la rocca è casa loro.
Se non li sfameremo,
pian piano saliranno…
e ci mangeranno.
Questo è l’antico vociare che ci ricorda la leggenda degli Ungumani della rocca di Lerma. Sono creature che, nell’aspetto e nel comportamento, ricordano sia gli esseri umani che i cinghiali. C’è chi li ha definiti come una sorta di cinghiali in piedi.
Nelle notti senza luna sono stati avvistati mentre risalivano il corso del torrente Piota, puntando alle sue sorgenti. Nessuno sa quale sia il motivo di questo lungo cammino.
Il loro verso è un sibilo penetrante e impossibile da ignorare. Chi lo ha udito non sa come descriverlo e, se tenta di farlo, si avvicina pericolosamente al balzo del folle.
Grazie alla loro forza in passato, in momenti di difficoltà, hanno aiutato molte persone nei lavori pesanti. Oltre a ciò hanno dispensato preziosi suggerimenti su come rapportarsi con la natura.
Se ne incontrate uno non recitate, se ne accorgerebbe. Siate voi stessi, con quella giusta dose di istinti primordiali.
Gli Ungumani si riproducono tramite neanidi, un po’ come le libellule. Si liberano di un involucro uscendo da esso più forti, più grossi, come dal bruco esce la farfalla e l’involucro resta lì, inerte. Dal mostro esce un altro mostro e la sua parte esterna (composta da quel poco di bene che ha assorbito e di cui vuol liberarsi) viene abbandonata.
LA POESIA SUI MOSTRI DELLA ROCCA DI LERMA
Dalle brume del lago
e dalla rocca oscura
salgono sommessi vociari:
animali, lupi o umani?
Scalano veloci le ombre nere,
sempre più vicino è il bagliore
degli occhi infuocati.
Siamo noi che bramano
quelle belve affamate?
Con artigli nodosi
come rami del bosco
reclamano l’obolo atteso
e cibo avranno
quegli Ungumani!
(Cruella)
LA PREGHIERA DEI MOSTRI DELLA ROCCA DI LERMA
Perché non vieni a trovarmi,
nelle notti di vento frusciante?
Perché non scendi nel mio bosco
ondeggiante e avvolgente?
Che temi umano?
Anche noi siamo vivi?
Non vogliamo il tuo male,
ma solo mangiare.
Anche tu strazi e ti sazi,
dacci qualcosa ti prego:
non mostri siamo,
ma creature al tuo pari.
Sconosciuto ci è il destino,
ma chiniamo il capo al volere divino.
(Cruella)