Premessa
L’isola delle bambole è uno dei luoghi nel mondo più inquietanti e carico di mistero. Ma qual è la vera storia di Don Julian Santana Barrera?
Vediamo i punti salienti:
1) Si ritirò su uno degli isolotti, chiamati “chinampa”, in solitudine, per una delusione d’amore, quale sia stata non ci è dato saperlo. In alcune ricerche risulta che abbia abbandonato moglie e figlia per ritirarsi sull’isola.
2) Racconta ai familiari di aver visto una bimba annegare e di non essere riuscito a salvarla. Ma in quel periodo, non risulta nessuna bambina scomparsa. E se fosse stata rapita in un’altra zona e fosse riuscita a scappare finendo poi annegata?
3) Alcuni giorni dopo compare sulla sponda del canale una bambola, Julian la recupera sicuro fosse della bimba annegata e in “omaggio” al suo spirito e per “rispetto” della sua morte, la IMPICCA a un albero? Troppo esagerata? Ok, “la lega” a un albero. Meglio?
4) Julian si convince che la bambola sia posseduta dallo spirito della bambina, che, a quanto pare, lo perseguita per non averla salvata. Infatti, la sua ossessione di recuperare bambole e continuare a “legarle” agli alberi, è dovuta al fatto che in questo modo è convinto di placare il suo spirito.
5) Notizia bomba! A quanto pare nei canali del fiume del distretto di Xochimilco si trovano anche le sirene! Infatti il nipote di Julian, Anastasio, racconta che suo zio gli annunciò che presto le sirene sarebbero venute a prenderlo. Le sirene e non lo spirito della bimba!
6) Nel 2001, Julian viene trovato morto nell’esatto punto in cui disse di aver visto annegare la bambina.
Ogni volta che mi è capitato di leggere di quest’isola e di Julian, in qualche modo mi sono immedesimata, immaginando cosa lo avesse spinto a una tale ossessione. A dire il vero sono molte le storie che mi sono venute in mente, ma ce n’è una che preferisco più delle altre.
Ricordo a tutti i lettori che la seguente storia è pura invenzione, niente di ciò che leggerete è realmente accaduto! Tutto il mio rispetto va a Julian e alla sua famiglia. Per questa e altre ragioni, il nome del mio personaggio inventato sarà: Alonso.
LA ISLA DE LAS MUÑECAS
Io sono Alonso, e questo è quello che mi è successo…
Il sospetto del tradimento di mia moglie, divenne certezza quando vidi un uomo uscire dalla mia casa. Mi appostai per diversi giorni, fingendo di andare a lavorare nei campi. Ogni volta l’uomo arrivava e, guardingo, entrava in casa, per uscire dopo un paio d’ore. Inizialmente ne fui devastato ed ebbi timore che mia figlia, potesse non essere mia. La osservavo cercando nei suoi lineamenti, quelli dell’altro e più la guardavo e più lo trovavo. Quell’ultimo giorno di appostamento, rincasai subito dopo che l’uomo fu uscito.
Non dissi niente, quando rientrai. Mi accorsi che lei era a disagio, non si aspettava che fossi li, così presto. Avrà pensato che avrei potuto coglierla in fragrante. Come si sarebbe difesa? Non mi interessava. Quella donna non era mia, quella bambina non era mia… non lo erano mai state.
Passai il pomeriggio a radunare i miei attrezzi, che misi nella carriola. Riempii alcuni sacchetti con parte delle sementi, che mi erano rimaste dall’ultima semina, poi rientrai in casa. In una logora valigia, sistemai i pochi indumenti che possedevo e una coperta. Dalla cucina presi lo stretto indispensabile: un piccolo pentolino, un bicchiere, un piatto, una padella e delle posate, solo per me.
Lei mi osservava senza fiatare: sapeva che io sapevo.
Nel cortile, Maria giocava con la sua bambola,
«Dove vai, papà?» mi chiese.
Io non le risposi e mi raggiunse, afferrandomi, con la sua manina paffuta, per i pantaloni.
«Papà?»
La strattonai, liberandomene e lei cadde sulla terra polverosa. La guardai un attimo, i suoi occhi si riempirono di lacrime e il mio cuore si spezzò, ma andai via.
Raggiunsi il canale, spingendo la carriola col mio bagaglio. Avrei preso la barca e avrei raggiunto la mia isola.
Intanto la giornata volgeva al termine e il crepuscolo della sera mi diede il benvenuto nel piccolo rifugio di assi, costruito da mio padre. Non era molto, ma era mio.
La stanchezza e un forte cerchio alla testa, presero il sopravvento. Distesi la coperta sul pavimento e chiusi gli occhi, ascoltando i suoni della natura che mi circondavano.
Nell’oscurità delle mie palpebre, rividi il visetto di Maria, con gli occhioni colmi di lacrime e uno sguardo interrogatorio e spaventato… quasi mi parve di sentire il suo pianto. Nonostante la morsa al cuore, con un nodo alla gola, mi addormentai.
Il mattino seguente, fui svegliato dal bussare di mio nipote, che mi chiamava preoccupato.
Aprii e lui entrò in silenzio.
Si mise seduto su uno degli sgabelli e incrociò le mani sul tavolo grezzo.
«Zio Alonso, ma che stai facendo?»
Io non risposi.
«Tua moglie e tua figlia sono preoccupate. Torna a casa.»
«No.»
«Ma perché? Cosa è successo?»
«Non ha importanza.»
«Vuoi abbandonare tutto quello che hai costruito finora, per qualcosa che non ha importanza?»
«Quei campi non mi appartengono e neanche la casa. Erano la sua dote, glieli ridò.»
«E come pensi possa lavorarci? Lei è una donna gracile!»
«Sono sicuro che troverà qualcuno. Io resto qui. Questi sono il mio chinampa e la mia casa. Adesso vai», dissi aprendo la porta e invitandolo a uscire.
Mi guardava come se fossi impazzito, ma di fronte alla mia risolutezza e forse per rispetto, non aggiunse altro e se ne andò.
Avevo coltivato una parte della mia isola con pomodori e mais, mi rallegrai di questo, mi sarei nutrito e avrei barattato parte del raccolto con qualche gallina.
Andai dietro la costruzione, che ora chiamavo casa, per controllare la maturazione delle pannocchie, fu allora che mi accorsi di qualcosa che si dimenava nell’acqua.
Mi inoltrai nella riva con l’acqua che mi arrivava ai polpacci e la vidi. Una bambina bruna annaspava, rivolgendomi uno sguardo terrorizzato. Sembrava la mia Maria. Non persi tempo e mi buttai per soccorrerla, ma non la raggiunsi mai. Il corpo sparì nel fondo del canale e non riuscii più a trovarla.
Non mi restava altro che chiedere aiuto. Ma quando le ricerche si rivelarono inutili e non risultava nessuna bimba scomparsa, le persone iniziarono a guardarmi storto, dubitando del mio racconto. La voce che avevo abbandonato la mia famiglia si era sparsa nel villaggio e la gente fu sicura che fossi impazzito.
Poteva, il dispiacere, avermi procurato una tale allucinazione?
Tornai sull’isola, deriso dai miei conoscenti, le ricerche si erano protratte per l’intera giornata. Avevo fame e mi sentivo umiliato. Raccolsi alcune pannocchie che misi a bollire sul braciere, nel frattempo ripensavo alla mia presunta allucinazione. Ritornai sulla sponda del canale e il ricordo della bimba che annegava si fece più vivido che mai. Non lo avevo immaginato, allora perché non ritrovammo il corpo?
Si era alzata una leggera brezza, il soffio leggero del vento produceva nuovi suoni che non sentivo da tanto tempo, erano confortevolmente piacevoli. Dopo aver mangiato, mi misi a sedere su una stuoia con le spalle poggiate a un tronco caduto, accanto al focolare. Accesi la pipa e inalai una profonda boccata.
Tra il canto dei grilli e il gracidare delle rane, mi parve di udire un lamento. Tesi l’orecchio, ma sentivo solo il fruscio degli alberi nel tiepido venticello.
«Basta con queste idiozie» mi dissi.
Ma ecco che di nuovo sentii il lamento, questa volta un po’ più chiaro e definito, qualcuno stava piangendo.
Il pianto proveniva dalla piantagione e lì, accovacciata tra le piante di mais, la vidi. Era la bimba che avevo visto annegare. Sotto la tenue luce lunare, appariva pallida, i capelli ricci e bagnati, le stavano incollati sulla testa e su parte del viso. Gli occhioni neri brillavano, su profonde e scure occhiaie.
Mossi qualche passo, verso di lei e smise di piangere. Per paura di spaventarla mi fermai.
«Stai tranquilla, non piangere» le dissi piano, inchinandomi sulle gambe.
«La mia bambola», sussurrò.
Mi guardai intorno, nella speranza di scorgere il giocattolo lì vicino, ma quando mi voltai verso la bimba, non c’era più. Svanita in un momento. Come era possibile?
Caddi a sedere sulla terra, confuso. Stavo realmente impazzendo.
Poi la sentii ancora mormorare, ma non riuscivo a vederla. Scattai in piedi mettendomi a cercarla.
«La mia bambola…»
«Dove sei? Fatti vedere.»
Raggiunsi la sponda, oltre il mais.
«La mia bambola…»
Sentivo la sua voce accanto a me, ma non la vedevo. L’acqua si mosse, come se piedi invisibili si fossero immersi e lì, poco distante, nel riflesso della luna, vidi la bambola.
«Eccola, l’ho trovata! Dove sei piccola? Fatti vedere» dissi.
Sentii echeggiare una leggera risatina e poi più niente. Con la bambola tra le mani continuai a cercarla e a chiamarla, ma era scomparsa.
Non era stata un’allucinazione, avevo trovato la bambola che cercava, come poteva esserlo? Mi convinsi che fosse il suo spirito inquieto, per la tragica morte del suo corpo. Trovando la bambola, le avevo dato sollievo, sorrisi ricordando la sua risata cristallina nel vento.
Tornai al mio bivacco, sistemai la bambola accanto al braciere, presto si sarebbe asciugata. Entrai in casa lasciandola lì e andai a dormire.
Il mattino seguente, sulla riva fangosa, notai le piccole impronte della bimba. Erano proprio accanto alle mie. Sorrisi.
Tagliai una generosa quantità di pomodori e raggiunsi il mercato per poterli barattare con qualcos’altro. Mentre remavo col palo, che ad ogni vogata toccava il fondale, cercavo il coraggio per affrontare l’imbarazzo degli sguardi di compatimento della gente. Prima che giungessi al mercato, mio nipote, vedendomi, mi raggiunse.
«Zio Alonso, come stai?» mi chiese premuroso.
«Sto bene, non devi preoccuparti», risposi.
«Dove vai con quei pomodori?»
«Al mercato.»
«Li prendo io. Aspettami qui», disse prendendomi il cesto dalle mani.
Ritornò poco dopo, trasportando una stia di legno con due galline. Aveva una sacca di stoffa rigonfia sulla spalla e mi invitò a seguirlo verso la barca.
Caricò tutto e mi sorrise.
«Stai tranquillo zio, ti aiuterò io», disse sorridendomi. Mi strinse una spalla con la mano, mi sorrise ancora, con gli occhi pieni di emozione, poi si allontanò.
Fui grato per quei doni e tornai alla mia chinampa, mi sorpresi a sorridere pensando che sull’isola, qualcuno mi aspettava.
Passarono parecchi giorni dal ritrovamento della bambola. Ne avevo molta cura perché sapevo che lo spirito della bambina ci teneva. Ogni sera accanto al braciere le raccontavo delle storie, sentivo echeggiare la sua risata, e il mattino seguente trovavo impronte fresche dei suoi graziosi piedini.
Ero felice del poco che avevo, e la bimba, che chiamavo Muñeca, bambola, mi teneva compagnia, la sera.
Sembrava andare tutto per il meglio, fino a quando non udii più la sua risata. Ogni sera provavo a chiamarla, attirandola con la bambola e con nuove storie, ma non si fece sentire. Ero di nuovo solo.
Ripensavo a Maria, che ora stava imparando a vivere con un nuovo papà e il mio cuore si riempì di nuova tristezza. Passavo le giornate a coltivare e a pescare, senza vivere, il sorriso della mia anima si era spento. Una sera, trattenni il respiro, la mia piccola Muñeca era tornata, sentivo il suo pianto sommesso, forse si era solo persa.
Raggiunsi la piantagione di mais.
«Muñeca, non piangere sono qui. Torna a casa, ho tante storie da raccontarti. Stai tranquilla…»
Continuavo a parlarle, cercando di placare la tristezza di quello spirito sconsolato, ma il suo pianto continuava, e io non sapevo che fare.
Presi la bambola e la legai ad un albero lì vicino, nella speranza che vedendola smettesse di piangere, ma non servì a molto.
«Ecco la tua bambola, ora smetti di piangere. Resterò qui con te, questa notte e vedrai il tuo papà, ti renderà ancora felice», dissi queste parole con le lacrime agli occhi.
Mi sdraiai tra le piante. Avvertii una leggera pressione sul braccio e delle piccole scosse. Non la potevo vedere, ma era lì accanto a me che singhiozzava.
«Il papà ti porterà una nuova bambola, domani. Lo farò ogni volta che ti sentirai triste. E quando sarà arrivata la mia ora, potrò finalmente tenerti tra le braccia…».