Le Edizioni VociFuoriScena tornano a occuparsi di fantastico seguendo la linea delle tradizioni, delle leggende, delle favole e della mitologia, come spesso amano fare, con tre uscite davvero imperdibili per gli appassionati del genere.
Iniziamo con il saggio mitologico SAGA DI ÓLÁFR TRYGGVASON (740 pagine; 40 euro) di Oddr Snorrason, a cura e con traduzione di Francesco Sangriso, pubblicato nella collana “Bifröst – Area germanica”.
Opera che sfugge a qualsiasi tipo di classificazione, la saga del monaco islandese Oddr Snorrason dedicata a Óláfr Tryggvason, primo vero re cristiano di Norvegia, si presenta come un vero e proprio enigma. Il testo originale, in latino, non è pervenuto e si hanno soltanto due traduzioni in lingua norrena, difformi ma con un denominatore comune: il tentativo di accreditare la santità del sovrano cui spetterebbe il merito di aver introdotto la nuova fede cristiana in Norvegia e in Islanda.
Accanto all’intento celebrativo e all’ispirazione cristiana, nella saga si rinvengono importanti aspetti dell’universo culturale precristiano, dove l’elemento magico assume un ruolo determinante, come negli eventi soprannaturali che accompagnano il sovrano. Le spedizioni militari compiute dal giovane Óláfr prima dell’acquisizione del titolo regale vengono reinterpretate in una serie di narrazioni in cui convivono le qualità del guerriero e del missionario, un apparente ossimoro trascendente che fanno di Óláfr il primo “vichingo cristiano” nella storia scandinava.
Problematiche sono le narrazioni sul destino del sovrano: dopo la sparizione durante la battaglia a lui fatale, il suo corpo non venne mai trovato. Una mistica apoteosi ammantata di mistero, che già si rileva nell’individuazione esatta del luogo dove il re cristiano sarebbe caduto, vittima degli alfieri della pagana superstizione: una sorta di “isola non trovata”, la cui localizzazione è incerta e differenti sono le indicazioni offerte dalle fonti.
La “costruzione” della santità non può così prescindere dalle credenze e dalle ritualità del culto tradizionale, che sarà violentemente avversato e combattuto dallo stesso Óláfr. Il procedimento di rielaborazione semantica di tali aspetti, contenuto nel testo della saga, non ne oblitera completamente il significato originario e costituisce forse il maggior tratto distintivo di questa fonte, dove la complessità linguistica diviene la testimonianza più evidente del profondo travaglio della società nordica di fronte alla nuova fede cristiana. La Óláfs saga Tryggvasonar del monaco Oddr (e dei suoi traduttori) è, infatti, un’opera caratterizzata da inestricabili ambiguità semantiche, da una sintassi bizzarra e non di rado barocca e da un caleidoscopio lessicale che si muove con moto browniano nel fluido testuale fra anacronismi cortesi, reminiscenze vichinghe e citazioni bibliche.
Passiamo a un altro tomo di grande interesse, fra il mitologico e il leggendario, con il KALEVALA (708 pagine; 40 euro) di Elias Lönnrot: tradotto e introdotto da Paolo Emilio Pavolini, il volume si completa con la prefazione dello stesso Elias Lönnrot e con un articolo di Eino Leino, oltre alle traduzioni aggiunte di Marcello Ganassini e Fabrizio Mirabella su supervisione di Dario Giansanti ed Elisa Zanchetta.
Rispetto all’epica omerica, ai poemi cavallereschi e alle saghe scandinave, il KALEVALA appare come un mondo a parte. Si snoda lieve come una fiaba attraverso un panorama fatto di laghi e foreste, abitato da spiriti e animali parlanti. Non fa udire lo schianto delle spade, quanto il melodioso intreccio degli incantesimi; non procede con versi solenni, ma rapisce col ritmo innocente di una filastrocca.
Punto di contatto tra poesia popolare e letteratura colta, il KALEVALA può essere considerato tanto la celebrazione del genio nazionale del popolo finnico, tanto l’opera che unico autore, Elias Lönnrot (1802 – 1884), compose giustapponendo canti popolari epici, magici e lirici, da lui stesso raccolti dalla viva voce dei runolaulajat della Finlandia e della Carelia.
Ottocentesco per compilazione, nondimeno il KALEVALA è, tra i grandi poemi europei, quello che conserva l’atmosfera più arcaica. Le sue radici affondano nella fascia boreale dell’Eurasia, dai rituali dei cacciatori e dallo sciamanesimo. A questo peculiare poema mancano quelle figure di campioni omerici che combattono per dimostrare l’eccellenza del loro valore, o quei melanconici cavalieri di un Medioevo votato a ideali spirituali. Al contrario, nessuno dei suoi eroi è un guerriero: Väinämöinen è un cantore, Ilmarinen un artigiano, Lemminkäinen un avventuriero, e tutti possiedono poteri magici.
Prima opera letteraria in finlandese, il KALEVALA fu anche strumento importantissimo per la nascita di un sentimento nazionale. Fornì infatti ai finlandesi la dignità di un popolo con cultura, costumi e lingua propri, ed ora anche con un épos che cantava le origini della nazione e le gesta dei suoi eroi.
Questa di VociFuoriScena è l’edizione definitiva del 1849, composta da 50 runot e 22.795 versi, nella traduzione ormai classica di Paolo Emilio Pavolini (1910), con testo originale a fronte e una presentazione inedita di Eino Leino.
Terminiamo questa carrellata con il libro FIABE E LEGGENDE NORVEGESI (458 pagine; 25 euro) di Peter Christen Asbjørnsen, su traduzione e con introduzione e cura di Luca Taglianetti, che si presenta con 36 illustrazioni opera di Peter Nicolai Arbo, Johan Eckersberg, Theodor Kittelsen, August Schneider, Otto Sinding, Erik Werenskiold e molti altri.
Peter Christen Asbjørnsen (1812 – 1885), zoologo di professione, si interessò ai racconti popolari, raccolti durante una serie di spedizioni effettuate nella Norvegia centro-meridionale e fu autore, insieme all’amico Jørgen Moe, della principale raccolta di racconti popolari norvegesi, le Norse Folkeeventyr, composta sull’esempio dei Grimm e pubblicata in due volumi tra il 1841 e il 1844, mentre una seconda raccolta del “re delle fiabe” norvegese, pubblicata a partire dal 1845, è costituita proprio da queste Norske Huldre-Eventyr og Folkesagn.
Nella prima metà dell’Ottocento, in un’epoca in cui la scolarizzazione sta cancellando le credenze e le superstizioni popolari, Peter Christen Asbjørnsen attraversa i selvaggi territori della Norvegia per raccogliere “testimonianze” di incontri con gli esseri soprannaturali che abitano i monti e le foreste: storie di huldrer ammaliatrici, di neonati scambiati in culla dai troll, di fanciulle rapite dagli esseri sotterranei, resoconti sui dispettosi folletti che infestano le fattorie, le stalle e i mulini, e che, una volta scoperti, si dileguano e rotolano via in forma di gomitoli grigi.
Si viene così a delineare la topografia di un mondo rurale, dai confini labili ed evanescenti, permeabile alla dimensione soprannaturale ma allo stesso tempo fornito di un preciso codice di regole e consuetudini, e dove l’incontro con il “popolo dei colli” può segnare per sempre, chi l’ha vissuto, nel corpo e nell’anima.
Lungi dal trattare il folklore in forma enciclopedica, Asbjørnsen riconduce le huldreeventyr alla viva voce di boscaioli, cacciatori e valligiani, cogliendoli nei loro quadri di vita materiale, nella loro quotidianità, in un contesto “antropologico” che rivela un profondo amore per il popolo norvegese e per le sue tradizioni. Il patrimonio delle huldreeventyr viene così presentato non come sistematica raccolta di fiabe, bensì come vivido intreccio di narrazioni in fieri. Ma nel rubare queste storie ai meccanismi dell’oralità, Asbjørnsen ci svela il paradosso della loro stessa mitogenesi, fissandole in forma definitiva nelle pagine del presente libro. Ne sortisce un fecondo, irresistibile incontro tra lingua parlata e lingua scritta che fornirà alla nascente letteratura norvegese, fino ad allora eccessivamente dipendente dai modelli danesi, il primo esempio di una lingua nazionale espressiva e realistica, colta e popolare al tempo stesso.
Buona lettura.