrivo sul web.
RECENTEMENTE HAI PUBBLICATO IL SAGGIO “IL CINEMA WESTERN E NON DI «BLOODY» SAM PECKINPAH”. CE NE VUOI PARLARE?
Era qualcosa che covavo da tempo, l’ultimo libro corposo su Peckinpah era di 16 anni fa, troppi.
CHE SIGNIFICATO HA PER TE IL MODO DI FARE CINEMA DI QUESTO REGISTA?
Un precursore del cinema moderno che ha cambiato il modo di girare i western ad Hollywood. Un regista che ha lasciato un messaggio preciso anche al cinema indipendente. Il macellaio del cinema era anche un poeta. Era molte cose messe insieme.
COME TI SEI MOSSO NEL DECIDERE LE VARIE PARTI CHE COMPONGONO IL LIBRO?
Fermo restando che un libro definitivo non esiste e prima o poi arriverà un altro che scriverà di Peckinpah cose che io non ho scritto, posso garantire di essere andato molto oltre le cose che di solito si sanno su di lui e che compaiono sui libri precedenti. Se ne accorgeranno i lettori!
QUALE E’ STATA LA PARTE PIU’ DIFFICILE NELLA RACCOLTA DEL MATERIALE PER QUESTO SAGGIO?
Capire bene le sue origini che di solito vengono liquidate in poche righe (del teatro da lui frequentato quanti ne parlano in modo approfondito?). Quindi afferrare la psicologia degli addetti ai lavori che lo hanno amato molto e soprattutto il perché. Ho approfondito riguardo a delle donne importantissime che gli sono state vicino alle quali ho dedicato un grande spazio. Peckinpah è stato un’esplosione in tutti i sensi molti anni prima di Tarantino. Ma le testimonianze non vanno cercate solo in Italia, perché comunque non è di certo un libro scritto con Wikipedia. Bloody Sam esplose forza e creatività per la ribellione contro il sistema, lo fece da solo contro quei giganti che erano gli Studios.
ULTIMA DOMANDA, POI TI LASCIAMO AL TUO LAVORO. QUALI PROGETTI HAI PER IL FUTURO E QUAL È IL TUO SOGNO (O I SOGNI) CHE HAI LASCIATO NEL CASSETTO?
Far tornare il Generale Grant da me interpretato per la prima volta in Italia su un palcoscenico, ma con una storia diversa. Sono consapevole che non tutti i sogni possono essere realizzati, ma più ne hai e meglio è. Del resto la matematica sancisce che più sogni si hanno e più aumentano le probabilità che qualcuno esca dal cassetto per diventare realtà. Invito il pubblico a seguire Black Town, il western indipendente di Emiliano Ferrera dove tornerò anche io. Con Emiliano ci siamo ritrovati dopo anni (su YouTube troverete i film del passato) in una storia scritta da lui a cui ho partecipato con entusiasmo. E’ un western con la guerra civile americana di mezzo. Per il teatro invece la prossima stagione sarò in scena con un western di Stefano D’Angelo per la regia di Marco Belocchi dal titolo L’ultima ora. C’è da prepararsi a grandi avventure!