1.
«Accidenti! È stato un gran colpo di fortuna essere stati scelti tra tanti studenti per questo viaggio di studio. Sai chi sono gli altri due?» chiese Luca al collega, mentre montava in auto.
«Un futuro geologo e un antropologo. Abbinamenti oculati, non trovi?»
«Sembra l’inizio di una barzelletta: Un botanico, uno zoologo, un geologo e un antropologo entrano in un bar…Chissà come andrà a finire.»
Alessandro mise in moto e partirono verso il campo base di Su Gorrpu, un profondo canyon ubicato nel Supramonte Sardo.
Il grande sterrato, circostante la struttura che ospitava l’organizzazione per le gite nel canyon, aveva alcune Jeep parcheggiate, una moto e una Matiz tappezzata di adesivi. Uno dei responsabili attrezzava una delle vetture che avrebbe portato i ragazzi sul luogo di studio.
Parcheggiarono l’auto e scesero, una ragazza con una lunga treccia bionda, un poncho coloratissimo e jeans, gli si fece incontro.
«Ciao, siete i vincitori del viaggio?»
«Si, e tu saresti?» domandò Luca.
«Roberta, geologia» rispose allungando la mano per presentarsi.
«Quindi manca solo l’antropologo.»
«A dire il vero credo sia quel personaggio lassù, lo vedete? È arrampicato su quelle rocce» fece notare la ragazza indicando un punto lontano.
«Potrebbe essere, ma che diavolo ci fa li?» Dette queste parole Alessandro emise un energico fischio, che fu capace di attirare l’attenzione del presunto studente.
«Eccolo che arriva, ma come diavolo è vestito? Sembra un beduino!» esclamò la ragazza.
«Sarà uno studente straniero in erasmus…» ipotizzò Alessandro.
«Scusate,» li interruppe uno degli organizzatori, «il veicolo è pronto. L’attrezzatura da campeggio comprende: quattro elmetti protettivi, due tende, un fornelletto, diversi utensili e tegami, torce e batterie di ricambio, una lampada a gas e 6 confezioni d’acqua per un totale di 72 litri. Chi firma?» chiese porgendo una penna e un modulo su una cartelletta.
«Ci penso io» rispose Luca.
«Oh bene, due tende… Visto che voi siete evidentemente amici, credo che dovrò dividere la mia con il “beduino”» constatò Roberta.
«Magari sotto quel turbante e quella tunica si nasconde una ragazza, chissà.» Ma l’idea di Alessandro morì sul nascere quando una voce profonda e inequivocabilmente maschile, salutò. Il “beduino” li aveva raggiunti.
«Ciao, sono Mirco, studente di antropologia»
«Ciao, io sono Luca, botanica. Loro sono Alessandro, zoologia e Roberta…»
«Geologia, immagino», finì per lui Mirco. «Volevo comunque tranquillizzarti dicendoti che ho la mia tenda in auto» continuò rivolto a Roberta. Era chiaro che li aveva sentiti parlare di lui.
«Ne sono sollevata, niente di personale, ma non ti conosco nemmeno» rispose lei, nascondendo l’imbarazzo con un po’ di arroganza.
Mirco le sorrise. «Non preoccuparti, capisco benissimo. Neanche io ti conosco.»
Lo smacco emozionale, rivolto alla ragazza fece sorridere gli altri due, che rimasero ad osservare lo strano personaggio che si dirigeva verso la Matiz per prendere la sua attrezzatura. Intanto Roberta era avvampata, ma non disse nulla.
Finirono di attrezzare la Jeep, con i viveri e il materiale di ricerca e si misero in cammino. Luca alla guida, con accanto Roberta, sbirciava di tanto, in tanto, Mirco dallo specchietto retrovisore. Giunti nello sterrato, quasi all’imboccatura del canyon, scaricarono l’attrezzatura e dopo diversi viaggi iniziarono a montare il campo all’ingresso di una caverna, dove il pietrisco si era ormai sbriciolato riducendosi in sabbia calcarea.
Una volta sistemati rimasero a contemplare le alte pareti a strapiombo. Erano affascinati dalla potenza dell’erosione del fiume Flumineddu, che paziente e imperterrito era stato capace di scavare una delle gole più profonde d’Europa, e l’unica in Italia. Su Gorroppu vantava una specie erbacea, l’Aquilegia nuragica, capace di crescere esclusivamente in quel luogo, per non parlare del Taxus baccata e la Phillyrea latifolia, dell’età stimabile sui mille anni. Ma lo stupore più grande lo ebbero quando intercettarono una maestosa aquila reale raggiungere il nido abbarbicato in una delle pareti rocciose, era marzo inoltrato, con molta probabilità, si stava occupando di nutrire la sua compagna rimasta a covare le uova.
«È ancora presto, direi che possiamo dedicarci alla raccolta di qualche campione prima che faccia buio, siete d’accordo?» propose Alessandro.
Nessuno ebbe da ridire, e ognuno si dedicò alla propria attività, in religioso silenzio, quasi a non voler disturbare quell’antico luogo.
Distante dai colleghi Mirco armeggiava con dei sassi e pareva stesse costruendo qualcosa, tanto da attirare l’attenzione degli altri.
«Ma che sta combinando?» La domanda di Luca coinvolse tutti e lo raggiunsero per capire di cosa si stesse occupando.
Aveva disposto le pietre a spirale, in un cerchio del diametro di circa tre metri, iniziando dall’esterno con quelle più grosse, per finire con quelle interne a scalare. L’ultima al centro, non era più grande di un pugno, ma la cosa strana fu ciò che il ragazzo aveva disposto proprio su quella pietra. Da una piccola ciotola in ferro, saliva un filo di fumo da un pezzetto d’incenso e tutto intorno alla ciotola aveva disposto delle pietre di lapislazzuli e quarzo rosa, alternandoli. Quando Mirco percorse la spirale verso l’esterno per uscire dal cerchio Roberta sconcertata intervenne: «Ma che diavolo stai combinando?»
«Non si possono scavalcare le pietre, la spirale perderebbe il suo potere. Non conoscete le leggende legate a questo posto? Evidentemente no. Ma io sono qui proprio per rivivere le leggende dei nostri antenati. Ho un’idea a tal proposito e sarà l’argomento principale della mia tesi, se vi fa piacere ve ne parlerò a cena» propose.
«Sembra interessante, ti ascolterò con piacere» concordò Alessandro, mentre Luca e Roberta restarono diffidenti, anche se curiosi.
Ognuno tornò alle proprie faccende, fino al tramonto.
«Credo che andrò a dormire, sono molto stanca» annunciò Roberta, stiracchiandosi.
«Sai che non è salutare andare a dormire subito dopo mangiato, vero? E poi ti perderesti la storia di Mirco» le fece notare Alessandro.
«Non mi hanno mai appassionato le leggende, e comunque non è che la tenda abbia pareti spesse, lo sentirò comunque.»
Appena Roberta si fu ritirata Mirco prese dalla piccola tracolla, che teneva sotto la tunica, una pipa e una bustina di boccioli di marijuana. Caricata la pipa la accese con una profonda boccata e la porse ad Alessandro, che rifiutò ringraziandolo.
«Io un tiro lo faccio volentieri» disse Luca.
«Sono curioso, inizialmente abbiamo pensato fossi uno studente straniero venuto da noi in erasmus, ma è evidente che sei sardo, dunque perché questo particolare abbigliamento, passi la tunica ma anche il turbante…» volle sapere Alessandro.
«Questo interessa anche me» fece sapere Roberta, dalla tenda.
«Non è un turbante, ma un tagelmust il copricapo dei Tuareg. Ho passato sei mesi con loro nel deserto del Sahara. Una bellissima e ricca esperienza e mi sono affezionato al loro modo di vestire, niente di più.»
«Cosa rappresenta la spirale di sassi che hai fatto?» chiese Luca passandogli la pipa.
«È un dono per “Sa mama de su Gorroppu”»
«La mamma del Gorroppu? Mai sentito di questo personaggio, sapevo dei Drullios i demoni che si presentano durante i temporali, ma di una madre, nulla» disse Alessandro.
«In effetti si sa veramente poco su di lei e secondo le mie ricerche è strettamente legato ai demoni, che sono suoi figli. La spirale dovrebbe ingannare la “Madre” che attratta dai doni sulla pietra centrale, resterà imprigionata all’interno, evitando così che chiami i suoi figli con un temporale. Se funziona resteremo al sicuro.»
«Che scemenza!» esclamò Roberta dalla tenda.
Luca ridacchiò, mentre Alessandro pareva interessato al racconto di Mirco, «Fammi capire, cosa dovresti studiare durante questo ritiro.»
«Sarà l’argomento principale della mia tesi, ribadì. Rimasi affascinato da questo luogo, tanto tempo fa, quando facemmo un’escursione con la mia famiglia. Avevo appena undici anni, e avvertii una strana sensazione, ero sicuro che qualcuno ci osservasse dalle crepe, dalle grotte, dalle rocce più grandi. Sin da allora ho iniziato a fare ricerche, rivedendo a ritroso la storia del canyon, fino a quando i documenti me lo hanno permesso. Credo di aver finalmente finito.»
«Che cosa hai scoperto?» chiese Luca.
«Il canyon è stato rifugio per i banditi, che riuscivano a far perdere le loro tracce tra cunicoli e la vegetazione, ma circa un anno fa mi sono imbattuto in una cartelletta datata 1712, che conteneva un vecchio e logoro documento, da cui ho appreso che il canyon offriva rifugio anche a emarginati e storpi. Ho trovato anche una lettera indirizzata al vescovo Isidoro Masones y Nin, trasferitosi da Cagliari, nella sede arcivescovile di Ales nel 1711. Chi ha scritto la lettera era sicuramente una donna di nobili origini, vista la cultura e il fatto stesso di avere la capacità di leggere e scrivere, che a quei tempi non era da tutti.»
«Un documento davvero interessante Mirco, ma cosa diceva? Cosa aveva a che fare una nobil donna con un posto come questo?»
«La donna, di nome Dolores, il resto della firma era illeggibile, aveva avuto una figlia con una malformazione al labbro superiore, fu tenuta nascosta fino all’età di quindici anni, momento in cui si presentò nella sala principale durante un banchetto. Gli ospiti inorriditi misero in imbarazzo i suoi genitori, il padre indignato bandì sua figlia dalla propria casa. In alcune parti l’inchiostro si è talmente sbiadito che è stato difficile capire tutto, ma sembra che la ragazza fosse stata presa sotto l’ala di una “Bruxia”, un strega, che viveva nelle grotte del canyon con altri reietti, e iniziata alle arti oscure.»
«“Sa mama de su Gorroppu” era questa strega?» chiese Alessandro.
«No, credo che fosse la ragazza. A quanto pare fu violentata più volte e dai molteplici stupri, nacquero diversi figli. Molti morirono in tenera età, visto il luogo in cui vivevano, ma altri sopravvissero, almeno fino a quando Donna Dolores non ordinò la strage, per cui chiedeva perdono a Dio effettuando cospicue donazioni, di cui ho trovato l’elenco, al Vescovo Isidoro.»
«Ha fatto uccidere i suoi nipoti?» volle sapere Roberta, che si era appassionata alla storia, ma che restava oltre il nylon della tenda.
«Qui la storia si confonde con la leggenda, pare che in una notte tempestosa, Donna Dolores abbia assoldato dei briganti per uccidere sua figlia e la sua progenie dannata, questo perché la loro esistenza stava rovinando la reputazione del buon nome della famiglia. Prima di morire la ragazza lanciò un terribile anatema sul canyon, e la mattina successiva furono trovati tutti morti, compresi i briganti assoldati da Donna Dolores, come se una pestilenza si fosse abbattuta sulla misera comunità che occupava questo posto.»
Cadde il silenzio.
«Credi davvero che tutto questo sia davvero accaduto?» domandò Luca.
«Ne sono certo, ma hai ragione, dei vecchi documenti ingialliti non possono provare l’esistenza di questa comunità.»
«Quindi la tua tesi si basa solo su ipotetiche credenze personali e leggende, giusto?» intervenne Alessandro.
«C’è anche questa» aggiunse Mirco mostrando una logora mappa ingiallita, che teneva ripiegata con cura nella tracolla.
«Come l’hai avuta? No, l’hai sottratta all’archivio?» chiese sbigottito Alessandro.
Roberta non seppe resistere e con un secco gesto aprì la zip della tenda, sporgendosi per vedere di cosa i ragazzi stessero parlando. «Avrai dei guai per questo, lo sai vero?»
«No, se nessuno ne parla. Credetemi nessuno ricorda l’esistenza di questi documenti. Anch’io li ho trovati per puro caso. Erano riposti tra centinaia di cartelle impolverate e dimenticate.»
«Non capisco, cosa dovrebbe indicare questa mappa?» disse la ragazza, che aveva preso posto accanto a Mirco.
«Ma come, non vedete? È la mappa del canyon. La cosa che mi interessa maggiormente è questo sentiero, che nelle attuali mappe non viene descritto. Sono sicuro che porta al villaggio dei “reietti”.»
«Credi di essere un archeologo?» Alessandro rise.
«Io lo troverò, e una volta accertato che si tratti realmente del villaggio, riporrò la mappa dove l’ho trovata e allora si, la fama sarà mia! Mica male come inizio della carriera, no?»
I tre ragazzi lo guardarono scettici, se ci fosse stato un villaggio, lo avrebbero già trovato.
«Bella storia, auguri. Io me ne vado a dormire» disse Roberta rientrando nella tenda.
«Si, davvero una bella storia. Vado a dormire anche io» li informò Luca, Alessandro lo seguì.
Mirco rimase seduto sulla roccia ad osservare entusiasta la mappa che teneva in mano, alla luce della lampada a gas. Fu proprio spostandola in contro luce sulla lampada che si accorse di un altro disegno che si sovrapponeva all’originale. Seguiva quasi perfettamente la mappa segnando dirupi, grotte e spuntoni, molti dei quali erano ormai crollati sotto la furia degli agenti atmosferici. Ma sulla parete calcarea di fronte a quella con il sentiero, era evidente un nuovo percorso che conduceva all’ingresso di una grotta non presente sul primo disegno. Era una scoperta a dir poco fenomenale! Si alzò per cercare di orientarsi con i nuovi indizi, ma nonostante la potente torcia, il buio che avvolgeva Su Gorroppu era talmente denso che gli fu impossibile. Non avrebbe potuto fare nulla prima dell’alba. Si infilò nella tenda e si costrinse a rilassarsi, presto avrebbe potuto dare risposta alle sue tante domande su quel luogo magico e, a dispetto di quanto si credesse, inesplorato.
Stava appena albeggiando quando Roberta fu presa da un impellente bisogno di urinare. Aprì piano la zip, per non svegliare gli altri e non doversi trovare a cercare un posto troppo lontano per doversi nascondere dai ragazzi. L’umidità della notte aveva infradiciato le sue scarpe da trekking, le mise ugualmente. Il canyon era sprofondato in un sinistro silenzio, perfino i suoi passi erano ovattai. Raggiunse una roccia non molto distante dal campo e si accovacciò per esplicare i suoi bisogni. Di ritorno, si accorse che la sua tenda non era più al suo posto, ma era spostata di almeno dieci metri dal campo e posizionata sul pietrisco.
«Ma che stronzi!» esclamò.
Raggiunse il bivacco e con fare stizzito si rivolse ai ragazzi ancora in tenda: «Molto spiritosi, davvero. Chi è stato il deficiente?»
Le zip delle altre tende si aprirono quasi simultaneamente, mentre si affacciavano le teste dei ragazzi ancora assonnati.
«Ma di cosa stai parlando?» chiese evidentemente ignaro Alessandro.
«Di quella» rispose la ragazza indicando la sua tenda.
«Non capisco, ma perché l’hai spostata laggiù?» domandò Luca, sfregandosi il viso con una mano, per cancellare il sonno che ancora gli si aggrappava a tutto il corpo.
«Non sono di certo stata io! Presumo che lo scherzetto sia opera tua Mirco» lo accusò sicura.
«Io? E per quale motivo avrei dovuto fare una cosa simile?»
«Ho capito, si è spostata da sola. Cretini!»
Stizzita raggiunse la tenda ma si rese subito conto che non avrebbe potuto spostarla, il peso di ciò che conteneva lo rendeva impossibile, quindi era chiaro che due di loro erano i colpevoli, infatti l’interno della tenda era come l’aveva lasciato: il sacco a pelo al centro, lo zaino infondo a sinistra e la borsa con l’attrezzatura in fondo a destra. Se fosse stata trascinata sarebbe stato tutto in disordine e accatastato da una parte. Sempre più indignata svuotò la tenda e si accinse a ripristinare la sua posizione intorno al bivacco, mentre i ragazzi la guardavano tra il divertito e lo stranito.
«Vuoi una mano?» chiese Mirco.
«No grazie, faccio da sola. Guardatevi le spalle » aggiunse con fare ironico. In qualche modo avrebbe reso loro lo scherzo.
Nessuno disse altro, era evidente che il colpevole o i colpevoli non volessero rivelarsi.
Mirco era impaziente di scoprire il nuovo percorso, ma quando riprese la mappa non era più in grado di vedere la sovrapposizione dei disegni. Si infilò nella tenda e si coprì col sacco a pelo per ricreare il buio, mentre con la torcia illuminava il retro della mappa.
«Non è possibile!» esclamò quasi con rabbia.
Luca si sporse all’interno. «Ma che stai facendo?»
Mirco si scoprì. «Ieri notte, mettendo in controluce la mappa si vedeva un altro percorso… non capisco, ora non c’è più…»
«Ti sarai sbagliato» concluse l’altro.
Ma era certo di ciò che aveva visto e fidandosi del proprio ricordo, raggiunse il centro del canyon per concretizzarlo.
Ricordava che il nuovo sentiero era a specchio rispetto a quello sulla mappa, decise che avrebbe iniziato un sopralluogo per cercare indizi. Fu mentre si dirigeva ai piedi del dirupo che si accorse che qualcosa era cambiato al centro della spirale che aveva costruito il giorno prima. Affrettò il passo per raggiungerla e notò che tutto il quarzo rosa era sparito. Pensò a una rivalsa di Roberta per lo scherzo subito e non ci diede peso. Se ne sarebbe occupato più tardi.
Passò l’intera mattinata a perlustrare il lato sud-ovest senza trovare niente, era avvilito. Possibile che fosse stato solo nella sua immaginazione?
«Che ne pensate di Mirco?» chiese Roberta agli altri, mentre osservava il ragazzo arrampicarsi su per una rupe.
«Strano è strano…» ammise Luca.
«Credete che se davvero ci fosse stato un villaggio, non avrebbero già trovato i resti? Si sta aggrappando ad una fantasia, a mio parere» sentenziò Alessandro.
«Per quanto mi riguarda può fare e cercare ciò che vuole, basta che non vada fuori di testa» asserì un po’ preoccupata la ragazza.
«Non credo sia pericoloso, ha le sue convinzioni, dovrà solo fare i conti con la delusione. Muoio di sete, torno al campo» disse Luca, già incamminandosi.
«Puoi portarmi un nuovo raccoglitore, dal borsone nero nella mia tenda? Questo ormai è pieno» chiese Roberta mostrando quello che teneva in mano, dove ogni scomparto era occupato da un pezzo di calcare o pietra, con caratteristiche differenti.
«Certo.»
Intanto Mirco li aveva raggiunti.
«Che muso lungo, tutto ok?» si informò Alessandro.
«Sono sconcertato, non capisco. È incredibile che abbia immaginato di vedere quei nuovi segni sulla mappa» rispose togliendosi il tagelmust dalla testa, che ripiegò diverse volte e che posò su una grossa pietra.
«Ehi, ragazzi!» chiamò dal campo Luca, «Venite a dare un’occhiata!»
Gli altri lo raggiunsero curiosi.
«Che c’è?» domandò per tutti Mirco.
Luca non rispose, ma indicò il lato sinistro della sua tenda, il nylon era strappato.
«E questo? Sei stato tu?» chiese Alessandro.
«Ma non dire cretinate! Secondo te mi metto a strappare la tenda? L’ho trovata così.»
«Hai controllato che tutto sia in ordine? Magari qualche ladruncolo cercava qualcosa di appetibile?» suppose Mirco.
«L’ho pensato anche io è per questo che vi ho chiamati, evidentemente non siamo soli. Comunque, a parte lo squarcio, sembra tutto in ordine.»
Anche Mirco e Roberta controllarono i loro effetti e soprattutto alcune attrezzature prese in prestito dall’università, ma ogni cosa si trovava al proprio posto.
«Senti Roberta, hai preso tu i quarzi che avevo messo nella spirale di sassi?»
«Oh cielo! E perché avrei dovuto farlo?»
Mirco le credette, poi si rivolse agli altri, «Siete stati voi a spostare la tenda di Roberta? Perché io non sono stato.»
«No, assolutamente no!» rispose Alessandro per entrambi.
«E allora direi che decisamente non siamo soli. Guardiamoci le spalle e occhi aperti.»
«Non possiamo portarci dietro il campo ogni volta che ci spostiamo, sarebbe meglio che a turno uno di noi restasse qui. Che ne pensate?» propose Luca.
«Si, sono d’accordo. Sicuramente si tratta di una banda di ragazzini annoiati. Magari hanno bisogno di una lezione!» esclamò a voce alta Alessandro, per farsi udire da coloro che probabilmente, ben nascosti si godevano la scena.
«Io avviso il campo base di questo atto vandalico, visto che è stato danneggiato un loro bene, non voglio responsabilità.»
«Luca, credi davvero che non si facciano ripagare da te?» chiese Mirco.
«Spero proprio di no» disse prendendo il cellulare dai jeans. Inviò il numero e restò in attesa.
Intanto il resto del gruppo controllava anche i viveri e l’equipaggiamento con più minuzia.
Luca li raggiunse, dopo aver chiuso la comunicazione con la base.
«Dicono che manderanno qualcuno per una perlustrazione. A sentire loro non è mai capitato nulla di simile, c’è da non crederci!»
Consumarono un fugace pasto, nell’attesa della squadra di ricognizione, che arrivò non molto tempo dopo.
Li videro sparpagliarsi lungo i sentieri, di varie difficoltà. Alcuni partendo dal basso e altri calarsi dall’alto.
«Però, che organizzazione, non lo avrei mai detto» dichiarò Alessandro.
Sette uomini e una donna, ispezionarono ogni centimetro del canyon, questo diede più sicurezza all’equipe universitaria.
«Buonasera,» salutò uno degli organizzatori, «mi dispiace che abbiate dovuto subire questo gesto riprovevole, sono senza parole, ma come vi ho già accennato al telefono, non è mai successo niente di simile. Comunque, chiunque sia stato, non si trova più qui. Probabilmente sarà stato qualche buontempone in gita, che si è divertito a prendervi in giro.»
«Ecco un’altra tenda in sostituzione a quella danneggiata» disse un altro porgendo una sacca blu, Luca la prese e ringraziarono.
Rimasti soli e rincuorati dall’accurato sopralluogo effettuato dalla pattuglia, non si diedero altro pensiero. Avrebbero dovuto trascorrere altre notti in quel canyon e sapere di avere l’attenzione di una squadra di soccorso era cosa buona.
Intanto il sole si era già nascosto oltre l’alta cresta e la gola era già in ombra, per di più, a oscurare quelle ore serali, contribuì anche un solitario nuvolone che parve fermarsi proprio sopra di loro.
«E ma che sfiga, spero non si metta a piovere!» esclamò Roberta guardando il cielo.
«Dovremo spostare il campo in quella grotta,» propose Luca, «e non sarebbe male raccogliere un po’ di legna per la notte, nel caso la temperatura si dovesse abbassare, che ne dite?»
«Accidenti, mezza giornata sprecata!» Esclamò stizzito Mirco. Se non fosse riuscito a trovare quel che cercava si sarebbe trattenuto da solo, qualche altro giorno.
I ragazzi smontarono il campo trasferendosi in un’ampia grotta poco profonda. Il terreno non era accogliente e si ritrovarono a dover spostare rocce e pietrisco, almeno sulla parte destinata ad accogliere il sacco a pelo.
«Ragazzi, se preparate anche il mio giaciglio e spostate la tenda, io andrei a cercare un po di legna, come proposto da Luca» si offrì Roberta.
«Si, vai. Se dovesse piovere la legna bagnata farebbe solo fumo. Tra non molto ti raggiungo» le promise Mirco.
L’idea di spostare il campo e raccogliere la legna fu saggia, visto che nella gola iniziava a echeggiare il brontolio dei tuoni provenienti dalle nuvole plumbee che addensandosi, fecero sprofondare la zona circostante, in un buio assoluto e quasi innaturale.
Il fracasso del temporale e dei tuoni, che sembrava volesse spaccare la terra, era assordante e terrificante. I ragazzi rimasero in silenzio, stretti intorno al fuoco. Dopo una buona mezz’ora che sembrò non avere fine, la pioggia cessò e il brontolio dei tuoni iniziò ad allontanarsi dal canyon.
«Grazie a Dio è finito» sospirò sollevato Alessandro.
«Che diceva la leggenda a proposito dei temporali, in questa gola?» chiese ironicamente Roberta a Mirco.
«Non dimenticare i doni nella spirale che ha costruito per la “Mama” il nostro antropologo, siamo al sicuro!» esclamò con scherno Luca.
«Spiritoso, molto spiritoso» disse Mirco.
Risero, ora che il temporale era passato erano più rilassati. Alessandro rinvigorì il fuoco, buttando tra le braci altri due ciocchi di legna e un grosso pezzo di radice.
Luca apriva una scatola di fagioli e della carne in scatola e si apprestava a versarne il contenuto in un tegame che poi avrebbe messo sul fornelletto.
«Gradite? Ne aggiungo se volete» chiese agli altri.
«Sembra un miscuglio interessante, per me va bene» accettò Alessandro. Anche Mirco approvò, intanto spiegava la mappa, nella speranza che il percorso fantasma ricomparisse.
«No, grazie. Credo che andrò avanti a tonno e pomodoro» decretò Roberta, che guardava con aria schifata la poltiglia che si stava creando, mentre la gelatina della carne si scioglieva.
«Avevo ragione, non lo avevo immaginato! Guardate qui» s’intromise Mirco, mostrando la carta, disposta sulla luce del fuoco.
Gli altri si avvicinarono curiosi della strana, ma interessante, scoperta.
«Qualcuno di voi ha una matita?» chiese ai colleghi.
«Si, aspetta…» rispose Luca infilandosi nella tenda.
Tracciò il nuovo percorso misterioso, con tratto leggero per non segnare la carta, una volta che avesse cancellato.
«Credevo di avere le allucinazioni, evidentemente questo strano inchiostro reagisce col calore della fiamma» suppose Alessandro.
«Sarebbe interessante analizzarlo.»
«Abbi pazienza Roberta, una volta scoperto il “villaggio dei reietti”, faremo in modo di analizzare anche quello, ma fino ad allora la mappa deve restare intonsa» disse Mirco, rimirando la carta tra le mani.
«Credi davvero di trovare qualcosa?» gli domandò Luca.
«Ne sono certo!»
Si apprestarono a consumare il cibo preparato da Luca, mentre Roberta, mangiava il suo tonno al naturale direttamente dalla latta.
«Devo dare adito alla tua ipotesi Mirco. Questo nuovo percorso è certamente interessante, o non si sarebbero presi la briga di renderlo invisibile. Vale la pena tentare di seguirlo» concordò Luca.
«Che sia interessante non lo metto in dubbio, ma potrebbe trattarsi di un qualsiasi percorso, magari un deposito d’armi dei banditi , o un nascondiglio per la refurtiva , e se così fosse non troveremo più nulla» sostenne sicuro Alessandro.
«Che fai ti aggreghi? Troveremo?» scherzò Roberta, «Non eri tu che asserivi che se ci fosse stato un villaggio, la miriade di escursionisti che hanno battuto questo canyon, lo avrebbero trovato?» Gli ricordò.
«Si può sempre cambiare idea, no?»
«Se vi va di aiutarmi nella ricerca, io non ho nulla in contrario» propose Mirco.
«Non mi dispiacerebbe darti una mano, ma posso dedicarti solo la mattina di domani, devo pensare alle mie ricerche, se poi la tua dovesse rivelarsi un fallimento, senza offesa, io rimarrei con un pugno di mosche. D’accordo?» propose Alessandro.
«Mi aggrego, con le stesse condizioni di Alessandro. Sei occhi sono meglio di quattro. Sei dei nostri?» chiese Luca, rivolto alla ragazza.
«Voi siete fuori! No, grazie mi astengo. Prometto di non prendervi in giro quando la vostra ricerca si rivelerà inutile.»
Si trattennero in chiacchiere su ipotetici ritrovamenti di chissà quali tesori, fino a quando, uno dopo l’altro, si ritirarono nella propria tenda.
Nel buio della grotta brillava ancora la brace dei legni ormai consumati. Un silenzio inconsueto avvolgeva il canyon, mentre all’interno della grotta, si alzava dal suolo pietroso una bruma innaturale, che nel giro di pochi minuti avvolse le tende dove i ragazzi dormivano, ignari del misterioso fenomeno. Non si accorsero di quando la strana nebbia si infiltrava, dal nylon, all’interno delle tende; non si accorsero di quando, in fili sottili si infilava leggera negli orifizi di naso e orecchie. Si trattenne nei loro corpi, nella loro testa per un periodo indefinito, periodo in cui nei meandri delle loro menti si materializzavano sogni inquieti e sinistri. La nebbia misteriosa si dissolse col sorgere del sole, abbandonando lentamente e come era entrata, anche i corpi dei ragazzi.
«Cristo Santo! Che schifo!» esclamò Roberta catapultandosi fuori dalla tenda.
«Che succede?» chiese qualcuno, mentre aprivano le zip della loro tenda.
Roberta era terrorizzata e continuava a passarsi i palmi delle mani sul viso come a volersi levare dalla faccia qualcosa di repellente, «Nella tenda c’è una donna schifosa, mi stava leccando la faccia! Oh Dio, oh Dio, che schifo.» Tremava e si puliva spasmodicamente il viso.
Mirco fu il primo a raggiungere la tenda della ragazza e guardingo sollevò un lembo dell’ingresso, per guardarci dentro.
«Ma che dici, qui non c’è nessuno» la tranquillizzò.
«Dai calmati, è stato solo un brutto sogno» le disse fraterno Luca, mentre la stava per cingere con il braccio per rassicurarla, ma lei si scansò incredula.
Raggiunse la propria tenda chinandosi accanto a Mirco. Quando vide che era vuota si lasciò andare ad un pianto nervoso. «Era reale, vi giuro… mi ha svegliato la sua lunga lingua sulla guancia. Ho davanti ancora quel viso grinzoso, i suoi occhi grigi e acquosi mi guardavano mentre mi sorrideva con quei denti marci…» rabbrividì.
Mirco entrò nella tenda, «Guarda è tutto ok, cerca di calmarti.»
Tirò dentro il sacco a pelo della ragazza che nella fuga aveva tirato fuori, e lo rimise al suo posto, fu allora che si accorse di uno dei quarzi che aveva disposto nella spirale. Il minerale giaceva sulla plastica azzurra, accanto allo zaino.
«E questo? Mi avevi detto che non li avevi presi tu» volle sapere Mirco, mentre le mostrava il piccolo quarzo nella mano.
Roberta glielo prese e dopo averlo guardato per un istante si rivolse, ancora più spaventata al ragazzo.
«Non sono stata io! Non mi sono mai avvicinata alla tua spirale, se non quando eravamo tutti insieme.»
«E allora che ci fa nella tua tenda?» le chiese, ma senza aggredirla, era chiaro che la ragazza fosse realmente turbata.
«Io… non lo so» dichiarò.
«Ci sarà pure una spiegazione logica, non facciamoci prendere da irrazionalità pericolose. Preparo il caffè, vedrete che poi staremo meglio» disse Alessandro cercando di smorzare l’aria tesa del momento, con qualcosa di normale.
«Sei cosciente che non poteva esserci nessuno? Non avrebbe avuto il tempo di scappare, noi siamo usciti appena hai gridato. Se ci fosse stato qualcuno, lo avremmo visto, non ti pare?» Chiese Luca, rivolto a Roberta, che cercava di ricomporsi asciugandosi il viso dalle lacrime.
«Si, avete ragione. Non può essere stato che un brutto, bruttissimo sogno» ammise.
«E a proposito di sogni, non sono stati belli neppure i miei. Non ricordo esattamente quali fossero, ma ho ancora una strana sensazione di inquietudine addosso» rivelò Luca.
«Io ho dormito come un bambino» affermò Alessandro.
«Saranno stati i discorsi, sul villaggio fantasma, di ieri notte» ipotizzò Mirco, senza svelare che anche lui aveva avuto un terribile incubo che li vedeva tutti morti. Non voleva creare ulteriore ansia, per un stupido sogno.
Ben presto la caffettiera sul fornelletto iniziò a brontolare e l’aria si riempì dell’aroma rassicurante della bevanda.
Mirco aiutò Alessandro a passare i bicchieri di plastica con il caffè agli altri, poi uscirono insieme dalla grotta a godere del tepore del sole di quel nuovo giorno.
«Avanti ragazzi, non facciamoci condizionare dalle brutte esperienze di ieri. È una giornata stupenda» esordì Mirco.
«In effetti questa avventura non ha avuto un buon inizio,la giornata di ieri è stata abbastanza inconsueta, direi» proseguì Alessandro.
«Sono d’accordo, oggi è un altro giorno e abbiamo un percorso da trovare. Ogni promessa è debito! » esclamò Luca con rinnovato ottimismo.
«Ragazzi vorrei venire con voi. Non mi sento di restare da sola, sarà anche un nuovo giorno, ma io sono ancora scossa.»
«Ma certo» acconsentì Mirco.
«Piuttosto, ci fidiamo a lasciare il campo incustodito?»
La preoccupazione di Luca era fondata, gli intrusi del giorno prima sarebbero potuti tornare.
«Possiamo lasciare un cellulare con la telecamera accesa, che controlleremo ogni tanto» propose Alessandro, «Potremo nasconderlo qui tra queste due pietre e camuffarlo con qualche ramo di ginepro.»
«In effetti non è una cattiva idea e da questo punto si riprendono bene tutte le tende»
Si trovarono d’accordo e dopo aver sistemato il cellulare si avviarono verso il nuovo presunto sentiero.
Trovare il principio non si rivelò difficile, visto che si trovava giusto tra due pareti che creavano una crepa, come un profondo calanco, ancora presente nella roccia calcarea. Di certo adesso sarà stata più larga rispetto al periodo in cui era stato disegnata la mappa, ma con certezza si trattava dello stesso posto.
Salirono arrampicandosi per il sentiero, che risultò piuttosto impervio e pieno di ostacoli, nel tempo, nuovi arbusti e frane avevano cambiato il paesaggio. Arrivati a circa un terzo del percorso, si resero conto di avere dinnanzi una enorme frana che ostruiva totalmente il passaggio.
«Accidenti, non ci voleva!» esclamò pieno di sconforto Mirco, «Per di più non sarà possibile neppure raggirarlo,le pareti sono troppo ripide…»
«Qualcosa non torna, guardate bene, anche se non ci fossero questi detriti, non avremmo potuto proseguire, la crepa è chiusa, significa che dietro le rocce franate si trova la parete del canyon» fece notare Roberta.
«Non ha senso…» borbottava tra se Mirco, mentre ricontrollava la mappa.
«Forse abbiamo sbagliato, magari in quel periodo si trovavano altre crepe simili che ora non ci sono più» ipotizzò Luca
«O semplicemente questa mappa è solo cartaccia, dannazione!» sbottò il futuro antropologo.
Intanto Roberta osservava interessata, alcune delle rocce incastrate nella frana.
«Questo è veramente interessante… Non avevo mai visto nulla di simile davvero.»
«Cosa hai trovato?» le chiese Luca avvicinandosi.
«Guarda qui, riesci a vederli? Nel calcare ci sono degli strani cristalli arancioni. Sono molto piccoli, ma sembra che verso la parte incastrata con quest’altra roccia, siano più grandi» gli fece notare la ragazza.
«Almeno la fatica è valsa a qualcosa» disse Mirco avvilito, mentre iniziava la discesa.
«Devo prendere i miei attrezzi, voglio liberare questa roccia per poterla osservare con gli strumenti che ho portato.»
La discesa fu più veloce e nel giro di dieci minuti erano tornati al campo. Roberta non perse tempo e indossò la cintura sulla quale erano inseriti vari martelletti e scalpelli e ritornò a prelevare i campioni che le servivano.
Mirco seduto su una roccia stava riempiendo la sua pipa di boccioli di marijuana.
«Dai non prendertela, magari nel pomeriggio ci facciamo un giro per osservare meglio la zona» gli disse benevolo Luca, ma lui non rispose.
Doveva mandar giù un amaro boccone, sarebbe ritornato da quel viaggio con un pugno di mosche, ma forse Luca aveva ragione. Non si sarebbe arreso, avrebbe cercato ancora.
Passarono la mattina ognuno per se, il mormorio della natura e il gorgoglio di qualche ruscelletto che si gettava nei piccoli bacini d’acqua cristallini, faceva da colonna sonora a quel maestoso paesaggio. Di tanto in tanto echeggiavano nel canyon i rintocchi del martelletto usato da Roberta.
Ad un tratto un energico fischio emesso proprio dalla ragazza attirò l’attenzione degli altri. La vedevano sbracciarsi e sentivano che urlava qualcosa, ma non riuscivano a capire, fino a quando spazientita decise di ridiscendere il pendio per raggiungerli. Intanto i ragazzi le andarono incontro.
«Mirco, il percorso non si ferma!» urlava.
Non riuscivano a capire di cosa stesse parlando. Finalmente furono insieme.
«Che stai dicendo?» chiese Mirco.
«Sto dicendo che il percorso non si ferma, ho smantellato la roccia che mi serviva e quando è venuta via si è aperta una fessura dalla quale proveniva una forte corrente. Dietro la frana c’è l’ingresso di una grotta e deve essere molto grande. Non so se vada in verticale o scenda verso il basso è troppo buio e l’apertura è veramente ridotta, ma se mi date una mano riusciremo a liberare un passaggio prima di sera!» esclamò raggiante.
Una rinnovata speranza riaccese gli animi.
Radunarono tutti gli attrezzi che avevano e che potevano essergli utili, tra cui un piccone che Luca aveva portato con se, per sradicare eventuali arbusti dalla radice, ma che aveva lasciato in macchina. Nel giro di mezz’ora erano pronti ad abbattere la parete di sassi.
«Bene direi che prima di dedicarci agli scavi, dovremo mangiare qualcosa, eviteremo di fermarci. Tutti d’accordo?» propose Roberta.
Fu un pasto a dir poco veloce, tutti erano curiosi di vedere dietro la frana. Raggiunsero il posto ed iniziarono a demolire il pietrisco e la terra che teneva uniti i sassi più grandi. Lavorarono ininterrottamente per più di due ore e, finalmente alcuni sassi iniziavano a cedere.
«State indietro, provo a dare un colpo di picco e speriamo che non mi crolli tutto addosso…»
Mirco attese che gli altri si fossero allontanati e caricò un colpo che andò a infrangersi tra due sassi dove rimase incastrato.
Il ragazzo non si arrese e stanco del lavoro di disgaggio che andava così a rilento, fece leva con l’attrezzo, tra i sassi che cedettero rumorosamente cadendo verso l’interno della caverna. Uno spazio troppo piccolo per poterci passare, ma sufficiente per dare un’occhiata all’interno.
Un frullare d’ali, proveniente dall’interno li mise in allarme.
«Tranquilli ragazzi, sicuramente si tratta di una colonia di pipistrelli e se sono li, deve esserci qualche apertura dalla quale possono uscire e rientrare» li informò Alessandro.
Mirco, raccolse la torcia che aveva posato vicino ai vari attrezzi, portati su per i lavori, e si avvicinò con la testa all’apertura, indietreggiando immediatamente disgustato da un puzzo fortissimo proveniente dall’apertura.
«Non puoi farci niente, amico,» rise Alessandro, «si tratta del guano, feci e urine delle piccole creature della notte e credo che ce ne sia un bel po’.»
Mirco prese un profondo respiro e introdusse il braccio con la torcia accesa e la testa tra le pietre. L’antro si rivelò nella sua grandezza, le pareti erano molto alte, e infondo si scorgeva un cunicolo largo e alto abbastanza da poterci entrare con un caravan. Il fetore sprigionato dal guano, gli faceva lacrimare gli occhi e fu costretto a ritrarsi.
«È grande ragazzi, è veramente grande e la cosa più interessante è il fatto che sembra che continui. Nella parete opposta c’è una specie di tunnel, magari il percorso per il villaggio dei reietti è sotterraneo!» esclamò con rinnovata speranza Mirco.
Roberta prese coraggio e si avvicinò all’apertura infilò il braccio con il cellulare e iniziò a fare una serie di fotografie dell’interno, puntando la fotocamera in direzioni diverse.
«Sapevate che le proprietà acide del guano e del calcare interagiscono creando diversi tipi di minerali fosfatici?» li informò Roberta, mentre scorreva velocemente le nuove immagini sul display.
«Avanti ragazzi, cerchiamo di buttare giù qualche altra pietra, giusto lo stretto indispensabile per poterci entrare» li esortò Mirco.
«Non offenderti, ma io vorrei raccogliere qualche campione prima che faccia buio» disse Luca, con un sorriso.
«Io devo analizzare i campioni di minerale che ho trovato, ma ti farò compagnia una volta che avrai abbattuto l’ingresso.» Roberta era veramente interessata all’interno di quella caverna, forse avrebbe potuto dare una spiegazione ai minerali che aveva trovato e di cui non conosceva assolutamente niente. Poteva essere una scoperta eccezionale.
«Alessandro?»
Il ragazzo non rispose ma gli rivolse un sorriso di circostanza sollevando le spalle, anche lui aveva da lavorare e la giornata volgeva al termine, erano già le 17:00 passate e alle 18:15 sarebbe tramontato il sole.
«Va bene ragazzi, posso capire. Continuerò da solo.»
Quando si riunirono tutti intorno al bivacco, Mirco era riuscito a levare solo un’altra pietra, in orizzontale, un’apertura non sufficiente per poter penetrare all’interno.
«Allora, a che punto sei?» chiese Roberta.
«Dovrò lavorarci parecchio, ma credo che entro il pomeriggio di domani potremo entrare.»
«Ne sono contenta. Ho osservato accuratamente il minerale con il polariscopio, il rifrattometro e il dicroscopio…»
«Piano, piano! Sei cosciente che per noi stai parlando arabo, si?» la interruppe Alessandro.
«Scusate ragazzi, sono i miei strumenti per analizzare i vari minerali e questo nuovo ha delle caratteristiche eccezionali e sconosciute. Ho inviato al professore le foto e i risultati, spero mi risponda presto.»
«A quanto pare per due di noi, questo viaggio si sta rivelando ricco di piacevoli sorprese. A me e Luca non sta andando oltre alla solita routine, nessuna scoperta straordinaria» disse deluso Alessandro, mentre si accingeva a cuocere l’intruglio culinario preparato da Luca la sera prima.
«A proposito, forse tu mi puoi aiutare.» Roberta prese il cellulare cercò brevemente tra le foto scattate e lo porse ad Alessandro avvicinandosi. «Vedi qui? A me sembra un animale, forse un po’ troppo grande per essere un topo, che dici?»
Dietro ad una roccia, notò la figura sfocata di quello che poteva sembrare un coniglio in fuga. Concentrando la sua attenzione sulla testolina della bestiola, che ingrandì sul display.
«Non è possibile…» mormorò.
«Cosa?»
«No, non può essere assolutamente…» continuava Alessandro spostando l’immagine con le dita, sembra un prolago sardo!»
«E che cos’è?»
«Un mammifero, con le caratteristiche sia della lepre che del pica.»
«Prolago, pica ma che animali sono?» chiese sconcertato Luca.
«Perché ti meravigli tanto della sua presenza? Forse non è il suo habitat?» chiese Mirco.
Alessandro sollevò lo sguardo dallo schermo e li guardò uno per uno.
«Questo animale si è estinto intorno al 1800!» esclamò lasciando tutti a bocca aperta.
«A quanto pare sono l’unico sfigato…» affermò Luca amareggiato.
«Credo che entreremo in quella caverna molto prima di mezzogiorno Mirco, sono con te» disse Alessandro con un largo sorriso stampato in volto.
Le chiacchiere, quella sera, furono molto più animate della sera precedente, poi uno alla volta si ritirarono nella propria tenda.
Ancora una volta la misteriosa nebbia riempì la grotta avvolgendo e penetrando all’interno delle tende e negli orifizi della testa dei ragazzi. Riempiendo i sogni di squarci di un tempo passato, e volti sconosciuti. Danze sguaiate di personaggi sporchi e vestiti di stracci che si dimenavano intorno ad un alto fuoco. All’interno della nebbia si muoveva rapida una figura ricurva dalle sembianze umane, che come la nebbia era capace di penetrare attraverso il nylon, si accovacciò su ognuno dei ragazzi bisbigliando parole simili ai “brebus”, antiche parole magiche, di una macabra filastrocca. Col sorgere del sole la nebbia si diradò velocemente e scomparve. Nei giacigli i ragazzi aprirono gli occhi simultaneamente, ignari della visita spettrale ricevuta nella notte, ignari di aver avuto lo stesso medesimo sogno confuso e inquietante, ignari dello stesso segno che portavano sulla pelle, dono stregato di una antica entità.
(1 – continua)