Dal 29 settembre al 2 ottobre prossimi la Basilicata, come avviene dal 2003, ospiterà un grande evento letterario internazionale: il Women’s fiction festival (Wff). La prestigiosa manifestazione, dedicata alla narrativa femminile ma aperta anche al contributo di scrittori, come di consueto si svolgerà nell’affascinante centro storico di Matera a ridosso degli antichi Rioni Sassi. Il Wff è realizzato in collaborazione con la casa editrice Harlequin Mondadori e offre spazi anche ai generi della fantascienza e del fantastico, infatti, solo per citare i nomi più noti che sono stati presenti nelle scorse edizioni vi sono Alan D. Altieri e Licia Troisi. Quest’anno parteciperanno altri importanti autori e autrici tra cui il pugliese Vittorio Catani, autorevole narratore nell’ambito della fantascienza italiana (ma ha assicurato la presenza anche Silvana De Mari celebre scrittrice del genere fantasy). A Catani gli organizzatori del Festival, hanno affidato il compito di incontrare gli studenti del Liceo Scientifico “Dante Alighieri” di Matera per tenere, giovedì 29 settembre con inizio alle ore 10, una lezione dal titolo “Cinquant’anni dopo il primo volo nello spazio”. In attesa di ascoltarlo nella conversazione che siamo certi non deluderà le aspettative degli studenti (e degli amatori del genere), lo abbiamo intervistato ripercorrendo la sua storia di appassionato e di scrittore, raccogliendo i suoi pensieri sul passato e sul futuro della narrativa fantascientifica e sul rapporto che essa ha con i giovani. Nativo di Lecce e residente a Bari, il Nostro si occupa da circa mezzo secolo di science fiction (sf) sia come scrittore sia come saggista. I suoi libri e i suoi racconti sono molto apprezzati in Italia e all’estero. Nel 1989 con il romanzo “Gli universi di Moras” (opera pubblicata nel 1990 nella storica collana “Urania Mondadori”) ha vinto la prima edizione del Premio Urania. Mentre nel dicembre 2009 sempre per la stessa collana ha pubblicato il romanzo “Il Quinto Principio”. Scrive per magazine on line di genere fantascientifico e collabora con la pagina della cultura del quotidiano barese “La Gazzetta del Mezzogiorno”.
Il blog di Vittorio Catani è : http://www.fantascienza.com/blog/vikkor.
CATANI, LEI E’ CONSIDERATO UNO DEGLI SCRITTORI “STORICI” DELLA FANTASCIENZA ITALIANA: SE TORNASSE INDIETRO RIFAREBBE LO STESSO PERCORSO?
Penso di sì. L’alternativa sarebbe stata quella di dedicarsi unicamente all’attività di scrittore di fantascienza, o anche di altro, ma non avrei assolutamente potuto viverci. In Italia sono e sono stati in passato pochissimi gli scrittori di narrativa (in genere) in grado di vivere solo del loro lavoro. Lo stesso Alberto Moravia, per dirne una, arrotondava gli introiti recensendo film su alcune riviste di primo piano. Non parliamo poi degli scrittori di fantascienza: un genere alquanto bistrattato e senza grosse possibilità di diffusione. Pertanto ho continuato a fare il bancario… e a scrivere.
CI VUOLE PARLARE DEL SUO PERCORSO DI APPASSIONATO E DI SCRITTORE DI SCIENCE FICTION?
Il mio incontro con la fantascienza risale agli anni ’40 con alcuni fumetti, fra cui “Nembo Kid” e altri, anche su “Topolino”. Per i libri si dovette attendere il 1952, anno in cui la Mondadori ebbe la bella idea di introdurre in Italia un genere che negli Usa esisteva già dagli anni ’20. E nacque la collana “Urania”, che è tuttora mensilmente in edicola alla rispettabile età di 59 anni. Ne fui subito accanito lettore. Pochi anni dopo mi venne di scrivere qualcosa che rievocasse queste strane storie rutilanti, ricche di mistero e di avventura.
QUANDO HA INIZIATO A SCRIVERE E DOVE HA PUBBLICATO LE SUE PRIME STORIE?
Dunque, mi venne il pallino di tentare di scrivere anch’io qualcosa. Nacquero alcuni raccontini. Era – credo – il 1956. Continuai a scrivere per conto mio, e nel luglio 1962 uscì il mio primo racconto sulla collana di fantascienza “Galaxy”, versione italiana di quella statunitense. Per decenni, negli Usa, “Galaxy” fu il “fiore all’occhiello” della fantascienza. Ecco, per me tutto è partito così.
FONDAMENTALI PER DIFFONDERE LA FANTASCIENZA TRA AMATORI E ASPIRANTI SCRITTORI DEL GENERE FURONO LE FANZINE…
Per le fanzine (parola che fonde due termini: “fanatic” e “magazine”) già esistenti negli Usa, si dovettero attendere in Italia gli anni ’60. Credo che le prime fanzine italiane, in assoluto, siano state quelle di fantascienza; poi diffuse anche in altri ambiti. Erano fascicoli battuti a macchina da scrivere, le copie erano create con la carta carbone (magari qualcuno di chi ora mi legge non ha avuto modo di conoscerla). Poi si passò al ciclostile, altro meccanismo d’epoca alquanto rudimentale ma importantissimo (lo usavo anche io, in banca) poi alle fotocopie, infine alla stampa. E ora al web. Le fanzine erano, e sono tuttora, sia ancora cartacee sia in rete (webzine) riviste amatoriali create da alcuni gruppi di lettori e/o scrittori, e venivano pubblicizzate e spedite unicamente tramite posta ferroviaria. Insomma, iniziative “eroiche”. Pubblicavano brevi racconti, recensioni, pareri, resoconti di incontri, immagini. In Italia, queste testate amatoriali proliferarono specie dagli anni ’70. Nessuno ha fatto mai una indagine sul numero di testate uscite, ma saranno state almeno un migliaio. Spesso avevano vita brevissima, altre invece esistono ancora, magari in versione Internet. Qui a Bari ne nacquero tre o quattro. Nonostante la loro precarietà e un certo dilettantismo, molte fanzine italiane hanno raggiunto livelli qualitativi notevolissimi e hanno trattato temi poco comuni, altrimenti trascurati.
E LA SF IN PUGLIA COME SI DIFFUSE? QUALI ERANO I RAPPORTI TRA VOI APPASSIONATI?
La Puglia, nonostante sia situata nel “Profondo Sud”, ha avuto nella fantascienza italiana un ruolo decisamente non secondario, riconosciuto ampiamente dall’intero “fandom” (l’insieme dei lettori). Dal ’69 in poi si creò, a Bari, gradualmente un gruppo di fan che “tenne” per parecchi anni. Si fece di tutto: pubblicazione di racconti, creazione di fanzine, pubblicazioni di libri di saggistica (uno con la casa editrice Dedalo), rassegne cinematografiche di fantascienza, presentazione di libri, incontri con le scuole, conferenze presso circoli culturali, rubriche radiofoniche presso radio private, piccoli spettacoli teatrali da noi elaborati da racconti di fantascienza, anche miei. Da questi spettacoli poi furono create delle pièces radiofoniche, alcune delle quali registrate su audiocassette (e poi riversate su cd). Si tenne anche una piccola convention nel 1981, detta appunto “LittleCon”. Fu perfino girato un “corto”, durato una ventina di minuti: un piccolo film di fantascienza con attori e panorami baresi. Quando, nel 1990, avviai la mia collaborazione alla “Gazzetta del Mezzogiorno”, la fantascienza giunse anche sulle pagine del quotidiano, in una serie lunghissima di mie rubriche e miei articoli nella pagina culturale, che appaiono tuttora. E certamente dimentico altre iniziative. Eravamo molto “caricati” e tutto ciò che creavamo era reso in un linguaggio non da “addetti ai lavori” ma il più possibile comprensibile da tutti. Insomma, lavoravamo per la “diffusione” della fantascienza, convinti che la “buona” fantascienza – quella che diverte ma anche fa riflettere – meritasse di essere più conosciuta. Anche per questo operavamo non solo sulla carta stampata ma anche tramite altri media.
AL DI LA’ DELLA CITTA’ DI BARI VI ERANO CONTATTI CON GRUPPI DI ALTRE REALTA’ PUGLIESI? E DELLA VICINA BASILICATA RICORDA QUALCUNO?
Un altro gruppo era a Taranto, e lavorò per vari anni, creando a sua volta una fanzine. Alla LittleCon parteciparono alcuni dei fan (lettori) della provincia barese e di Lecce. A Taranto, per alcuni anni, ci fu anche una libreria dedicata unicamente al fantastico e alla fantascienza. Della Basilicata, a quei tempi, non ricordo nessuno.
QUANTO E’ IMPORTANTE PER LEI SCRIVERE DEI SUOI LUOGHI E DELLA SUA TERRA?
Sono uno di quei pochissimi scrittori di fantascienza che per primi, già negli anni Sessanta, cercavano di “trasferire” storie di fantascienza dalle solite e ovvie ambientazioni Usa alle terre di casa nostra, anzi proprio in Puglia. Facevo questo non per banale campanilismo, ma perché intuivo che sarebbe stato l’unico modo per creare una “via italiana alla fantascienza”. Mentre la maggior parte dei nostri primi scrittori narravano di personaggi che si chiamavamo Jack o Annie, e agivano a New York, qui si chiamavano Giuseppe e Daniela e agivano a Bari o a Bitritto (in provincia di Bari, ndr). Il che significava soprattutto doversi inventare di sana pianta futuri scenari tecnologici che fossero verosimilmente compatibili con una terra – la Puglia – che era ancora un mondo essenzialmente agricolo, se non rurale. Compito non facile.
LEI HA AMPIAMENTE PARLATO NEI SUOI LAVORI DELLA PUGLIA, REGIONE CHE HA PAESAGGI E LUOGHI MOLTO SUGGESTIVI. QUANTO, A SUO PARERE, TALI SCENARI SI PRESTANO AD AMBIENTAZIONI FANTASCIENTIFICHE?
Personalmente non riuscirei a scrivere in modo credibile una storia che si svolge a Washington o a Pechino, salvo rientrare nei luoghi comuni. La mia fantascienza è in buona parte ambientata in Puglia, spero in maniera credibile. Tra i luoghi scelti, primeggia Bari. Che poi non è la città in cui sono nato, ma quella in cui ho maggiormente vissuto.
QUALI SONO I SUOI RIFERIMENTI LETTERARI?
Ci sono sempre autori ai quali ci si è maggiormente ispirati, specie in un primo momento. Fra questi nominerei anzitutto alcuni “grandi” della fantascienza made in Usa, anche molto diversi tra loro: Isaac Asimov, Philip K. Dick, Alfred E. van Vogt, Robert Sheckley, Theodore Sturgeon, James G. Ballard, più di recente Greg Egan… e chissà quanti altri. Fra gli scrittori italiani: per la fantascienza, Lino Aldani (il nostro più grande autore) e Vittorio Curtoni. Ma anche Dino Buzzati, e altri che poco o nulla hanno a che vedere con la fantascienza: Vladimir Nabokov (che ho amato moltissimo, in particolare il suo romanzo “Ada”), Jorge L. Borges, Kafka, Massimo Bontempelli, Cesare Pavese…
COM’ E’ CAMBIATA, SECONDO LEI, LA FANTASCIENZA DAGLI ANNI ’50 – ’60 AD OGGI?
Sarebbe un lungo discorso. Mi limito a dire che dalla fantascienza degli anni ’40-50 che narrava soprattutto di favolose ma coinvolgenti esplorazioni spaziali con relativi alieni d’ogni tipo, si passò nei ’50 a una fantascienza di stampo satirico-sociologico, per approdare nel ’60 alla New Wave, genere sperimentale che preferiva allo “spazio esterno” (quello di stelle e galassie) uno “spazio interno” (riferito alla psiche umana). Dopodiché subentrò la fantascienza cyberpunk, che raccontava il futuro di Internet, del cyberspazio e di una società cablata ma chiusa su se stessa e in cui dominano caste di straricchi su una popolazione impoverita e senza grandi speranze di riscatto. Ovviamente i precedenti tipi di fantascienza non sono mai scomparsi: oggi convivono tutti, ma rivisitati più modernamente.
LEI QUALE FILONE DI SF PREDILIGE? HA CAMBIATO NEGLI ANNI IL SUO RAPPORTO DI LETTURA E SCRITTURA CON IL GENERE?
A parte un primo momento di fantascienza avventurosa che presentava mirabolanti invenzioni tecnologiche e stupefacenti panorami di altri pianeti, la mia scrittura si orientò subito su una fantascienza “di riflessione”, ovvero che partiva dalla domanda “cosa accadrebbe se…” Ho sempre lavorato su questo interrogativo, proposto su diversi argomenti: scienza (ovviamente), sentimenti (per esempio storie d’amore di fantascienza), sesso, religione, rapporti umani, temi sociali, politica e così via. In realtà, è l’unica fantascienza che mi interessa veramente.
NEGLI ARTICOLI CHE SCRIVE PER “LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO” SPESSO SI OCCUPA DI ECOLOGIA. QUALI CONNESSIONI RITIENE ABBIA TALE ARGOMENTO CON LA FANTASCIENZA?
Tra fantascienza ed ecologia c’è un rapporto strettissimo. Basti pensare che per creare, in una storia che si svolge nel futuro, uno scenario credibile, occorre saperne misurare le caratteristiche, che devono essere compatibili tra loro. Un esempio: un pianeta diverso dalla Terra, che abbia un’atmosfera più rarefatta, potrà ospitare forme di vita differenti, e dovremo immaginarcele idonee all’ambiente. Una rappresentazione del nostro pianeta in un futuro ecologicamente più degradato, avrà altri problemi, altre modalità di rapporto tra gli umani, eccetera: e l’autore deve tenerne conto. Qualunque tipo di scenario a venire si immagini, esso dovrà avere una coerenza interna tra tutti i suoi elementi: più ecologia di così…
CHE RAPPORTI HA CON GLI ALTRI SCRITTORI SIA PUGLIESI SIA ITALIANI, ANCHE NON DI GENERE SF?
Di solito sono portato istintivamente ad avere buoni rapporti con tutti, scrittori e non scrittori. Quanto a quelli di fantascienza, pugliesi e non, che nell’insieme non sono pochi e credo di conoscere quasi tutti, le cose non cambiano.
CREDE NELLA CONTAMINAZIONE DEI GENERI LETTERARI?
Sì, ma molto poco. Anzitutto occorre conoscere bene i generi per saperli contaminare tra loro. Poi, se la faccenda diventa una moda finisce con lo stancare. Per restare nella fantascienza, il suo vasto filone definito “cyberpunk” – sopra descritto – ha trionfato negli anni ’80 per circa un ventennio e mescolava una fantascienza precorritrice delle nuove telecomunicazioni con il genere noir.
A QUALE ASPETTO DELLA FANTASCIENZA SI SENTE PIU’ VICINO?
In verità, sono riuscito ad assorbire, nei decenni, alcuni aspetti interessanti della evoluzione del genere “fantascienza” e farli miei, almeno in parte. Ma la modalità espressiva spero non abbia mai deviato da uno scopo: scrivere una narrativa che si ponga interrogativi sui vari aspetti della attuale realtà per cercare di immaginarne, nel bene e nel male, gli sviluppi a venire. Diciamo che è anche un gioco…
IN QUALE DIREZIONE VA OGGI LA SF?
Difficile dirlo. In realtà oggi la fantascienza – quella scritta – è anch’essa in crisi, da vari anni. Pochi sono i nomi più noti, ma non appartengono a “filoni” o sub-generi, direi che ciascun autore scrive ciò che gli pare e ha una sua personalità. Il matematico australiano Greg Egan preferisce scrivere una fantascienza ad alto contenuto filosofico-sociale-tecnoscientifico. L’inglese Charles Stross descrive un futuro vorticoso, ultracomplesso e ultratecnologico mescolando vari moduli fantascientifici e non tralasciando un pizzico di humour. Lo scozzese Kenneth M. MacLeod privilegia temi dichiaratamente politici: socialismo, comunismo, anarchismo, ma anche tematiche prettamente scientifiche. Poi tanti altri…
RITIENE CHE LE NUOVE GENERAZIONI SIANO INTERESSATE ALLA SF?
Oggi la fantascienza ci circonda: nei film, nelle serie televisive, nella pubblicità, negli spot televisivi, in libri venduti come mainstream, ma contenenti tematiche attinenti alla fantascienza sia pure in modo soft. E la troviamo perfino nel linguaggio corrente con parole come “astronave”, “robot”, “marziano”, “universo parallelo” eccetera. Ma stranamente resta trascurata proprio la fantascienza scritta. Le collane specializzate, in altri tempi numerose, oggi sono solo un paio (“Urania”, “Robot”), il numero dei lettori è enormemente calato rispetto a quello degli anni Sessanta/Settanta. In genere, quando si parla in pubblico di fantascienza, si nota un certo interesse, specie tra i giovani: ma questo interesse di rado porta poi all’acquisto di un libro. Magari perché non si sa bene da quale libro incominciare, oppure si è già acquistato un libro ma non è piaciuto. Per questo motivo, se si vuole incominciare a leggere fantascienza, sarebbe bene chiedere un consiglio a chi conosce il genere. Personalmente resto sempre disponibile a contatti di questo tipo.
FORSE OGGI I GIOVANI PREDILIGONO PIU’ I GENERI FANTASY O HORROR ANCHE PER VIA DELLE NOTE SAGHE CINEMATOGRAFICHE DI HARRY POTTER, IL SIGNORE DEGLI ANELLI O TWILIGHT. LEI COSA PENSA IN MERITO?
E’ certamente così, quei generi vendono molto di più. Personalmente penso che sia un peccato. Esistono libri di romanzi o racconti di fantascienza assolutamente splendidi, scritti da autori soprattutto anglosassoni (ma anche italiani) che meriterebbero una maggiore attenzione.
A SUO MODO DI VEDERE, QUALE INTERESSE PEDAGOGICO O SOCIALE HA LA NARRATIVA FANTASCIENTIFICA?
La fantascienza piace molto ai ragazzi, e può avere un notevolissimo interesse pedagogico. Ho avuto tanti incontri con classi, nelle scuole, e l’ho verificato personalmente. Questo genere narrativo ci insegna anzitutto che noi non siamo il centro dell’universo, perché l’universo è troppo grande. Poi ci infonde il senso del mistero: la scienza non potrà – forse – mai rispondere a tutte le domande che il futuro e l’universo ci pongono, ma i personaggi di una storia di fantascienza vogliono soprattutto “sapere”, “scoprire”. Se esistono alieni, non è detto che debbano essere guerrafondai, anzi la figura dell’“alieno” si presta benissimo a un confronto positivo con l’“altro”, il “diverso”. Grandi pericoli, sulla Terra o su altri pianeti, portano a condividere l’unione e la solidarietà reciproca, perché se si è d’accordo in tanti, si possono superare le prove più difficili. Storie di viaggi su altri mondi, o nel profondo degli abissi oceanici, insegnano indirettamente anche nozioni di fisica, di chimica, di geografia, di cosmologia. Nulla di meglio che apprendere divertendosi: si suscita una curiosità che non verrà più meno. E oggi abbiamo tanto bisogno – fra l’altro – di gente che abbia sia pure una infarinatura di elementi scientifici: per poter meglio ragionare con la propria testa.
NON PENSA CHE DAL PUNTO DI VISTA LETTERARIO LA SF SIA TRASCURATA FORSE PERCHE’ CONSIDERATA UN GENERE DI EVASIONE?
Di solito si conosce, purtroppo, la fantascienza più banale. Esiste anche una narrativa fantascientifica di evasione, ed è giusto che ci sia, se è scritta bene e sa divertire. Ma non è tutto: è fantascienza anche il romanzo “1984”, che “di evasione” proprio non è. E’ solo un esempio. La fantascienza pullula di bellissime opere, note a una cerchia ristretta, come i nomi di chi li scrisse. Asimov, Dick, Ballard… ma non solo. Sturgeon, Clarke, Simak, Sheckley, Dish, Delany, Moorcock, LeGuin… questi nomi purtroppo, e tanti altri, restano noti a pochissimi. Hanno scritto opere grandiose. D’altronde anche la narrativa mainstream pullula di opere banali, ma ci sono anche capolavori. Tutto sta nel saper scegliere.
E’ IN ATTESA DI PUBBLICARE IL SUO ULTIMO LIBRO PER LA STORICA COLLANA “URANIA”, COSA RIGUARDA?
Sì, sarà un volume edito da Mondadori in “Urania Collezione”, una collana che ripropone materiali già editi molto tempo fa – ma oggi difficilmente reperibili – di autori noti, almeno nell’ambito fantascientifico. Autori soprattutto anglosassoni, ma anche qualche italiano. Il mio libro dovrebbe uscire nella seconda metà del 2012. Prenderà il titolo da uno dei lunghi racconti che contiene: “Attentato all’utopia”, storia della futura realizzazione – sul nostro pianeta – di una reale utopia condivisa da milioni di persone, ma molto mal vista da alcuni. Delle altre storie del volume, “Replay di un amore” è, come suggerisce il titolo, una storia d’amore vissuta… fantascientificamente. “L’uomo centenario” ha per protagonista Isaac Asimov, ed è un mio scherzoso ma devoto omaggio al grandissimo autore. “Breve eternità felice di Vikkor Thalimon” narra di un terrestre che si trasferisce nelle foreste di un remoto pianeta per dare la caccia a un animale mitico, che forse non esiste. Poi ci sono altri racconti più brevi.
LEI PREDILIGE SCRIVERE RACCONTI PIUTTOSTO CHE ROMANZI…
Ho scritto molti racconti e pochissimi romanzi. Ritengo il “racconto” e soprattutto il “racconto lungo” (o “romanzo breve”) la misura ideale per la narrativa di fantascienza: esposizione di una idea, sviluppo, finale. Non ho alcuna propensione ai mastodontici “cicli”, che definisco “cicloni”. Non mi piace scrivere storie con lo stesso personaggio, mi diverte inventarmi sempre qualcosa di nuovo. In genere si ritiene, molto erroneamente, che il “racconto” sia un parente povero del romanzo. L’autore che non sa scrivere romanzi che fa? Scrive il racconto. Questa è una sciocchezza: la storia breve ha altre finalità, diverse dal romanzo (“è la fotografia di un fatto”, dice un mio amico scrittore), e richiede un delicato equilibrio delle sue componenti. La fama di grandi e grandissimi quali Borges, Kafka, Poe, Carver, Maupassant, Cechov, Moravia, Buzzati e tanti altri, è affidata anche o esclusivamente a racconti.
SONO PASSATI CINQUANT’ANNI DALLA CONQUISTA DELLO SPAZIO DA PARTE DELL’UOMO. QUALI ERANO LE ASPETTATIVE ALL’EPOCA E COSA PENSA ADESSO?
Erano altri tempi: l’anno 2000 sembrava un’utopia, un mondo nuovo in cui avremmo “conquistato” lo spazio, creato mirabolanti astronavi (magari con servizi turistici per Marte o per la Luna), avremmo vinto il cancro, eccetera. Nulla di tutto ciò è accaduto. Eppure, a quei tempi noi “avevamo un futuro”. Oggi tutti ci dicono che “abbiamo perso il futuro”. E in effetti i sogni di gloria sono terminati con le crisi economiche, specie l’ultima, e con governi che brancolano nel buio, e speculatori che diventano straricchi ai nostri danni. Oggi, per molta gente, pensare al futuro significa riuscire a vivere la giornata con pranzo e cena per tutta la famiglia. Una situazione di sopravvivenza a breve scadenza che non invita affatto a pensare a un futuro vissuto come incognita o come angoscia. Magari sarà anche per tutto questo che la fantascienza attira meno di una volta…
DUE DOMANDE SULL’ ATTIVITA’ DI NARRATORE: COME NASCONO LE SUE STORIE, E COME SI SVOLGE LA SUA GIORNATA DA SCRITTORE…
Difficile dire come nasce una storia. In genere, tutto parte da un’idea che viene in mente, spesso non sollecitata, almeno in apparenza. Su un’idea – l’idea di una particolare situazione – si può poi tentare di costruire un personaggio e/o una storia (siamo ancora ai pensieri, non alla scrittura). Se il tutto mi convince, o meglio mi entusiasma, cerco di chiarire a me stesso modalità e finalità di questa idea. Non necessariamente so come dovrò completare il tutto, ma non fa nulla. A questo punto mi siedo alla tastiera e incomincio a scrivere. Tutto il resto maturerà in tempi brevi. Di solito la faccenda riesce: mi invento uno scenario adeguato, personaggi, svolgimento, finale: il tutto per sommi capi. Raramente mi scrivo scalette, riassunti eccetera. Una volta ingranata la marcia, le idee vengono da sole, e faccio affidamento su questo meccanismo mentale per andare avanti. L’idea di partenza può essere del tutto occasionale. Per esempio, un giorno mi capitò di ascoltare una canzone che riprendeva una favola zen, quella della persona inseguita da una tigre e che corre per sfuggire alla belva, ma correndo cade in un burrone: riesce però ad aggrapparsi a un cespuglio. Lì, in drammaticissima posizione, vede nel cespuglio alcune fragole: le prende con l’altra mano e le assapora beatamente. Orbene, la cosa mi colpì, e da lì maturò l’idea che poi divenne il racconto sopra citato, “Breve eternità felice di Vikkor Thalimon”. Comunque riesco a scrivere anche racconti “su ordinazione”, lo faccio per una rivista barese di ecologia online, “Villaggio Globale”. Ogni fascicolo ha un tema, e io scrivo una storia di fantascienza su quel tema. Finora avrò scritto una cinquantina di storie per “Villaggio Globale”. Ovviamente è una collaborazione gratuita. Non è vero che l’autore ha sempre bisogno dell’ispirazione, o di una Musa che lo illumini. Non c’è nulla di trascendente o di sacrale in tutto ciò. Un grandissimo autore di canzoni, lo statunitense Cole Porter, diceva: “La mia migliore ispirazione? Una telefonata del mio impresario”. La giornata dello scrittore? Una giornata come le altre, ma vissuta quasi interamente alla tastiera. Roba che nuoce alla salute!
QUALI CONSIGLI SI SENTE DI DARE AI GIOVANI ASPIRANTI SCRITTORI INTENZIONATI A CIMENTARSI CON LO STRAORDINARIO MONDO DELLA SF?
La fantascienza non è una narrativa facile, nel senso che si è evoluta nel tempo, ha un suo linguaggio, i suoi meccanismi, e bisognerebbe aver letto qualcosa di alcuni autori fondamentali per capire meglio come scriverla. Il lettore di fantascienza scopre subito lo scrittore che non ha esperienza di letture nel settore, e lo rifiuta. I giovani oggi, della fantascienza, magari conoscono solo film o serie tv: ma non si può “scrivere” solo su queste basi, la fantascienza su carta è molto diversa. Inoltre, se si è scritto un racconto, o un romanzo, è bene farlo leggere a più d’una persona che abbia buone esperienze di lettura, evitando quindi con cura – occorre precisare – di proporlo all’amico, al cugino o alla fidanzata quali giudici. Questo, per quanto concerne lo “scrivere”. Quanto al “pubblicare”: anche qui non è affatto facile, data la ristrettezza del mercato, ma se l’autore ha maturato una certa esperienza, magari riuscendo a pubblicare in rete, dove fioriscono molte iniziative al riguardo, anche cartacee, allora potrà anche tentare di spedire il suo romanzo alla Mondadori. La quale ogni anno indice un concorso per un romanzo italiano, il “Premio Urania”. Il vincitore viene pubblicato e retribuito. Talora, se meritevole, viene pubblicato anche il romanzo di un altro partecipante, magari arrivato secondo. La giuria è formata da persone competentissime e di assoluta serietà.
Il 29 SETTEMBRE SARA’ A MATERA PER INCONTRARE GLI STUDENTI DEL LICEO SCIENTIFICO NELL’AMBITO DEL WOMEN’S FICTION FESTIVAL. COSA PENSA DELLA MANIFESTAZIONE E COSA LA LEGA ALLA CITTA’ DEI SASSI?
Anzitutto ringrazio molto gli organizzatori del Women’s fiction festival per avermi concesso un prezioso spazio in una manifestazione che si pone con eventi di altissimo livello. Ne sono lieto anche per due specifici motivi: amo molto parlare e confrontarmi con gli studenti – dagli alunni delle elementari agli universitari – sul tema “fantascienza”: un genere narrativo che suscita reazioni controverse, ma che ci ha dato anche autentici capolavori. L’altra ragione è che mi sarà molto gradito venire a Matera, una città che tanto tempo fa frequentavo settimanalmente per motivi di lavoro: in qualità di funzionario di banca (la vecchia Banca Commerciale Italiana, poi divenuta Banca Intesa) mantenevo i contatti con numerosi clienti materani (privati, aziende, industrie). Erano gli anni ’70/80, e penso che troverò la città un tantino cambiata…