La fessura luminescente era lì ad attendermi e mi invitava palpitante ad attraversarla, cercai di pensare a cose piacevoli, con la speranza di poter in qualche modo condizionare il mio viaggio spirituale, in un attimo mi ritrovai, a piedi nudi, sul morbido tappeto di muschio. Al centro padroneggiava il leggio con la penna d’oca dorata sospesa in aria, che aspettava di essere impugnata per una nuova storia, per un nuovo disegno, e tutto intorno le porte, che parevano infinite.
Magicamente i dolori e l’angoscia sparirono e così anche la febbre, non controllai le mie ferite, sapevo che non le avrei trovate. Stavo bene, ed ero felice. La calda luce della sala mi avvolgeva nel suo abbraccio facendomi sentire al sicuro. Lentamente camminai sfiorando le porte, mi resi conto che alcune di loro erano in grado di trasmettermi sensazioni chiare e profonde, altre emanavano forti odori e profumi, altre ancora nulla.
Mi fermai, posando entrambe le mani sul tenero legno chiaro di una di esse, il profumo di salsedine invase le mie narici. Posai l’orecchio e ascoltai l’infrangersi delle onde sulla spiaggia, impugnai la maniglia ed entrai. Il tepore del sole che si avviava al tramonto mi baciò il viso, sentivo la sabbia tiepida sotto i piedi nudi e indossavo una corta tunica di cotone bianco. Mi voltai per cercare la porta, fui divertita nel vederla sdraiata sulla spiaggia, come fosse una grande botola. La spiaggia candida che separava il mare da basse palme e oleandri era deserta, mi diressi verso un grosso tronco, secco e levigato dalle acque, che spuntava dalla sabbia, non molto distante. Lo afferrai trascinandolo verso la porta che andava via, via scomparendo, sarebbe stato il mio punto di riferimento e sarei stata in grado di distinguerlo anche da una notevole distanza. Tra le piante scorsi un sentiero e mi incamminai per raggiungerlo, in cuor mio speravo di trovare delle persone o anche delle creature come quelle del popolo dei Quikky, purché amichevoli. Il sole tramontava oltre la lussureggiante vegetazione e dovevo trovare al più presto un riparo per la notte. Man, mano che mi addentravo tra gli arbusti, la morbida sabbia lasciava il posto alla terra, che appariva battuta dal passaggio frequente di qualcuno… o qualcosa.
Seguii il sentiero che si arrampicava su un’alta collina, quando raggiunsi la cima, rimasi incantata dallo stupefacente paesaggio. Ero approdata su un istmo di notevoli dimensioni, oltre la collina vedevo ormeggiato, in un fatiscente porto, un maestoso galeone. Ero senza fiato davanti a tanta meraviglia. Non lontano dal porto si poteva scorgere un villaggio di basse costruzioni in legno, sembrava deserto, ma poi notai del fumo bianco uscire da uno dei comignoli, diedi un ultimo sguardo alla spiaggia alle mie spalle, anche da quella distanza potevo vedere il grosso tronco, poi presi coraggio e mi avviai verso il villaggio.
Giunsi che già imbruniva, presi il sentiero principale che mi portò tra le case di legno scuro, stradine fatte di tavole univano le abitazioni in un labirinto. Quando fui più vicina, mi resi conto che erano disabitate e le tristi condizioni in cui apparivano, davano l’idea che fossero state abbandonate in fretta e furia da diverso tempo.
Mentre procedevo verso la mia meta udii un suono cristallino e suadente, venire dal porto. Ne fui affascinata e decisi di scoprire chi producesse un tale incanto. Giunsi sino a una struttura più grande delle altre, alla luce della luna, ne distinsi il mobilio dalla porta che era stata divelta, sembrava una taverna. Sfiorai i profondi solchi sull’uscio, parevano graffi di artigli forti e affilati, sperai di non ritrovarmi davanti chissà quale belva, ma la mia ansia svanì quando ancora una volta, il soave suono raggiunse i miei sensi. Si, perché non era un suono che avvertivo con l’udito, ma piuttosto con tutto il corpo, persino la bocca mi si riempiva di una gradevole dolcezza. Guardai verso il galeone e fu allora che le vidi, Sirene. Alcune in acqua guizzavano giocose, altre sul molo si accarezzavano le folti e lunghe chiome, fui stupita di vederne alcune sul ponte del galeone e, addirittura, sedute sugli alberi delle vele. Ne ero affascinata. Scoprire chi vivesse nella catapecchia col camino acceso e trovare un riparo per la notte divennero cose senza senso e inutili, perché io ero giunta in quel mondo per vedere loro, per stare con loro… Non ricordo in quale momento esatto persi la volontà decisionale dei miei movimenti e dei miei pensieri, ma quando sentii afferrarmi alle spalle, e una mano forte premermi sulla bocca per impedirmi di urlare, tornai bruscamente in me ed ebbi paura. Mi sentii trascinare verso la taverna, qualcuno mi scaraventò sul pavimento e subito mi fu sopra, tappandomi ancora la bocca con il palmo della mano.
«Non farti ingannare ancora» mi sussurrò una donna a un centimetro dalla mia faccia.
Poi delicatamente mi lasciò andare, indietreggiai sul pavimento di assi polverose, e mi misi seduta con le spalle appoggiate al bancone, guardandola allibita. Era una donna alta e muscolosa, con il corpo inguainato in succinti abiti di pelle, e la folta e lunga chioma scura intrecciata con dei lacci. Sul fianco, legata a un grosso cinto, teneva una scintillante sciabola e non mi sfuggì l’impugnatura di un grosso coltello che sbucava da un fodero legato alla gamba destra.
«Sara, sono io, Kassandra! Non ti ricordi?»
Quella donna mi conosceva, conosceva il mio nome. In questo nuovo mondo, non avevo preso il posto di nessuno, ero me stessa, ma perché non mi ricordavo di lei?
Mi fece cenno di stare in silenzio, posandosi l’indice sulle labbra carnose, poi mi invitò a seguirla.
Ci incamminammo verso il retro bottega e uscimmo da una porticina, ritrovandoci nel dedalo che si snodava tra le case tutte uguali.
Giungemmo dinnanzi a l’unica costruzione da cui proveniva una tenue e tremula luce, che si intravedeva dai vetri opachi di sporcizia, delle piccole finestre. Entrammo.
Seduta a terra accanto a un giaciglio di paglia ci attendeva una vecchia, con i capelli bianchi e incolti e il viso grinzoso. Armeggiava sulla gamba ferita di un’altra donna, con un feticcio piumato dal quale pendevano, legate a dei lacci di cuoio, una decina di conchiglie.
Quando ebbe finito si alzò e ci raggiunse.
«Hai varcato la porta per venirci in aiuto?» mi chiese.
«Sembra che non si ricordi di noi, Naja», intervenne Kassandra.
La vecchia mi scrutò con i suoi occhi grigi e annacquati.
«È bloccata» disse.
Mi fece cenno di inginocchiarmi davanti a lei e lo feci. Si avvicinò di più e impose la sua mano sulla mia fronte. Bisbigliò alcune parole incomprensibili, poi levò la mano dalla fronte e mi colpì la guancia con uno schiaffo. Dopo un primo momento di incertezza e sgomento e prima che potessi dire qualcosa, nella mia mente riaffiorarono i ricordi di quella nave pirata e di Kassandra, capitano di una numerosa ciurma di piratesse.
«Ora ricordo… ricordo tutto, ma cosa è accaduto?»
«Ricordi le Sirene?» mi chiese Naja.
Mi sforzai, «Vagamente», risposi.
«Poco dopo che avevi varcato la porta per il tuo mondo, molte di noi sono state ammaliate dal loro canto e catturate. Molte delle mostruose creature sono morte durante il combattimento, solo qualcuna di loro è sopravvissuta. Dobbiamo sconfiggerle e riprenderci la nave con il nostro equipaggio!» esclamò Kassandra.
«Vi state sbagliando, non sono poche. Saranno più di trenta», feci notare loro.
«No, di questo ne siamo certe, non sono più di tre, quelle reali. Le altre sono frutto di una malia. Ma per distinguerle avevamo bisogno di un contro incantesimo e per trovare gli ingredienti utili per la pozione, ci è voluto molto tempo», disse Naja.
«Sono trascorse più di quindici notti, dal giorno del primo attacco. Ora la pozione è pronta e lo siamo anche noi. Il tuo aiuto sarà prezioso. Ogni giorno in più che passa, una di noi, che è tenuta prigioniera, diventa cibo per saziare le Sirene», aggiunse Kassandra.
Man mano che il tempo passava, i ricordi di quell’avventura tornavano più vividi che mai. Ricordavo del mio primo incontro con lei. La mia porta si era aperta proprio davanti ai suoi occhi, e dopo un attimo di sgomento da parte di entrambe, mi ritrovai con la lama della sciabola, puntata alla gola. Fu l’intervento di Naja a salvarmi. Aveva riconosciuto la paura e l’innocenza nei miei occhi. Mi avevano accolta tra di loro e nell’attesa che la mia porta tornasse, solcavamo il mare per raggiungere l’isola su cui sorgeva il loro villaggio.
Avremmo lasciato il bottino di diversi arrembaggi e ci saremmo rifornite di viveri e acqua. Giungemmo in prossimità dell’isola che la giornata volgeva al tramonto. I fuochi sulla spiaggia, che dovevano guidarci al porto, erano spenti. Nessuna persona all’orizzonte, il villaggio era deserto.
Fu allora che udimmo il loro canto. Naja ci riunì nella stiva e ci costrinse a inserire dei tappi nelle orecchie. Ricordo che ci volle molto tempo per sciogliere le candele e forgiare la cera. Nel frattempo molte delle ragazze, scappavano per buttarsi nelle acque scure, come la notte che ci avvolgeva. Mentre anche io venivo stregata dalla magia di quel canto, la mia porta iniziava a prendere consistenza. Potevo tornare nel mio mondo ma non volevo. Scappai sul ponte della nave, il mare si era ingrossato e alte onde si infrangevano sopra lo scafo, ma non mi importava. Fu Kassandra ad afferrarmi un attimo prima che un onda mi trascinasse via. Mi condusse di peso di nuovo nella stiva, spingendomi con forza dentro la mia porta che Naja teneva aperta.
Doveva essere stato quando mi risvegliai nel mio letto, inzuppata di acqua salata.
Riconobbi la piratessa ferita, era il capo in seconda di Kassandra.
«Kayla…»
Mi avvicinai a lei, ma era priva di sensi.
«Lei non potrà aiutarci, saremo solo noi tre, se vorrai» mi disse Naja.
Accettai, sapevo che ne ero in grado.
«Prendi le armi di Kayla, attaccheremo all’alba. Adesso riposati, abbiamo ancora un po’ di tempo» mi disse Kassandra.
Mi sdraiai sul pavimento di legno nudo e chiusi gli occhi. Sentivo Naja mescolare qualcosa in un paiolo appeso sulla fiamma nel camino e, di tanto, in tanto, il lamento sofferente di Kayla.
Kassandra mi si sdraiò accanto.
«Dov’è la tua porta?» mi chiese.
«Sulla spiaggia» risposi.
Non disse altro, sentii il suo respiro più pesante. Si era addormentata, e dopo poco mi addormentai anche io.
*
«È ora» mi disse una voce mentre una mano mi scrollava la spalla,
«Alzati, dobbiamo prepararci.» Kassandra mi invitava a seguirla.
Fuori era ancora buio.
Naja sedeva per terra accanto al camino, nelle mani teneva una ciotola con un intruglio vischioso di colore scuro, ci sedemmo di fronte a lei.
«Siete pronte?» ci chiese, aveva gli occhi bagnati di lacrime.
«Che succede? Kayla…» la voce di Kassandra vibrò.
«No, lei sta bene.»
«Perché piangi, Naja?»
«Non è niente, Kassandra. Vinceremo questa battaglia, l’ho visto nelle mie conchiglie, ma è importante riuscire a individuarle e fare si che si riuniscano in un unico posto. Dovremo essere brave nell’inganno quanto loro, più di loro.»
Naja si alzò, immerse due dita nell’unguento della ciotola.
«Chiudete gli occhi, brucerà, ma è l’unico modo» disse passando l’intruglio sui nostri occhi e così fece a se stessa.
Il fuoco avvampò immediatamente sulle palpebre, per diffondersi in profondità, ebbi la netta sensazione che i bulbi oculari stessero per esplodermi.
«Non sfregatevi gli occhi, ci vorrà solo un momento. Siate forti!» esclamò Naja.
Un momento interminabile, poi finalmente il bruciore cessò di colpo. Aprii gli occhi, intorno a me ogni cosa era orlata di una tenue luce azzurrina.
Naja era una strega straordinaria, ne ero affascinata. La vidi immergere sei tappi di cera nella viscosa pozione e sollevare lo sguardo a fissare il nulla. Iniziò a proferire un nuovo incantesimo che ci avrebbe protetto dal canto delle Sirene. Quando interagiva con la magia i suoi occhi acquisivano una stupenda luminosità.
«Mettete questi nelle orecchie e assicuratevi che siano ben infilati», disse porgendoceli.
«Brucerà?» chiesi.
«Fa differenza?»
Le sorrisi, infilai i tappi e spinsi forte in attesa delle fitte di fuoco, che non tardarono ad arrivare.
Quando tutto fu finito, Naja versò una piccola parte della pozione in una boccetta di vetro che chiuse con un tappo di sughero. Ne raccolse una piccola parte col polpastrello e se la passò sulle labbra, il suo corpo tremò appena, con fierezza resistette alle nuove fitte di fuoco che le divamparono nella gola.
«Adesso andiamo!» esclamò.
Sgranai gli occhi sorpresa da quella potente magia, sentivo chiaramente le sue parole, mentre il resto dei suoni del mondo parevano inghiottiti dall’oblio del silenzio.
Uscimmo guardinghe nel dedalo tra le case, rimasi attonita dall’immensità e la lucentezza della luna, che appariva gigantesca nell’infinito cielo nero. Raggiungemmo il limite dell’abitato che dava alla spiaggia, sembrava deserta.
Ancora nascoste dagli oleandri e le mimose marine, Kassandra mi fece cenno di dirigermi verso il pontile di legno che costeggiava il galeone, da li avremmo potuto individuare dove si erano appostate le Sirene rimaste.
Raggiungemmo, per lo più accovacciate, delle casse di viveri che aspettavano di essere imbarcate. Da lì la visuale era ottima e grazie alla luce irradiata dalla luna, riuscimmo a individuarne due. Non riuscivo a metterle a fuoco, troppo lontane e l’orlatura azzurra che l’intruglio di Naja mi faceva vedere, non mi aiutava, ma una cosa era certa, le chiome fluenti che avevo visto loro, non esistevano più. Stavo per procedere verso la tavola che faceva da ponte per la nave, quando Kassandra mi afferrò per un braccio, indicando con lo sguardo la creatura che si arrampicava nella catena dell’ancora. La magia era stata spezzata e ora potevo vedere il loro reale aspetto mostruoso. Man mano che la sirena si arrampicava, la coda lucida e guizzante iniziò a separarsi in due, creando una sorta di gambe con le quali le fu più semplice arrampicarsi, raggiunse la murata dello scafo fino al castello di prua, scivolando oltre, poi non la vidi più.
Naja ci chiese di toglierci i tappi dalle orecchie, rassicurandoci del fatto che l’intruglio ci avrebbe protetto per un breve tempo, era essenziale che usassimo anche l’udito.
A un tratto echeggiò nel silenzio un suono simile a quello dei delfini, molto più acuto, seguito da tonfi sul legno che si allontanavano fino a tacere completamente. Poi fu il momento di urla strazianti.
«Sono nella stiva, si stanno nutrendo» disse Naja.
Kassandra scattò verso il ponte e noi la seguimmo, dovevamo raggiungerle e mettere fine a quel massacro, quante di noi avevano già ucciso?
Quasi strisciammo su quella tavola, con un cenno Kassandra ci fermò, per poi procedere da sola. Sentii un rumore liquido, seguito da un tonfo, poi ci raggiunse e procedemmo. Distesa sul ponte c’era una di loro, orribile creatura delle profondità marine. La pelle grigiastra e striata da una rete di vene nere, appariva lucida e gelatinosa, lungo la schiena una cresta di spine saliva fino al cranio glabro, la girai, volevo vederla. Mi morsi forte le labbra per soffocare il grido di repulsione che ormai le mie corde vocali avevano liberato. Niente labbra, niente naso, niente palpebre o sopracciglia. Sui lati della gola spiccavano delle branchie rosa e dal taglio orizzontale sulla faccia che era la sua bocca, notai la fitta e affilata dentatura. Gli occhi non erano altro che due palle nere liquide, gli arti scheletrici erano abbandonati e dal petto accoltellato da Kassandra fuoriusciva un liquido nero maleodorante.
Procedemmo con esasperante cautela, fino a raggiungere la stiva, fu allora che si scatenò l’inferno. Le Sirene rimaste erano cinque, sei se si contava quella assassinata da Kassandra. Un acuto fischio usci dalle loro gole, lasciarono il corpo martoriato dai profondi morsi di Sofy, forse la più giovane delle piratesse imbarcate e si scagliarono su di noi. Non mi sfuggì lo sguardo estasiato delle altre donne, ancora prigioniere della malia delle Sirene.
«Tenetele a bada, datemi tempo!» ci gridò Naja.
La vidi bere il liquido che aveva messo nella bottiglietta e la vidi piegarsi in due per il dolore lancinante che sicuramente il suo stomaco le inviava. Non potevo neppure immaginare cosa stesse provando, poi la terribile fitta di un morso alla caviglia mi riportò alla concentrazione. Colpii la mostruosa Sirena con la mia sciabola, un fendente pieno di rabbia e orrore con il quale la decapitai, ma già un’altra mi si avventava contro. Riuscii a bloccarla per la gola, ma sentivo che stavo perdendo la presa, la sua pelle secerneva un liquido viscido come quello delle anguille, mi stava scivolando dalle mani. Cercai l’aiuto di Kassandra, ma la vidi a terra che lottava con altre due, mentre un’altra era sopra Naja.
Stavamo soccombendo, saremmo morte li, sarei morta in quel mondo…
A un tratto un intenso bagliore si sprigionò dal corpo di Naja, la sirena che le stava sopra cercò la fuga, ma la luce emanata dalla strega ebbe la forza di bruciare il suo corpo. La luce si intensificò e fu impossibile da guardare. Chiusi gli occhi aspettando di essere salvata da quel portento magico e dopo un’istante sentii il peso del corpo morto, della Sirena su di me.
L’odore che si sprigionò subito dopo era lo stesso puzzo del pesce bollito. Eravamo salve, ma non Naja, si era sacrificata per noi e ora giaceva morta sul pavimento della stiva.
Quando salimmo sul ponte iniziava ad albeggiare, e i tiepidi raggi che toccarono la nostra pelle furono in grado di scaldarci l’anima. Era finita.
Passammo la mattina a liberare la nave dai corpi puzzolenti delle Sirene che, quasi a voler esorcizzare il loro potere, decidemmo di sotterrare in una profonda buca nel terreno ben lontana dal mare.
Preparammo una zattera, che al tramonto avremmo usato per il funerale di Naja e Sofy, e per ricordare le altre che erano perite e di cui non trovammo resti.
Accendemmo i bracieri sulla spiaggia, restando in silenzio mentre guardavamo la pira dei loro corpi sulla zattera, prendere il largo.
*
Durante la giornata ero stata sulla spiaggia, per controllare la mia porta, ma non era ancora tornata, o forse l’avevo persa e sarei rimasta li per sempre, in fondo non mi sarebbe dispiaciuto.
Il mattino seguente Fara, mi svegliò di buon ora, la sua fluente chioma ramata, profumava di ciliege.
«Buona giornata a te Sara. Kassandra mi ha mandata per avvisarti che devi prepararti, la tua porta sta tornando a prenderti» mi disse.
Così poco dopo ci ritrovammo tutte davanti alla botola sulla spiaggia, spostai il tronco che ostruiva di poco il mio passaggio.
«È stato bello riaverti con noi Sara» mi disse Kassandra con gli occhi lucidi di emozione.
La abbracciai forte, la dura battaglia affrontata contro le Sirene ci aveva unite come sorelle. Mi si strinse il cuore a lasciare quelle donne straordinarie, ma dovevo pensare a chi avevo lasciato a casa, chissà se mia madre mi aveva cercata, chissà se l’avrei vista vicina al mio corpo martoriato, disteso sul divano, che avevo lasciato a casa.
Mi chinai ad aprire la porta e mi ci infilai dentro senza voltarmi più.
La luce calda dell’interno del mio albero mi aspettava e mi sentii avvolta in un caldo abbraccio consolatorio, raggiunsi la fessura luminosa per sbirciare sul mio mondo. Il mio corpo giaceva sul divano, così come lo ricordavo, chiusi gli occhi e mi concentrai sui suoni della mia casa, ma non ce né furono, ero sola.
Sentivo il leggio chiamarmi con prepotenza, presi il libro e la penna d’oca, mi sdraiai a pancia in giù sul muschio e disegnai Naja che risplendeva, mentre la devastante magia distruggeva le mostruose Sirene.
Presto sarei tornata a casa, ma non adesso…
Annamaria Ferrarese
(Tratto da “Le porte dell’inconscio”, in vendita su Amazon)