1.
Quella mattina Giacomo era veramente allegro, sorrideva addirittura, tra lo sconcerto degli allievi del suo corso, quasi intimoriti del suo nuovo aspetto.
Aspettava con ansia la chiamata dell’infermiera, che gli avrebbe comunicato la morte di sua madre. Strega maledetta!
Come aveva potuto, una donna così malvagia, vivere tanto a lungo? I suoi continui maltrattamenti, ai quali non si era mai saputo ribellare, avevano segnato, anzi meglio lacerato, non solo il suo corpo, ma anche la sua anima. L’unico suo sfogo era stato quello di riversare la sua rabbia contro i suoi studenti. In quanti lo avevano denunciato al rettore? Ma grazie alle cospicue donazioni all’università, da parte sua, e della strega naturalmente, aveva avuto solo dei piccoli consigli, più che rimproveri. L’intero collegio non aspettava altro che il suo pensionamento, ormai prossimo.
La immaginava sul suo letto, attaccata a mille tubicini, agonizzante e prossima all’ultimo respiro. Il medico era stato chiaro: Non è una malattia che la sta conducendo alla morte, semplicemente il suo corpo si è esaurito, consumato. Non sono in molti a poter vantare 110 anni di vita sana e agiata, non crede?
Certo, era proprio vero il detto “i migliori sono i primi ad andarsene”.
Adesso mancava veramente poco e sarebbe stato libero!
Diede una fugace occhiata al suo Rolex, ormai le sue lezioni erano finite. Meditò per un’istante se rientrare o cenare fuori, ma l’idea di assistere alla morte di sua madre lo eccitò più di quanto immaginasse e decise di rientrare.
Parcheggiò la BMW nel viale della villa, afferrò la valigetta, posata sul sedile del passeggero, e scese.
Raggiunse lo studio dove si liberò del cappotto in cashmere e della valigetta.
La cameriera bussò alla porta.
«Ben tornato signore, vuole che serva la cena?»
«Tra un attimo, gradirei prima un drink. Mia madre?»
«Non so, signore.»
«Vai pure.»
La cameriera si dileguò in fretta, mentre Giacomo si versava del whisky. Col bicchiere in mano, salì la lussuosa scala che portava alle camere da letto. Il morbido tappeto attutiva i suoi passi.
Aprì la porta della camera di sua madre, l’odore di morte aleggiava nell’aria. L’infermiera sollevò lo sguardo dalla rivista che leggeva, seduta in una comoda poltrona vicino al camino acceso. Quando lo vide si alzò e raggiunse il capezzale della donna in agonia.
Sembrava addormentata ed emetteva un sommesso rantolo dalle grinzose labbra aperte.
Giacomo si avvicinò al maestoso e alto letto di mogano e rimase immobile a osservarla. Quando la donna aprì gli occhi di scatto fissando subito lo sguardo nel suo, Giacomo ebbe un sussulto e indietreggiò impaurito. La donna emise una asfittica risatina.
«Stai aspettando che muoia vero? Non vedi l’ora, merdoso di un bastardo!» Tossì appena.
Lo sguardo di Giacomo si indurì, strinse forte le mascelle, ma non disse niente.
«È tempo che tu sappia una cosa e credo che ti farà soffrire e ciò non può che allietare questi miei ultimi momenti. Non sarai il solo a beneficiare della mia enorme ricchezza, la dovrai dividere con tua sorella!»
«Sorella? Ho una sorella? Perché non me ne hai mai parlato?»
«Perché volevo tenerla lontana dalla tua faccia di merda!» esclamò ridendo, «Ho dato disposizione al notaio, penserà a tutto lui. Avvicinati!» ordinò, e lui ubbidì.
«Apri il mio scrittoio, nel cassetto di sinistra c’è un diario, portamelo senza aprirlo.»
E così fece, in silenzio e a testa china. Non riusciva a credere di avere una sorella, come aveva potuto nasconderglielo? Maledetta!
Teneva in mano quell’insolito diario. La sua copertina era uno strano puzzle di lembi di pelle cuciti tra loro da finissimi lacci di cuoio. Si avvicinò porgendolo a sua madre.
«Non devi darmelo idiota! Lo dovrai mettere nella mia bara, questa è la mia ultima volontà. Adesso rimettilo al suo posto ed esci di qui, stai appestando le mie ultime boccate d’aria con la tua puzza di merda!»
Giacomo si sentì avvampare, la graziosa infermiera lo guardava imbarazzata. Rimise al suo posto il diario e uscì dalla stanza.
La odiava, di un odio che non pensava potesse esistere di tale intensità, l’avrebbe strangolata con le sue mani… se solo ne avesse avuto il coraggio…
Dormiva da diverse ore, quando qualcuno bussò alla porta della sua stanza, insistentemente.
Giacomo accese la lampada sul comodino.
«Avanti!»
La porta si aprì e comparve la governante: «Mi scusi se ho disturbato il suo sonno signore, ma devo informarla che sua madre Caterina Leone è deceduta mezz’ora fa.»
Giacomo si drizzò sul letto, incredulo, «Morta? Bene, era ora che quella vecchia puttana si levasse dai piedi!» Il suo sguardo si illuminò di gioia. «Ora vai, organizza subito la veglia, sono sicuro che lei ti abbia già dato istruzioni, eseguile. Io non parteciperò.»
«Come desidera signore!»
Seduto sul letto fantasticava della sua nuova vita, senza la sua aguzzina. Sarebbe stato il paradiso, doveva solo sistemare un ultima cosa: sua sorella!
Incredibile… aveva una sorella, come aveva potuto nascondergli una cosa così importante? Si rispose immediatamente, Caterina era stata capace di fare cose inimmaginabili, per il resto degli esseri umani.
2.
Il sole era appena sorto, quando Giacomo raggiunse la casa sul lago, dove amava rifugiarsi per fingere un minimo di autonomia.
Avrebbe provveduto a tutto la governante, alla quale aveva chiesto di essere avvisato quando l’ultimo ospite fosse andato via e prima della chiusura della bara.
Passò la giornata serenamente, il suo spirito era sollevato e insolitamente felice. Felice… non ricordava di esserlo mai stato.
Squillò il cellulare, un numero sconosciuto, ma rispose ugualmente.
«Pronto?»
«Parlo con Giacomo Leone?»
«Sì, sono io.»
«Buona sera, sono il notaio di sua madre, speravo di poterle parlare oggi stesso, ma la governante mi ha detto che non è in casa, dove mi trovo io. Pensa di potermi raggiungere?»
«Mi dispiace, ma questa sera, non voglio vedere nessuno!»
«Capisco… Allora la chiamerò domani, in mattinata. Va bene?»
«Non capisco come mai tutta questa fretta. Si potrebbe aspettare quanto meno il funerale, non crede?»
«Non era questo il volere di Caterina. Avrei dovuto leggere il testamento questa sera stessa.»
Cercava di dargli ordini anche dalla tomba!
«Mi dispiace che non abbia potuto rispettare la volontà di mia madre, ma io non sarò disponibile prima di domani, in tarda serata.»
«Va bene. Pensa lei a comunicarlo a sua sorella?»
«Non saprei come fare, fino a questa notte non sapevo della sua esistenza.»
«Va bene, ci penserò io. L’unico recapito che sua madre mi ha lasciato di lei è un indirizzo mail, la contatterò. Condoglianze, a domani.»
D’ora in poi, sarebbe stato lui a decidere.
Quando rientrò alla villa, regnava il silenzio. La veglia era stata allestita nel salone principale dove padroneggiava la costosissima bara aperta, che lo attendeva.
Salì nella camera di sua madre, ogni presidio medico era sparito e il materasso sostituito, come lui aveva ordinato. Si avvicinò allo scrittoio e prese il prezioso diario di sua madre. Gli ritornarono in mente le sue parole: “Non aprirlo!”
Si ritrovò a sorridere.
Col diario in mano scese velocemente le scale e raggiunse la salma di sua madre.
Un lampo di pazza euforia gli brillò nello sguardo.
«Quanto ho desiderato vederti in una bara, madre! Quante volte ho sognato questo momento… Ogni volta che mi picchiavi, ogni volta che abusavi della mia innocenza, ogni volta che mi bruciavi, ogni volta che ero costretto a stare a letto aspettando che le infezioni delle ferite che mi infliggevi guarissero… Come hai potuto tanta crudeltà!»
Il lampo di ironia passò. Dai suoi occhi ora sgorgavano solo calde lacrime.
Stringeva il diario con entrambe le mani.
«Questo rimarrà con me, madre…»
Andò nel suo studio, si versò del whisky e si mise comodo nella sua poltrona.
Decise di non rientrare alla casa sul lago, sarebbe rimasto alla villa. Era curioso di vedere sua sorella, di saperne di più. Che tipa sarebbe stata? Avrebbe dovuto dividere con lei il patrimonio di famiglia, ma cosa si sarebbe presa? La villa? No, sicuramente aveva la sua dimora, in qualche parte del mondo.
All’improvviso fu assalito dalla smania di sapere. Chiamò il notaio lasciando un messaggio in segreteria, dove chiedeva di anticipare l’incontro alla mattina seguente.
Qualcuno bussò alla porta, ed entrò senza attendere il permesso.
Era la governante, una vecchia arpia anche lei, la perfetta compagnia per sua madre. Il suo viso arcigno lo metteva a disagio, appena fosse stato possibile le avrebbe dato il ben servito, con una cospicua buonuscita.
«Buonasera signore, volevo avvisarla che sua sorella è qui.»
«Bene, la faccia accomodare.»
Schizzò dalla poltrona, pieno di curiosità.
«È arrivata nel pomeriggio e ora è nella camera degli ospiti, come desiderio di sua madre, ma non vuole essere disturbata.»
Si rimise seduto e rispose: «Bene, avrò il piacere di conoscerla a colazione.»
«Buona notte, signore» salutandolo gli sorrise, ma fu un sorriso sinistro, che gli mise inquietudine.
Mentre cercava di decifrare quell’espressione, che non ricordava di aver mai visto sul volto della governante, gli parve di udire uno stridio alle sue spalle. Si voltò ancora pensieroso e notò il diario che aveva appoggiato sulla scrivania. La curiosità si spostò sulle pagine di quel manoscritto lo prese e si rimise seduto.
Sfiorò la strana copertina, dava l’idea di un lavoro artigianale. La sua attenzione fu attratta da un singolare lembo di pelle di forma triangolare. Inorridì, mentre si sbottonava la manica della camicia per tirarla su.
Tra le varie cicatrici di tagli e bruciature, spiccava quella a forma di triangolo, che appariva di colore rossastro. Ricordò con estremo terrore il momento in cui sua madre gli aveva inflitto quella punizione, così le chiamava lei, “punizioni”. Ricordò che fu una delle ferite che tardò più delle altre a guarire. Ma se quel lembo di pelle era il suo, di chi erano gli altri? La repulsione stava per prendere il sopravvento, ma una voce nella sua testa lo costrinse a leggere, forse avrebbe scoperto di più.
L’interno emanava un leggero odore di marcio, l’inchiostro usato per redigere quegli scritti era di uno strano colore, un brivido gli percorse la schiena, era sangue!
Quelle pagine erano piene di strani simboli satanici, riti e incantesimi, ma l’orrore iniziale cominciava a trasformarsi in sete di sapere e continuò a leggere.
Il cellulare squillò, facendolo sobbalzare. Quando sollevò lo sguardo dal testo vide che la luce del giorno già filtrava dalle persiane. Ne fu sconcertato. Rispose al telefono.
«Pronto?»
«Sono De Gioannis, il notaio, ricorda? Ho trovato il suo messaggio. Volevo informarla che il testamento sarà letto dopo il funerale, che come saprà è nel tardo pomeriggio.»
«Sì, so che gli avevo chiesto di rinviare tutto a questa sera, ma ho cambiato idea.»
«Mi dispiace, ho provato a comunicare a sua sorella la sua decisione, ma è stata irremovibile. Il testamento sarà letto stasera.»
Giacomo sentì una rabbia furente montargli dentro e si costrinse a rimanere calmo.
«Non credo che mia sorella, di cui per altro non conosco neppure il nome, possa permettersi di arrivare qui all’improvviso, e dettare legge! Insisto perché venga letto in mattinata!»
«Caterina.»
«Come, prego?»
«Ho detto che sua sorella si chiama Caterina, come sua madre.»
Giacomo rimase ammutolito per un istante. Quando si riprese, la sua furia era cieca.
«Mi ascolti attentamente, caro il mio notaio, me ne frego se quella stronza di mia madre ha dato il suo nome a quella bastarda! Sono io che decido adesso, spero di essere stato chiaro!»
L’imbarazzo del notaio lo si poteva avvertire anche dal telefono e Giacomo ne fu compiaciuto.
«Senta signor Leone… le sue parole mi lasciano dubbioso.»
Giacomo ascoltava sorridente, finalmente aveva sottolineato chi teneva le redini e ciò gli dava un immenso piacere.
«Che genere di dubbio?»
«È evidente che lei non sa nulla del testamento, voglio dire, lei non ha nessuna vaga informazione su di esso, vero?»
«Cosa intende?» Il suo tono arrogante iniziava a spegnersi.
«È difficile per me, signor Leone, ma lei… non ha ereditato assolutamente nulla. Ogni ricchezza in denaro e in immobili vanno a sua sorella Caterina Leone…»
Fu in quel preciso istante che nella mente di Giacomo, qualcosa si spezzò.
«Bene. Grazie di avermi avvisato. Buona giornata.»
Lasciò cadere il cellulare, con passo lento e cadenzato raggiunse la porta del suo studio, attraversò l’ingresso e salì le scale. Il viso inespressivo. Raggiunse la camera degli ospiti e si fermò ad ascoltare i suoni che provenivano da dietro la porta. La sentì muoversi da una parte all’altra, nella stanza. A un tratto i passi si diressero verso la porta, verso di lui. La poteva sentire respirare, come se sapesse che era lì. La rabbia stava prendendo il sopravvento, con le mascelle serrate e un’espressione d’odio sul viso aprì di scatto, e con una forza incontrollabile, la porta con l’intenzione di colpire la donna. Nessuno poteva frenare le sue intenzioni, ora nessuno poteva mettersi tra lui e le sue decisioni. Avrebbe strangolato quella troia con le sue mani, e ne avrebbe goduto! Rimase attonito nel constatare che nella stanza non ci fosse nessuno.
Ripensò al manoscritto di sua madre e allora capì. Nella sua mente, ormai incrinata, si materializzò la soluzione!
Nella sua immaginazione vedeva sua sorella, senza volto, fuggire per nascondersi da lui. Lo temeva! Questa condizione fece nascere in lui un sentimento di onnipotenza. Poteva nascondersi dove voleva, l’avrebbe trovata e uccisa, senza toccarla. Col diario di sua madre avrebbe avuto una forza superiore dalla sua parte.
Raggiunse lo studio e si chiuse dentro, sbattendo la porta.
Nascosta nell’ombra, la governante seguiva ogni suo passo con aria soddisfatta.
Un rituale, più di tutti, lo aveva colpito. Un potente rito sacrificale tra consanguinei. Le istruzioni scritte da sua madre erano chiare, doveva solo raggiungere la sua camera e recitare la preghiera posando la mano sul suo, tanto amato, specchio, che mai gli aveva permesso di toccare.
Quando fu nel silenzio della stanza, si avvicinò all’antico specchio, un monumento in legno intarsiato, alto due metri. Lo spinse leggermente verso l’alto per meglio riflettersi, i perni emisero uno sgraziato cigolio.
La sua mente malata continuava a ripetergli di spogliarsi, solo così il sortilegio avrebbe avuto effetto, e così fece. Ripiegò con cura gli abiti che indossava, prese il libro e si mostrò alla sua stessa immagine, ne fu compiaciuto. Il letto di sua madre che gli faceva da sfondo, nel riflesso, lo faceva sentire più potente che mai.
Tenendo il diario nella mano destra, poggiò la sinistra sulla fredda superficie riflettente, aprendo bene le dita, come gli mostrava l’accurato disegno. Inspirò profondamente e recitò a voce alta le parole che gli avrebbero dato tutto ciò che desiderava:
«Hostias tibi offero Satanam.
Et sanguis sanguinem meum, et caro de carne mea!
Ea vita est vita mea…»
Sentì sotto il palmo la superficie vibrare, sollevò lo sguardo e con orrore vide che si trovava all’interno dello specchio e fuori, al suo posto, sua madre. Le sue dita intrecciate a quelle di lei. Una madre giovane, che gli ricordò la speranza che aveva da bambino, di sentirsi stringere con amore tra le sue braccia, ma vedeva di nuovo nel suo sguardo il dileggio, la cattiveria.
Con uno strattone Caterina sciolse l’intreccio di dita, imprigionandolo per sempre in un’altra dimensione, dalla quale non sarebbe più tornato.
«Ben tornata, signora.» disse la governante, prostrandosi in un profondo inchino.
«Avverti il notaio che voglio subito prendere atto del testamento, avrà in cambio una lauta mancia. È tutto pronto per questa notte?»
«Sì, signora. L’orgia rituale inizierà a mezzanotte.»
«Bene, spero che la prossima vittima sacrificale sia una femmina. Una mamma desidera sempre una femminuccia.»
Sorrise soddisfatta e con un energico movimento fece roteare lo specchio, rivolgendo la superficie riflettente verso la parete.