Mentre i rapporti fra nazismo ed esoterismo sono ampiamente attestati e documentati sia per Hitler che per gli altri componenti del suo cerchio magico (in particolare Himmler: basti pensare all’istituzione di un’associazione come l’Ahnenerbe, letteralmente “Eredità ancestrale”, con il suo primo viaggio alla ricerca delle attività di maghi e streghe della Carelia nel 1936), il fascismo parve sempre piuttosto refrattario a interessi di questo genere: al di fuori della velleitaria riutilizzazione mussoliniana della storia romana a cemento di un’identità italiana che non voleva (e non vuole) saperne di formarsi (1), il duce ebbe un interesse piuttosto tiepido e sospettoso nei confronti di uno spiritualismo che non fosse per così dire di stato, quindi ben sorvegliato e dai movimenti ingessati.
Proprio per questo, con ogni probabilità, il filosofo ed esoterista italiano Julius Evola (1898 – 1974) a sua volta espresse la propria posizione nei confronti del fascismo in questi termini: “Nella misura che il fascismo segua e difenda tali principi [i principi del mondo della Tradizione], in questa stessa misura noi possiamo considerarci fascisti. E questo è tutto”. In sostanza, come accade alla gran maggioranza degli uomini politici nei loro rapporti con artisti e intellettuali in genere, di Evola Mussolini apprezzò esclusivamente ciò che gli poteva tornare utile: il ritorno alla romanità e la teoria della razza vista in una prospettiva “spirituale”, ovvero non esclusivamente biologica, quindi con un maggiore – e non minore come si vuol credere in alcuni ambienti di destra – aspetto discriminatorio, dati i suoi più mobili e oscuri confini che possono inglobare, etnie a parte, ora questo ora quel tipo di individuo, o d’improvviso quella certa categoria sociale fino a un attimo prima considerata lontana da proscrizioni e persecuzioni. E questo è tutto.
In oltre cinquant’anni di attività, Evola si occupò di esoterismo in opere dedicate esplicitamente a esso (con titoli e intenti didattici quali Introduzione alla Magia o La Tradizione ermetica) e quando si dedicò ad altro, filosofia arte o politica che fosse, lo fece scrivendo testi altrettanto specifici; resta il fatto, tuttavia, che la sua visione del mondo – fondata su basi esoteriche – farà da sfondo anche a tutte le altre sue opere. In questo senso è centrale la sua focalizzazione sul “Dio è morto” di Nietzsche: “Quale è il Dio di cui è stata annunciata la morte? La risposta dello stesso Nietzsche è: Solo il dio della morale è stato superato. Egli si chiede anche: Ha un senso concepire un dio al di là del bene e del male? La risposta deve essere affermativa. Dio si spoglia della sua epidermide morale e lo si vedrà riapparire al di là dal bene e dal male. A scomparire non è, dunque, il dio di una metafisica, bensì il dio del teismo, il dio-persona che è una proiezione di valori morali e sociali o di un appoggio per la debolezza umana.” (J. Evola, Cavalcare la tigre) (2). In pratica, dunque, restano a disposizione di Evola buona parte del pantheon pagano occidentale e di quello orientale (la Tradizione con la “T” maiuscola): proprio su di essi s’incentrerà la sua opera dandone una rilettura tanto complessa quanto personale.
Ebbe un inizio da artista, fra dipinti e poesie, Papini e Marinetti (dai quali si scostò abbastanza presto per giungere a posizioni più personali), e dopo la Prima Guerra Mondiale, alla quale partecipò da ufficiale, giunse a un momento di crisi tale da pensare al suicidio, forse anche sulla scorta delle intense letture di Weininger e Michelstaedter (entrambi morti di propria mano) coniugate con l’esperienza della tragedia bellica. Uscì da questo prostrante stato di disperazione solo grazie a un passo del buddhismo delle origini: “Chi prende l’estinzione come estinzione e, presa l’estinzione come estinzione, pensa all’estinzione, pensa sull’estinzione, pensa Mia è l’estinzione e si rallegra dell’estinzione, costui, io dico, non conosce l’estinzione”; questa specie di ipnotico problema zen ebbe il potere di risvegliarlo in un senso tutt’altro che libresco e il resto della sua vita intellettuale si può interpretare, almeno parzialmente, come una forma di ringraziamento al sapere tradizionale orientale perché esso lo aveva aiutato proprio nel momento dell’estremo bisogno. Non a caso, nella sua bibliografia compaiono titoli quali L’uomo come potenza, La dottrina del risveglio, Lo Yoga della potenza, Metafisica del sesso, Il taoismo; fra l’altro, egli curò la pubblicazione di opere di Lao Tze, D. S. Suzuki (i celebri Saggi sul buddhismo zen), Lu Tzu e Lu K’uan yû.
Dopo il difficile passaggio di cui abbiamo detto, riprese la sua carriera artistica divenendo uno dei massimi esponenti italiani del dadaismo pittorico. Già nel 1923, però, si allontanò dall’arte e fino al 1925 fece uso di stupefacenti col preciso scopo di raggiungere sperimentalmente stati alterati della coscienza che lo staccassero dai sensi fisici. Sulla questione, Evola ha idee molto precise: in sostanza egli ritiene che mentre in origine le droghe venivano usate come rinforzi per aperture verso l’oltreumano, ma soltanto da individui “qualificati”, come direbbe lui (ad esempio da stregoni o sciamani), e quindi in grado di dominarle, oggi sono state trasposte su un piano puramente fisico, nello stesso modo dell’alcool o della danza, che aiutano, come si dice, a “lasciarsi andare”. Il suo sforzo, invece, sta tutto nel tentativo di mantenere il completo dominio di sé, proprio nel momento in cui la droga agisce, tramite una fortissima energia interiore che riesca a ribaltarne l’azione da passiva ad attiva. Mettere la droga al guinzaglio, insomma: è evidente che non si poneva certo obiettivi facili (3). Più generale: “Tutto il segreto consisterebbe nella formula apparentemente semplice di trasformare la passività in attività. Quando una passione o un moto dell’animo si manifesta, come un’onda che sorge, non si dovrebbe reagire né subire; bisognerebbe aprirsi e identificarvisi in modo attivo, conservando un sopravanzo di forza, tanto da non essere trasportati ma da trasportare, intensificando lo stato in modo da provocare la completa emergenza della radice”, cioè il mostrarsi pienamente dell’origine più profonda della passione stessa in modo da averne una chiara coscienza insieme al dominio su di essa dovuto al “sopravanzo di forza” dei pochi che lo possiedono (per natura e/o allenamento psicofisico).
Dal 1925, i suoi interessi si spostarono in ambito filosofico: oltre altri saggi, pubblicò in particolare Teoria e fenomenologia dell’individuo assoluto. Nella sua ricerca di una pratica che gli offrisse la possibilità di realizzare nel quotidiano la propria filosofia, cominciò a interessarsi attivamente dell’occulto frequentando dapprima l’ambiente esoterico romano e quindi costituendo il “Gruppo di Ur” (parola “tratta dalla radice arcaica del termine fuoco, ma anche primordiale e originario in tedesco).
Un’ottima introduzione a ciò che Evola intende per esoterismo è fornito da Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo grazie alla destinazione essoterica, divulgativa del libro e al fatto che la data della sua pubblicazione in forma definitiva sia decisamente tarda (1971; la prima edizione è però del 1932). In esso viene offerta al lettore una panoramica essenziale di quanto nel secolo appena trascorso caratterizzò una cultura e delle sottoculture che contarono, e parzialmente contano ancora, milioni di adepti. In sostanza Evola, neanche fosse il più lucido degli illuministi – ed è un paradosso dirlo di lui che, in perfetta linea con l’ideologia reazionaria, interpretò la rivoluzione francese come momento fra i più nefasti della storia occidentale (l’inizio dell’età del ferro o la “Kali-Yuga”) – fa saltare tutti gli aspetti oscurantisti e superstiziosi delle figure e dei materiali esaminati, naturalmente non senza crearne di nuovi, per esempio la sciocchezza criminale della psicanalisi interpretata come scienza ebraica per eccellenza (4). Nell’ampio elenco dei movimenti analizzati e criticati troviamo: lo spiritismo, la già citata psicanalisi, il teosofismo di Madame Blavatsky, l’antroposofia steineriana, il neomisticismo e Krishnamurti, il cattolicesimo esoterico, il tradizionalismo integrale, il primitivismo, i demoni (dostojevskiani e non), il superuomo, il satanismo (nel quale, oltre a Crowley, vengono inclusi Charles Manson e LaVey), le correnti iniziatiche e l’alta magia (da Gurdjeff a Kremmerz, da Meyrink a Eliphas Levi). Nella gran maggioranza dei casi, secondo l’autore queste correnti aprono delle porte a forze che si collocano ben al di sotto dell’uomo come personalità e non, come si crede comunemente, al di sopra di esso: così, per fare due esempi, durante le sedute spiritiche, nei casi migliori i partecipanti (e i medium in particolare) pasticciano senza saper bene quanto stanno facendo con entità che in nessun modo possono essere identificate aprioristicamente con le anime dei defunti; a loro volta le sedute psicanalitiche, se pure sono in grado di far tornare alla coscienza elementi rimossi dal paziente, non lo dotano degli strumenti che gli occorrono per a) controllare la forza spesso dirompente di tali elementi e b) ricostruire il proprio Io: insomma, in nessuno di questi due casi viene offerto un metodo per conquistare la vera spiritualità, che per l’uomo (e qui si intende proprio il maschio) deve essere una coscienza limpida e attiva. Niente di meno simile, insomma, al medium in trance che è attraversato da voci come un fantoccio nelle mani di un ventriloquo: anzi, se viene posseduto, come già accennato l’uomo “non ascende, ma discende lungo la scala della spiritualità, passa da un più ad un meno di spirito. Non supera la natura, ma si restituisce ad essa, anzi si fa lo strumento delle forze infere chiuse nelle forme di essa” (Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo).
Dunque, per concludere in maniera un po’ schematica, dopo la discesa negli inferi (solve) che distrugga il vecchio Io fatto di scorie storiche (diverse per ciascun individuo), occorre una salita verso l’alto (coagula) in grado di produrre attraverso il sapere iniziatico un Io superiore, magico eppure a suo modo razionale, o meglio sovrarazionale. Quanto di meno perituro c’è in queste pagine, tuttavia, non mi pare si possa trovare tanto nell’originalità dell’esito della cavalcata evoliana (già inscritta fin dall’inizio nella Tradizione, che non conosce originalità all’infuori dell’Origine), quanto piuttosto nel metodo da lui utilizzato, nel suo sforzo di non lasciare l’irrazionale a irrazionali e irrazionalisti incapaci di un’analisi rigorosa del mondo magico e, nel farlo, non sottrarsi mai al compito crudele ma necessario di “mettere alla prova ciò che è suscettibile a cadere, dandovi per giunta una spinta” (Cavalcare la tigre).
Per tornare al “Gruppo di Ur”, già nel 1928 esso dapprima conobbe una scissione rispetto alla quale il nostro autore resta nel vago: parla di generiche intromissioni della massoneria, mentre in realtà vennero presi di mira proprio due massoni. A seguito di tale scissione, poco dopo il gruppo si sciolse. A quanto pare, all’epoca Mussolini arrivò a pensare “che qualcuno [del Gruppo] volesse agire magicamente su di lui”; dopo aver chiarito la cosa col duce, Evola lo taccerà (ma ben più tardi, ne Il cammino del cinabro, 1963) di essere – stato – un uomo suggestionabile e superstizioso. In luogo di “Ur”, Evola fondò una nuova rivista, “Krur” (“residenza, casa, montagna, forza”).
Negli anni seguenti i risultati delle indagini del sodalizio verranno pubblicati nei tre volumi che comporranno l’Introduzione alla magia. Opera centrale nel percorso esoterico evoliano, essa deve la sua importanza al proprio carattere di sintesi, alla maniera delle summae medievali, delle discipline iniziatiche e magiche. I vari contributi dei collaboratori, secondo l’antica tradizione tutti rigorosamente presentati sotto pseudonimo, hanno lo scopo fondamentale di portare il lettore a conoscenza della pratica, delle tecniche della realizzazione spirituale e della trasformazione dell’essere associate a collocazioni e sintesi generali della dottrina; inoltre vengono presentate traduzioni di testi magici originali rari ed esposizioni schematiche del pensiero di autori di orientamento simile al Gruppo come Meyrink, Kremmerz e Crowley. Sempre pronto a spazzare via ogni aspetto di superstizione o di volgare fenomeno da baraccone, Evola ammetterà in seguito che alcuni dei fenomeni descritti nell’Introduzione furono frutto di falsificazioni. “Krur” fu seguito da La Torre, ma a causa delle critiche verso alcuni notabili fascisti, Starace in persona fece sospendere la pubblicazione della rivista. Evola reagì dedicandosi all’alpinismo come pratica spirituale (da cui in seguito trarrà un libro, Meditazioni delle vette,1973) nella quale l’azione dell’ascesa diventa inseparabile dalla contemplazione ascetica in vista di un superamento dei limiti della condizione umana.
Nel 1934 pubblicò Rivolta contro il mondo moderno, opera filosofica capitale nella sua sterminata bibliografia, dove egli legge la storia secondo la ciclicità tradizionale (oro, argento, bronzo e ferro nella tradizione occidentale e satya, treta, dvapara e Kali Yuga in quella induista). Dal 1934 collaborò con la Scuola di mistica fascista; furono gli anni delle scellerate tesi sulla razza che lo resero strumentalmente bene accetto al regime (le leggi razziali sono, com’è noto, del 1938). Nei suoi rapporti col fascismo, comunque, cercò sempre più di individuare quegli elementi che potessero ricondurre a un’idea di Tradizione prossima alle tesi di un Guénon, cosa che successivamente tenterà anche col nazismo; inutile dire che in nessuno dei due casi verrà persuaso fino in fondo dalle ideologie politiche alle quali, sia pure in forma ufficiosa, resterà sempre legato. Poiché non aderì al partito fascista, non poté arruolarsi come volontario per la campagna di Russia. L’8 settembre 1943 lo colse in Germania, dove si trovava per alcune conferenze. Nel 1945, a Vienna, fece una “passeggiata” durante un bombardamento sovietico riportandone una ferita che comportò la paralisi permanente alle gambe: secondo quanto affermò egli stesso, cercava “di non schivare anzi di cercare i pericoli, nel senso di un tacito interrogare la sorte”. In questo suo sfidare il destino, non è difficile notare il desiderio di portare fino in fondo quel gesto suicida che non si era compiuto dopo la prima guerra mondiale, sia pure affidandolo in parte al caso. Nel 1948 tornò in Italia e già nel 1951 venne processato per apologia del fascismo e per aver ispirato dei gruppi neofascisti, accusa dalla quale fu poi assolto con formula piena.
Gli ultimi scritti di rilievo furono a carattere perlopiù politico, assai importanti per l’estrema destra degli anni ‘60 ma non per il nostro discorso. Fa eccezione il già citato Metafisica del sesso, nel quale cercò di mettere in luce la possibilità di un’esperienza erotico-sessuale “trascendente” in opposizione a quella oscura e torbida di ascendenza psicanalitica, ancora una volta in ossequio a molteplici tradizioni antiche ed extraeuropee. Negli ultimi anni visse con una pensione di invalido di guerra e dedicandosi ad articoli e traduzioni, cavalcando – per quanto gli fu possibile e a suo modo – la tigre.
Gianfranco Galliano
Note
(1) Sia a Giolitti che a Mussolini viene attribuito questo disperato aforisma: “Governare gli italiani, non è difficile: è inutile”.
(2) “Nelle parole dette da un asceta sul punto di venire trucidato da un soldato europeo: Non mi inganni! Anche tu sei Dio!, può vedersi uno dei crismi drastici di questa sapienza” (J. Evola, Cavalcare la tigre).
(3) A questo proposito, ricordo (reminiscenza infantile) che in un libro di Piero Pieroni sugli indiani d’America si parlava fra l’altro della prova d’iniziazione alla quale venivano sottoposti gli apache per diventare guerrieri: dovevano riempirsi la bocca d’acqua, correre per un certo numero di chilometri e quindi, tagliato per così dire il traguardo, sputarla davanti agli anziani per dimostrare di non averne bevuto neppure un goccio, nonostante le terre in cui si svolgeva la prova fossero calde e desertiche. Occorreva, in altre parole, che mostrassero di saper essere padroni addirittura delle loro legittime e più semplici esigenze fisiologiche prima ancora delle loro passioni.
(4) Seguendo questa strada, si potrebbe definire allora il comunismo l’ideologia politica ebraica per eccellenza dal momento che Marx è di origine israelitica (ma attraverso quale contorsione pseudoideologica si concilierebbe allora questa posizione politica con la favola del giudeo sempre avaro, avido e ricco sfondato?).