Titolo originale: La morte viene dal pianeta Aytin
Anno: 1967
Regia: Anthony Dawson
Soggetto: basato su una storia di Aubrey Wisberg
Sceneggiatura: Charles Sinclair, William Finger e Ivan Reiner
Direttore della fotografia: Riccardo Pallotini
Montaggio: Otello Colangeli
Musica: Angelo Francesco Lavagnino
Effetti speciali: Ettore Catalucci, Victor Santolar ed Euclide Santoli
Produzione: Joseph Fryd, Walter Manley, Antonio Margheriti e Ivan Reiner
Origine: Italia
Durata: 1h e 30’
CAST
Jack Stuart, Amber Collins, Enzo Fiermonte, Alina Zalewska, Renato Baldini, Wilbert Bradley, Freddy Unger, Furio Meniconi, Nino Vingelli, Renato Montalbano, Piero Pastore, Franco Ressel
TRAMA
Siamo in un’epoca futura. Una stazione meteorologica situata sull’Himalaya viene attaccata e distrutta misteriosamente. Le autorità interessate incaricano il comandante Jackson della stazione Gamma Uno di indagare sulla tragedia. Nello stesso periodo intanto, avvengono altri preoccupanti fenomeni: al polo i ghiacci si fondono e le acque fanno salire il livello del mare provocando inondazioni e sciagure. Jackson, recatosi nella zona dove sorgeva la stazione meteorologica, subisce il sabotaggio dell’apparecchio con il quale avrebbe dovuto sorvolare la montagna, ed è così costretto a impegnarsi in una scalata insieme a un amico, alla fida guida indiana e alla fidanzata dello scomparso direttore della stazione distrutta. Qui, Jackson riesce a individuare una caverna occupata da uomini mostruosi, provenienti dal pianeta Aytin e a distruggerli insieme alla loro base. Questa prima vittoria non provoca però la fine dei fenomeni disastrosi: ben presto gli scienziati riescono a individuare la fonte della misteriosa energia nemica in una delle lune di Giove. Jackson allora, si dirige con una flottiglia di navi spaziali verso il satellite che trova difeso da una insuperabile barriera di radiazioni elettroniche; con una tattica rischiosa e geniale dirotta verso il pianeta stesso un gruppo di asteroidi e lo distrugge.
NOTE
“La morte viene dal pianeta Aytin”, diretto e prodotto da Antonio Margheriti sotto lo pseudonimo di Anthony M. Dawson, è la quarta e ultima pellicola del cosiddetto quartetto Gamma Uno, dal nome della stazione spaziale usata come ambientazione: si trattava di una serie di quattro film a basso costo girati contemporaneamente da Margheriti per il mercato statunitense nel giro di dodici settimane, sfruttando stesse scenografie e la maggior parte del cast. Il film fu prodotto con costi assai ridotti dalla Mercury Film International per conto della Metro Goldwyn Mayer, insieme a “I criminali della galassia”, “I Diafanoidi vengono da Marte” e “Il pianeta errante”.
Il soggetto è basato su una storia di Aubrey Wisberg (noto per le sceneggiature di “L’uomo dal pianeta X”, “Ercole a New York” e “Mission Mars”), mentre la sceneggiatura è opera di Charles Sinclair (“Il fango verde”, “Batman”), William Finger (“Batman”, “Batwoman – L’invincibile superdonna”, “Il fango verde”) e Ivan Reiner (tutti i film del ciclo di Gamma Uno, “Il fango verde”).
Le musiche sono state composte da Angelo Francesco Lavagnino, noto per aver scritto le colonne sonore di “Superseven chiama Cairo”, “La chiamata del vampiro”, “Qualcosa striscia nel buio”, “Le regine”, “Il castello dei morti vivi”, “Maciste contro il vampiro”, “Gorgo”, oltre a tutti i film del ciclo di Gamma Uno.
Tutto il cast italiano era accreditato con pseudonimi anglosassoni, per dare l’impressione che si trattasse di un film statunitense. Fra questi, oltre ai protagonisti del precedente episodio, segnaliamo Renato Baldini (“La morte bussa due volte”, “Sono Sartana, il vostro becchino”, “Anthar l’invincibile”, “L’arciere delle mille e una notte”), Wilbert Bradley (“Superseven chiama Cairo”, “Samoa, regina della giungla”) e Furio Meniconi (“Profondo rosso”, “Giù la testa”, “Lo chiamavano Tresette… giocava sempre col morto”, “Di Tresette ce n’è uno, tutti gli altri son nessuno”, “W Django”, “Gli fumavano le Colt… lo chiamavano Camposanto”, “L’arciere di fuoco”, “Il gigante di Metropolis”).
Negli Stati Uniti il film fu distribuito con i titoli “Devil Men from Space” e “Snow Devils”, mentre il titolo di lavorazione italiano era “I diavoli dello spazio”.
Edoardo Margheriti, figlio di Antonio, in merito alla lavorazione della pellicola racconta: “Questa volta, a differenza degli altri, una buona parte del film si svolge sulla Terra, in una base meteorologica tra i ghiacciai dell’Himalaya che viene attaccata e distrutta da forze aliene. Questi extraterrestri, gli Aytia, sono gigantesche creature animalesche, forse alla base delle molte leggende sugli Yeti. Poi il film prende la direzione degli altri, con viaggi spaziali e battaglie interplanetarie. Il tentativo di mutare le condizioni climatiche del nostro pianeta per adattarlo alla vita degli invasori, sarà un tema usato più volte in seguito nel cinema di fantascienza e una trama precognitiva di Antonio Margheriti sul futuro del pianeta, l’innalzamento della temperatura globale e il conseguente scioglimento dei ghiacci del polo, con le catastrofi naturali ad esso correlate, ormai non suona più fantascientifica”.
Il figlio Edoardo aggiunge poi: “Fra tutti e quattro i film della serie “Gamma Uno”, questo era quello che piaceva meno ad Antonio, infatti credo che buona parte delle riprese venne effettuata dall’immancabile collaboratore Ruggero Deodato, che all’epoca era il suo Aiuto Regista, mentre Antonio già si occupava di preparare un altro film”.