Con il romanzo “L’ultima sposa di Palmira” (174 pag., E. 18,00 – Ed. Marsilio 2011) lo scrittore lucano Giuseppe Lupo è nella rosa dei cinque finalisti alla XLIV edizione del Premio Campiello, che sarà assegnato sabato 3 settembre nello splendido Teatro La Fenice di Venezia.
Nato ad Atella, in provincia di Potenza, Lupo abita a Rescaldina (Milano) e insegna letteratura italiana contemporanea nelle sedi di Milano e Brescia dell’Università Cattolica.
Con le sue opere tra reale e fantastico (ma anche di saggistica, si è occupato molto del poeta – ingegnere lucano Leonardo Sinisgalli) Giuseppe Lupo è oramai entrato a far parte con Raffaele Nigro, Gaetano Cappelli e Mariolina Venezia della schiera dei più importanti scrittori lucani attuali. A questo proposito vale la pena evidenziare come la Basilicata abbia anche giovani scrittori di sicuro talento che si stanno facendo spazio nel mondo letterario italiano tra i quali ricordiamo Dora Albanese, Maria Luisa Amodio e Giovanni De Matteo.
Tornando a Lupo si fa presente come abbia già alle spalle una notevole carriera costellata di ottimi risultati e riconoscimenti. Dopo “L’Americano di Celenne” suo romanzo di esordio pubblicato nel 2000 (vincitore di premi tra cui il Giuseppe Berto e il Mondello opera prima) che rievoca l’epopea dell’emigrazione della prima metà del secolo scorso, ha pubblicato “Ballo ad Agropinto” (del 2004) che narra della civiltà contadina e delle lotte delle plebi rurali per l’assegnazione delle terre.
Ma è con “La Carovana Zanardelli” (Premio Grinzane Cavour e Premio Carlo Levi) romanzo del 2008, che Giuseppe Lupo si colloca sulla scena letteraria nazionale. Il testo, scritto con il consueto linguaggio intessuto di visioni e metafore nel quale albergano personaggi strampalati, ricalca, naturalmente in maniera romanzata, il celebre viaggio che il presidente del Consiglio, Giuseppe Zanardelli, svolse dal 14 al 29 settembre 1902 in Basilicata. Con “L’ultima sposa di Palmira”, libro che sta presentando in un lungo tour in tutt’Italia (con numerose tappe proprio in Basilicata) l’autore, attraverso sconfinamenti tra il vero degli accadimenti e fatti immaginari racconta il confronto tra un’antropologa milanese con un falegname filosofo del luogo. Il tutto si svolge in Basilicata, a Palmira (paese che non esiste) nei drammatici giorni che seguono il terremoto del 23 novembre 1980.
La trama, come ci spiega l’autore ha una metafora basilare: il confronto tra la scienza e il fantastico. Ma cosa ha spinto Giuseppe Lupo a scrivere un romanzo su un evento che richiama alla memoria angosce e dolori? Ne abbiamo discusso con lui nell’intervista realizzata a margine della presentazione tenuta a Grassano (Matera) nei giorni scorsi.
“Il libro – ci riferisce – nasce dalla volontà di sacralizzare quell’avvenimento funesto. Il terremoto dell’80 è stato un evento che io ho vissuto e ritengo che abbia avuto la funzione di spartiacque tra due mondi molto diversi: il modo di vivere precedente al sisma e di quello che è venuto dopo. Dal punto di vista antropologico il sisma ha determinato un passaggio importante nel quale una civiltà è finita e ha fatto irruzione l’idea di modernità. C’é stata la ricostruzione con i suoi sventramenti di vecchi paesi e la realizzazione di strade, di ponti, di palazzi. Non sempre quello che è venuto fuori è stato davvero rispettoso. Da qui l’idea di raccontare questo passaggio e per dare forma al romanzo mi sono servito di due personaggi: l’antropologa e il falegname.
SI TRATTA OVVIAMENTE DI DUE FIGURE SIMBOLICHE…
Sì, Viviana, l’antropologa, rappresenta la razionalità, mentre mastro Gerusalemme, il falegname, raffigura il mito, che poi sono due caratteristiche della mia personalità. Il tutto per vedere come reagiscono scienza e mito di fronte alla distruzione e alla morte, di fronte all’apocalisse! E’ comunque una storia avvolta dal mistero”.
E’ LA METAFORA DELLA FINE DELLA COSIDDETTA CIVILTA’ CONTADINA?
Di quella orale. Ritengo che la civiltà contadina fosse già morta negli anni ‘60 e ‘70, dopo erano rimaste solo alcune sacche. Finisce, invece, una certa idea di convivialità, di vecchie tradizioni e consuetudini. Nella popolazione cambia il modo di pensare e di ragionare.
E’ PRESENTE ANCHE IL TEMA DELLO SPOPOLAMENTO DELLA BASILICATA INTERNA?
Certo! Per entrare nella trama del libro, c’è un personaggio che poi è quello della sposa, l’ultima del paese, per la quale il falegname fabbrica il mobilio. La sposa ha il compito importante di procreare. Quanto al problema dello spopolamento dei paesi anche dopo la ricostruzione post-terremoto ci fu una nuova ondata migratoria. Per quello che io ricordo è così.
COSA RAPPRESENTANO DAL PUNTO DI VISTA LETTERARIO PER LEI I PAESI?
Tutto quello che ho scritto ha forte legame con i paesi. In Basilicata non esistono vere città. In fondo Potenza, il capoluogo di regione, è un grande paese così come Matera, l’altro capoluogo di provincia. Dentro il mio immaginario esiste l’idea del paese e non della città. Sono legato ed essi come nucleo conviviale. Nella narrazione, Palmira, che immagino sia stata distrutta dal sisma, è stata fondata dal Patriarca Maggiore che viene dall’Oriente. Egli la costruisce attorno alla sua stanza da letto che è il cuore del paese. E’ da lì che è stata procreata tutta la discendenza e tutto quello che nasce parte da lì, a cerchi che vanno allargandosi fino a diventare una grande chiocciola. E’ un labirinto di stradine. Ciò fa capire quello che io ho come idea urbanistica dei paesi: un nucleo di convivenza in cui tutti dipendono dallo stesso genitore e devono ricorrere ai soprannomi per distinguersi.
PERCHE’ IL NOME PALMIRA?
E’ un luogo dell’utopia, della convivenza pacifica tra vari popoli del Mediterraneo. E’ un posto che esprime la mia idea di mondo. Palmira nella realtà era un’importante città orientale. Nel libro rappresento il Patriarca Maggiore come un uomo giunto dall’Oriente che porta con sé una palma che piantata nel luogo in cui fonda il paese. C’è poi un’altra ragione, Palmira è il nome di una ragazza che egli ha amato e che morta.
IL SUD E’ SCOMPARSO DALL’AGENDA POLITICA. LA SUA LETTERATURA E’ ANCHE UN MODO DI TORNARE A PARLARE DI MEZZOGIORNO?
Da un lato penso che la narrativa sia un grande veicolo di immagine. Per parlare di Sud credo che la Basilicata stia ricevendo una grande visibilità attraverso le storie degli scrittori lucani. Mi riferisco a Raffaele Nigro, Gaetano Cappelli, Mariolina Venezia, si tratta di narratori che operano in campo nazionale, quindi per la Basilicata tutto ciò rappresenta un grande ritorno di immagine e comunque di una bella immagine.
LEI VIENE DEFINITO “SCRITTORE VISIONARIO”…
Anche la letteratura cosiddetta visionaria è un modo per leggere la realtà ed è questo il senso dei miei libri. Non è vero che per analizzare il presente bisogna scrivere romanzi realisti o storie ambientate nella realtà, i romanzi offrono chiavi di lettura che possono anche venire dalla fantasia, dagli immaginari, dal sogno che però poi si riverberano nella realtà.
COM’ E’ STATO VALUTATO DALLA CRITICA IL SUO ROMANZO?
Ha ricevuto tante recensioni su giornali e riviste importanti. Ed è stato ben gradito proprio perché mescola reale e fantastico, perché il dialogo tra le due parti si amalgama bene. Secondo me la narrativa non deve raccontare la cronaca, ma deve riscrivere la realtà.
LA SUA E’ UNA PROSA AFFABULATORIA CHE, PER CERTI VERSI, RICORDA QUELLA DI RAFFAELE NIGRO, E CHE SI OCCUPA DI PROBLEMATICHE MERIDIONALISTICHE, DEL ROMANZO STORICO E ANTROPOLOGICO…
Raffaele Nigro per me rappresenta uno straordinario compagno di viaggio. Noi lucani veniamo da una civiltà orale che raccontava le sue storie e nella mia scrittura tendo al recupero di questa identità. “L’ultima sposa di Palmira”, in definitiva, è il racconto della memoria delle cose e del mito. Gli uomini hanno bisogno dei sogni. Cosa rimane a un uomo che ha perso la capacità di sognare?
UN’ULTIMA DOMANDA. QUAL E’, A SUO PARERE, IL RAPPORTO TRA LETTERATURA E MONDO DELLA RETE? MI RIFERISCO ALLA RIVOLUZIONE DI INTERNET…
Internet ha grandissime potenzialità ed è parte integrante di tutto quello che concerne la civiltà odierna! Per quanto riguarda i libri dico solo che esiste una differenza sostanziale tra libri e-book e quelli su carta: ritengo che i secondi siano carne e sangue e non scompariranno.