In questo articolo, due studiosi di cinema affrontano da prospettive diverse quello che è da molti considerato il film horror più agghiacciante di tutta la storia della Settima Arte; ossia, quella vicenda intrisa di angosce, dolori e incubi a occhi aperti raccontata ne L’esorcista (The Exorcist, 1973) di William Friedkin. La prima parte della analisi – affidata a Riccardo Rosati – si prefigge di indicare alcuni contenuti della pellicola non apertamente percepibili dallo spettatore medio. La seconda – a firma di Giordano Giannini – è rivolta invece a fornire utili e originali chiavi di lettura critiche dell’opera, evidenziandone parallelamente la qualità estetica e narrativa.
Quando si affronta il film di Friedkin, lo si valuta quasi sempre da un punto di vista prettamente cinematografico: quanto “spaventa”, la inquietante e riuscitissima colonna sonora, in cui spicca la celeberrima Tubular Bells dell’inglese Mike Oldfield, e la interpretazione degli attori. Non che questo sia sbagliato. Eppure, la storia della piccola Regan (una eccezionale Linda Blair) offre lo spunto per approfondire degli aspetti che la maggior parte del pubblico, nonché degli addetti ai lavori, non riesce purtroppo a cogliere. Ecco, qui sta, in sostanza, il centro del problema. Ovvero, la incapacità dell’occidentale contemporaneo – ancora almeno nominalmente in maggioranza cristiano – di comprendere la natura del Male. Tanto per essere chiari, non ci riferiamo a categorie fallaci quali “buono” o “cattivo”, ma a Lui, Satana. Già, poiché quella che è la fonte di ogni oblio esiste… se c’è un Dio deve esserci anche un Diavolo!
In un’epoca in cui porsi delle domande è diventato quasi un atteggiamento antisociale, chi crede non può eludere di chiedersi perché proprio una ragazzina, la quale non può certo essersi macchiata di colpe gravi; nondimeno ella cade tragicamente vittima di un maleficio. Or dunque, una idonea “coscienza religiosa”, sostenuta da una minima familiarità con quelli che sono i precetti del Catechismo Cattolico, non lascia dubbi sul fatto che l’intento principale del Diavolo sia la corruzione, nel portare a sé, o come nel caso di Regan letteralmente impadronirsi del corpo, una persona innocente, imprigionandone l’anima.
Per quanto riguarda l’opera di Friedkin, questa racconta un episodio da manuale di possessione satanica, ed è, forse, questo che la rende tanto disturbante. A tal proposito, riteniamo necessario qui chiarire un fattore di rado preso in debita considerazione nelle esegesi del film di natura squisitamente filmica. Sarebbe a dire, che una traversia come quella di Regan tocca e, talora, sconvolge la mente dei cattolici, lasciando, per converso, assai meno turbati gli ortodossi e praticamente indifferenti gli ultra-secolarizzati protestanti. Per non parlare poi delle altre religioni tout court, che hanno una concezione del Male affatto diversa da quella cristiana. Tutto ciò dovrebbe imporre una riflessione al Mondo Cattolico, il quale si illude che il Diavolo non esista più, col senso del peccato ridotto a un retaggio stantio da liquidare. Secondo noi, tali posizioni non sono soltanto in “odore di eresia”, ma parimenti altamente nocive, e impediscono di intuire i pericoli causati da atteggiamenti irriverenti nei confronti di forze soprannaturali che l’attuale società, figlia dell’Illuminismo, giudica mera superstizione: il dramma che si abbatte sulla giovane protagonista del film sta a dimostrare l’esatto contrario.
Attenzione alle nostre “condotte”
Al termine della visione de L’esorcista, dovrebbe venire spontaneo chiedersi chi sia il vero colpevole della possessione di Regan. Rispondere a un tale interrogativo ci porta verso delle conclusioni che riassumono quella che è la tesi che sottende il nostro ragionamento. Per far ciò, ci avvaliamo di una ottima catechesi del palermitano Padre Alessandro Maria Minutella (1), un coraggioso e istrionico prete che da tempo guida una lotta spirituale contro le derive moderniste nella Chiesa Cattolica, scaturite in seguito al pernicioso Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962 – 8 dicembre 1965) e deflagrate durante il Pontificato di Jorge Mario Bergoglio. Nelle sue riflessioni, Don Minutella pone la annosa problematica della “purificazione dell’albero genealogico”. In altre parole, come la vita dissoluta dei parenti, su tutti quella dei genitori, possa addirittura arrivare a contaminare l’anima di coloro che sono privi di peccato, che poi è proprio quello che capita a Regan, col Male che entra in casa per colpa di una madre empia. Gioverebbe non poco ricordare che Satana non si rivela in modo pirotecnico, giacché la furbizia è la sua cifra e la truffa il suo blasfemo destino, laddove Gesù invece disse: “Io sono la Verità”. Quella porta agghiacciante il Demonio tuttavia non può aprirla da sé; costui deve essere richiamato, accorgersi di una fessura e infilarvisi lestamente. Ragion per cui, stiamo bene attenti alle nostre condotte, alle imprecazioni divenute una forma di intercalare e ai sentimenti corrosivi, poiché essi nutrono intorno a noi una dimensione maligna e, a volte, a farne le spesse saranno altri… gli innocenti.
Un film che oggi non sarebbe, forse, più possibile girare
Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli. (Lc 10, 17-20).
“Si può far vedere un hamburger accanto a una vera bistecca?”, replicò Andrzej Żuławski a un giovane appassionato che, otto anni fa, propose per una fanzine un confronto tra L’esorcista e il suo Possession (1981). Arguzia magari ingenerosa da parte del cineasta polacco, che riposi in pace. Ciò basta a evidenziare come il film di William Friedkin (2) continui a dividere, irritare, alimentare interpretazioni ora audaci ora grevi (3), a non lasciare, comunque, indifferente chi la riguarda o, per ovvi motivi generazionali, la scopre per la prima volta, illuso di uscire “indenne” dalla proiezione come accadde a Giovanni Grazzini (4). Personalmente, avendolo visto più volte, conservo del film un’impressione nitida, precisa e che si discosta in parte da quella proposta da Rosati. Il lettore potrà, quindi – come se lo augurano ambedue gli scriventi – essere stimolato e arricchito, formandosi un’idea propria. Tracciamo subito qualche punto fermo.
“Il Male è una realtà spirituale, vitale e viva. Perversa e pervertitrice, che si insinua sotto il tessuto stesso della vita subdolamente”. In questa battuta di padre Lamont (Richard Burton), protagonista del visionario e sottovalutato L’esorcista II – L’eretico (Exorcist II – The Heretic, 1977), di un autore dal particolare talento come l’inglese John Boorman, riecheggiano le parole del Pontefice Paolo VI (Ud. Generale, 15/11/1972) e un identico messaggio innerva, lucidamente e angosciosamente, il titolo capostipite firmato da Friedkin. Il Male fa quel che fa perché è la sua natura, il suo “destino”, sebbene il termine non sia il più adatto: nelle terrificanti “maschere” delle malattie degenerative, dall’esaurimento nervoso alle crisi o nelle più svariate forme di “schiavitù” psicofisica, chiunque Esso può affliggere; età, sesso, cultura, classe sociale perdono di significato. Lo scambio che segue tra il tormentato padre Karras (Jason Miller) e il gesuita Merrin (Max von Sydow), anziano, infermo ma spiritualmente più risoluto del primo, si rivela a tal proposito decisivo: “Perché prendere una bambina, che senso ha?” – “Credo che voglia portarci alla disperazione… perché, vedendoci ridotti a bestie mostruose, noi escludiamo la possibilità dell’amore di Dio”. In una sola, sommessa risposta si annuncia l’Età Contemporanea (il film riflette, sì, i tribolati anni ’70, ma il contesto narrato può calzare pure i primi due decenni del 2000), nella sua sfaccettata interezza (la Chiesa Cattolica con i suoi officianti è la principale a patirla), tra malintesi e smarrimenti, tragiche illusioni e fratture critiche, spiccano vani sforzi e ben poche vere gioie; non ultima, e centro della trama della pellicola, una famiglia come tante, fiduciosa nell’avvenire, ma scombussolata al suo interno e che si trova improvvisamente sconquassata da forze ancestrali eternamente in lotta. Resa con magistrale espressività da Ellen Burstyn (egregiamente doppiata da Valeria Moriconi), una madre, nonostante i successi come attrice, una casa accogliente con tanto di domestici e l’amore delle figlie, Sharon e la suddetta Regan, (5), Chris MacNeil, figura nodale della intera vicenda, ci appare come una donna sola. Non libera o “emancipata” – come ci si poteva e doveva sentire, persino ostentare, in quel decennio – quanto sostanzialmente sola. Separata, circondata da amicizie false, tipiche del mendace mondo dello spettacolo, Chris è agnostica, scurrile, impulsiva, confusa ma, sta qui la prima divergenza con lo scritto di Rosati, non “empia” a parer nostro. Infatti, lei altro non è che l’inconsapevole “prodotto”, più che la concausa, del suo fragile quadro familiare in preda al Male (6), al nefasto inesplicabile, alla paranoia, a quella totale rovina tratteggiata dal regista, che ritornerà, con forme diverse, in altri suoi cupi lavori. Ad esempio, il controverso Cruising (1980), ove si affronta il tema degli incontri occasionali tra omosessuali. Chris, come del resto ogni madre degna di questo nome, non lascia nulla di intentato, pur di guarire Regan: in quella stanza di ospedale – efficacemente ricreata in studio da Bill Malley e fotografata da Owen Roizman – asettica e quasi incolore, tra fleboclisi e diagnosi errate, ci siamo passati purtroppo tutti con un caro o un conoscente. Questa è la ragione del turbamento che ancora si verifica guardando L’esorcista: non i versacci, le levitazioni, la camminata aracnoide giù per le scale, bensì la credibilità di fondo nell’atmosfera che circonda il malanno della ragazzina; la frustrante impotenza e impreparazione verso di esso; le inevitabili pene dei parenti. In sintesi, il terrore di svegliarsi un mattino, specchiarsi e non riconoscersi più, fosse anche soltanto a causa di impercettibili, lente eppure inesorabili variazioni, sul viso come nel corpo; lo iato fra la mente, la volontà della giovanissima inferma e il processo “erosivo” (infezione, alterazione, ecc.) che ne sta investendo l’organismo, avviato da qualcosa di estraneo, “invisibile”, sospeso fra l’essere e il nulla come, appunto, un morbo. In quanto “orrorifico”, il film esacerba gli aspetti nauseanti di simili tormenti ma, insistiamo, il collegamento con il dato reale ed esperienziale viene spontaneo: ci soffoca come una camera non ancora liberata dall’aria viziata della notte prima; ci colpisce alla testa con la secchezza di una putrella lanciata da una mano nascosta e ostile.
Messe da parte le sgradevoli, frequenti imprecazioni che le escono dalla bocca, più per ignoranza che per cosciente irriverenza, Chris non ci sembra la “fessura” (qui il secondo punto di divergenza con la interpretazione dell’amico e collega Rosati) attraverso la quale l’Avversario, in senso biblico, penetra fra le mura dei MacNeil. Crediamo piuttosto che sia la Chiesa, più precisamente una certa reinterpretazione e “reificazione” dei suoi principi (7), a ricevere dal copione una critica ben più sottile e allarmante: il giovane e affranto padre Karras, non dimentichiamolo, non solo nega inizialmente il proprio sostegno a Chris (lei scoppia in lacrime, urlandogli in faccia: “È mai possibile che nessuno voglia aiutarmi?!”), ma ritiene addirittura l’esorcismo un “cascame” del XVI secolo, suggerendo alla donna la via della neuropsichiatria; ossia quella branca della scienza che, in un tragicomico “valzer”, le aveva consigliato a sua volta di rivolgersi alla fede cristiana. Tramontato l’incubo, e che si sia convertita o meno, Chris ha gettato il suo sguardo nelle Tenebre e non potrà più eluderle, poiché ha ormai compreso che, al pari di un cancro, possono essere domate, benché non definitivamente soppresse. Viceversa, Regan ha scordato l’intero accaduto. Tuttavia, alla vista del colletto bianco, la ragazza darà un bacio affettuoso sulla guancia a padre Dyer, amico e confratello del defunto Karras: pur non spiegandoselo, ella sente di dovergli la vita e la salvezza dell’anima. Molte altre sarebbero le suggestioni, figurative e narrative, da evidenziare ma ci attarderemmo troppo. È probabile che oggi non sarebbe più possibile proporre un’opera come L’esorcista, visto che sono radicalmente mutati il gusto e la sensibilità della “platea”, incline a un consumo a breve termine. Non bisogna però illudersi che in passato le cose andassero diversamente. Ciononostante, nel Settanta era ancora fattibile girare un film del genere. Inoltre, che nella filmografia d’Oltreoceano spiccassero personalità emblematiche come Friedkin, dà prova di quella feconda sinergia fra l’immaginazione tipica del Vecchio Continente, verso la quale l’inquieto cineasta americano ha sempre rimarcato il proprio debito culturale, e i mezzi tecnici e finanziari del cosiddetto Nuovo Mondo; un connubio che fece risplendere Hollywood soprattutto negli anni ’40 e ’50 del secolo scorso (8).
Problematici, folli, cinerei, postmaterialisti, talora declamatori e, in fondo, meno ribelli di come vorrebbe la vulgata, al cinema USA degli anni ’70 va riconosciuto il seguente merito: poneva delle domande che sono ancora attuali, a cui magari si davano risposte fuorvianti o errate, malgrado non pochi di quei quesiti fossero e rimangono fondamentalmente giusti, fra i quali il dilemma del Male, la sua imperscrutabilità. Nell’odierna Settima Arte statunitense (ma si potevano già scorgere dei segnali eloquenti alla fine degli anni ’90), specie del terrore e del suo sottoinsieme “allo zolfo”, la citata, peculiare sinergia cede il passo quasi esclusivamente alla sottocultura nazionale e alle paure e fobie radicatevisi all’indomani dell’attentato al World Trade Center. Tanto per essere chiari, non vi è traccia di riflessione filosofica, sociologica o politologica nelle pellicole di questo filone, su tutte citiamo The Irrefutable Truth about Demons (2000) di Glenn Standring e Deliver Us from Evil (2014) di Scott Derrickson. Qui, l’azione del Diavolo giunge allo sguardo come la sola e unica spiegazione delle innumerevoli piaghe che affliggono il presente, e le umane sottigliezze che distinguevano i personaggi di Karras, Merrin e Chris medesima ne L’esorcista lasciano il campo a una nuova, subdola narrazione di legittimazione al “malicidium”, della quale lo “Sbirro della Sezione Antirapina” – retto, benché emotivamente instabile e armato fino ai denti – e il “Prete Operaio” di cesbroniana matrice, un tempo grave peccatore e ora servo di Dio nelle comunità degli afro e dei latinos, sono i novelli “paladini”, eroi di fosche “crociate suburbane” (9). Di fronte allo spettatore impazza di continuo un immaginario demonico (e il rispettivo linguaggio audiovisivo), sovente di grana grossa contro il quale Paolo VI e, prima di lui, Leone XIII, nell’enciclica “Libertas”, si scagliarono, invitando a confutarlo, perché con ben altra malizia striscia il Serpente Antico. Esiste poi una ragione opposta, ma concomitante, del motivo per cui oggi un prodotto come L’esorcista non sarebbe affatto concepibile. Pensiamo agli effetti speciali “caricaturali” del personaggio malvagio o mostruoso nel cinema horror contemporaneo, tramite i quali sembra che si suggerisca che il Male esiste, ma non in forma di entità trascendentale, essendo semplicemente un parto della mente subcosciente. Lo studioso cattolico Giovanni Ferfoglia (10) e l’iconologo Antonio Cioffi (11) lo capirono chiaramente trenta anni fa, e nel primo decennio del 2000 opere quali Il cigno nero (2010), Mister Babadook (2014) o The Witch (2015), malgrado il loro pregio, abbandonano senza indugio i lidi dell’eterno conflitto fra Luce e Tenebra, per quelli più rassicuranti dei “drammi della psiche”.
Per concludere, le considerazioni presenti in questo scritto hanno inteso mostrare come sotto la superficie cristallina del film, pulsino effettivamente messaggi e dilemmi quasi ancestrali. Ciononostante, è doveroso rimarcare quello che è lo scopo essenziale dell’opera di Friedkin: far tornare bambini per un paio di ore e avere paura (12); né più, né meno. Ogni altro addentellato è secondario. Purtroppo, o per fortuna, una pellicola non costituisce il surrogato di uno sforzo intellettivo o spirituale (13). Per quanto possa essere intensa la vicenda narrata e curata la veste formale, parliamo sempre di un “prodotto industriale”, dove tutto cade in prescrizione e l’unica legge non è quella divina, bensì quella del botteghino, puntando a ciò che, da Levante a Ponente, preme al mercato sopra ogni cosa: la conservazione dell’ordinamento sociale (14).
Postilla: la superflua riedizione in sala del 2000 de L’esorcista, voluta con insistenza da W. P. Blatty (autore del romanzo da cui è tratta la pellicola), oltre a caricare il girato di fotogrammi subliminali e risibili sequenze di raccordo (goffamente ridoppiate), ha pressoché cancellato, convertendosi al digitale, la finissima ricerca illuminotecnica di Roizman. I cromatismi smorti – affini, per richiesta di Friedkin, al cinema del primo Costa-Gavras – sono stati soppiantati da un blu cobalto, quasi grigio plumbeo, che spazia con aggressiva omogeneità in quasi tutta la messa in scena. Pertanto, si rimanda alla visione del buon, e per certi versi insuperato, VHS della versione originale.
Giordano Giannini e Riccardo Rosati
Pubblicato originariamente su: Anno 40, n. 2 RIVISTA DI STUDI ITALIANI/JOURNAL OF ITALIAN STUDIES, 2022 Tutti i diritti riservati. © 1983 Rivista di Studi Italiani ISSN 1916-5412 Rivista di Studi Italiani (Toronto, Canada: in versione cartacea fino al 2004, online dal 2005).
NOTE
(1) La catechesi di Minutella alla quale si fa riferimento è reperibile in Rete a questo indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=n_Es7JQzR7U.
(2) Per un approfondimento attorno all’opera e, in genere, al “filone demonico” su celluloide si consigliano le seguenti letture: “W. Friedkin., Il buio e la luce, parte seconda: gli anni ’70”, VI-VIII, Milano: Bompiani, 2013; A. Heller Nicholas, “The Power of Christ Compels You”, in R. Hansen (ed.), “Roman Catholicism in Fantastic Film”, Jefferson: North Carolina, and London, McFarland, 2011; R. Curti, “Demoni e dei”, Torino: Lindau, 2009; D. Catelli – D. Arona, “L’esorcista. Il cinema, il mito”, Alessandria: Falsopiano, 2003; M. De Certeau, “La lanterna del diavolo. Cinema e possessione”, Milano: Medusa, 2002.
(3) Si consulti lo studio collettivo: R. Guiducci et alii, “Mostri al microscopio. Critica del cinema catastrofico”, Venezia: Marsilio, 1980.
(4) G. Grazzini, “Cinema ’74”, Roma: Laterza & Figli, 1991, pp. 61-63.
(5) È curioso notare che il personaggio porti lo stesso nome di una delle tre travagliate figlie del Re Lear (King Lear, 1606) di William Shakespeare.
(6) Si guardi la tragicomica sequenza del litigio fra il regista Dennings e Karl (il maggiordomo svizzero dei MacNeil), accusato dal primo, ubriaco fradicio, di essere stato colluso con il Regime Nazista o la conferma del dilagare, in quel periodo, delle manie occultiste come dimostra la presenza in Casa MacNeil di una Tavola Ouija, oggetto, che la madre non ricordava neppure di possedere e che, malauguratamente, finirà nelle mani della figlia, causando l’intrusione del Demonio nell’anima di Regan.
(7) Non ancora asceso al Soglio di Pietro, l’allora Cardinale Joseph Ratzinger lasciò intendere in un suo commento che le “derive moderniste nella Chiesa” più che dalla realizzazione del Concilio Vaticano II devono attribuirsi al suo non essersi compiuto per ciò che realmente significava e, dunque, alla distorsione, estremizzazione e strumentalizzazione operate sulle sue riforme dagli stessi organi vaticani. Le parole esatte del futuro Benedetto XVI sono riportate in: M. Lefebvre, “Lo hanno detronizzato. Dal liberalismo all’apostasia. La tragedia conciliare”, Chieti: Amicizia Cristiana, 2009.
(8) Su questa sinergia e gli uomini di cinema che meglio la incarnarono si legga A. Roffeni, “Hollywood, Europa. L’incontro culturale che ha disegnato l’immaginario del ’900”, Youcanprint.it, 2021.
(9) Cfr. A.-J. Navarro, “L’impero del terrore. Il cinema horror statunitense post 11 settembre”, Milano: Bietti, 2019, pp. 113-121.
(10) G. Ferfoglia, “Il demoniaco nel cinema contemporaneo”, in AA. VV., “Il Male e il Diavolo”, Rimini: il Cerchio, coll. I Quaderni di Avallon, n. 19, 1989, pp. 169-174.
(11) Cfr. “Il mondo intermedio”, in A. Cioffi., La cinepresa di Arianna, Parma: Edizioni all’insegna del Veltro, 1988, pp. 83-85.
(12) Cfr. T. Benaglio, “Perché volete farci paura? Il terrore viaggia nelle fiction”. E nelle news, Anguillara Sabazia (RM): SapiensBook.com – Maxangelo, 2016.
(13) “La gente porta al cinema i propri rimorsi affinché si divertano con le ombre e facciano silenzio”. Da A. Emo., “In principio era l’immagine”, Milano: Bompiani, 2019, p. 345.
(14) Si legga, a proposito, J. Kleeves (alias S. Anelli), “I divi di Stato. Il controllo politico su Hollywood”, Roma: Il Settimo Sigillo, 1999, p. 28 e pp. 134-136. Il testo propone delle argomentazioni azzardate ma coerenti, eccetto un clamoroso abbaglio che l’autore prende trattando proprio L’esorcista, vedendo il film, il pubblico stenderebbe, a suo dire, un subliminale parallelo fra la sequenza del corteo studentesco contro la guerra in Vietnam e la possessione di Regan in quanto manifestazioni, ancorché diverse, della stessa malefica entità scesa su Georgetown. Piccolo dettaglio: il corteo è fittizio, è composto da comparse di un set cinematografico di cui Chris MacNeil è la protagonista. Se il pubblico americano (e non solo) è arrivato o arriva tutt’oggi a fare questa latente associazione non c’è di che stare allegri.