DRULLIOS – 03

3.

«Abbiamo un problema» annunciò Luca.

«Che succede?» chiese Roberta.

«Credo che la pianta fluorescente, altro non sia che un tipo di fungo allucinogeno. Avete visto o vi è sembrato di vedere cose strane, mentre eravate nella caverna?»

«A parte l’ombra di cui abbiamo parlato e che hai visto anche tu, ho avuto anche la percezione uditiva di un respiro ansimante» rivelò Alessandro.

«Correggimi se sbaglio, ma per dare allucinazioni non avremmo dovuto ingerirlo?» chiese Mirco.

«Si tratta di un fungo sconosciuto, inoltre, osservandolo al microscopio, sembra essere in simbiosi con un tipo di afidi, che non ha nulla a che fare con i comuni parassiti che ho avuto modo di studiare. Non è improbabile che quando abbiamo aperto l’ingresso, le correnti che si sono create hanno fatto si che  le spore si disperdessero nell’aria, potrebbe essere che sia bastato inalarle e chissà in che percentuale. Magari sono presenti altre colonie, che ancora non abbiamo visto» spiegò Luca, mentre si apprestava a svolgere le sue analisi.

«Ma quante probabilità ci sono di aver avuto la stessa allucinazione nello stesso momento?» domandò Alessandro.

«Probabilmente abbiamo subito lo stesso condizionamento psicologico, non dimenticare il racconto di Mirco.»

Quella di Luca poteva essere una spiegazione plausibile, ma Mirco non ne fu del tutto convinto.

«Credo si tratti di una triptammina psichedelica, la Psilocibina.»

In un raccoglitore, Luca teneva una decina di tubetti, ognuno di essi aveva al suo interno diversi reagenti chimici. Quello che utilizzò aveva sulla targhetta adesiva la scritta “NAR10030 Reagente Psilocibina/Psilocina”. Tolse il tappo e dopo aver prelevato una piccola parte del fungo, che si era polverizzato alla luce del giorno, la introdusse nel tubetto, lo chiuse e fece una leggera pressione, per rompere l’ampolla di reagente al suo interno e agitò delicatamente il contenuto.

«Niente, non capisco…» disse osservando il liquido che era rimasto chiaro.

«Perché di che colore sarebbe dovuto diventare?» volle sapere Roberta.

«Viola o rosa» rispose, mostrandole la tabella colorimetrica, «A meno che, il fatto che abbia subito una trasformazione a livello cellulare non abbia influito sulla tossicità. Devo analizzare il fungo all’interno del cunicolo, devo analizzarlo prima che possa subire alterazioni per via dell’ambiente.»

Cenarono e si trattennero intorno al fuoco.

«Credo di sapere dove si nasconde la tua creatura Alessandro. Alla fine delle scale si trova un altra grotta molto più piccola della prima, e ho avuto modo di vedere il leprotto con la faccia da topo, ha la tana proprio li.»

Alessandro ne fu compiaciuto.

«Quindi la scala non porta da nessuna parte» concluse Roberta.

«Non direi, da li si snodano altri due cunicoli e ho trovato delle torce appese a dei vecchi supporti in ferro. Il tipo di illuminazione che avrebbero potuto usare in quel periodo. Ormai non ho più alcun dubbio, il villaggio esiste e sono a tanto così dal trovarlo» asserì Mirco.

«Posso chiederti cosa hai visto lassù?» gli chiese Luca.

«Osservavo la stoffa di una delle torce, quando ho notato il piccolo animaletto, dopo che si è rintanato sono tornato alle mie faccende, quando ho sentito ridacchiare qualcuno. Mi sono voltato e lei era li, la vecchia più brutta che io abbia mai visto!» esclamò con disgusto, «La cosa più incredibile è il fatto che quando mi si è scagliata addosso il suo corpo abbia attraversato il mio. Ho avuto una sensazione di totale repulsione, mentre vomitavo, sono svenuto, e poi sei arrivato tu.»

«Sei svenuto?» chiese preoccupata Roberta.

«Si, l’ho trovato in terra e ci è voluto un bel po’ perché si riprendesse. E per questi sintomi, oltre alle allucinazioni, che sono convinto che quel fungo sia tossico. Ne avremo la conferma domani.»

«Se così fosse dovremmo procurarci delle tute e delle maschere antigas. Non sarà semplice. Dovremmo dare spiegazioni» fece notare Alessandro.

«Avrei voluto trovare il villaggio, prima di condividere con altri la mia scoperta…» si rammaricò Mirco.

«Non vi sembra poco probabile che tutti noi abbiamo trovato degli elementi improbabili in questo Canyon, voglio dire, Mirco probabilmente troverà il suo villaggio, io ho trovato dei minerali sconosciuti, Luca il suo fungo e tu, Alessandro addirittura un animale estinto. E se fossero anche queste delle allucinazioni?»

«Ma il tuo minerale è ancora li,» le fece notare Luca, «come i resti del mio fungo o le feci ritrovate da Alessandro. Se fossero state delle allucinazioni sarebbero svaniti, soprattutto adesso che siamo all’aperto e non in un  ambiente contaminato.»

«È pazzesco! Evidentemente l’endemismo non riguarda solo l’aquilegia o l’euprotto sardo, ma si estende anche ad altre specie e siamo stati proprio noi a scoprirle!» esclamò Alessandro.

«Di questo dobbiamo ringraziare Mirco, se non fosse stato per la sua mappa non avremmo trovato nulla» fece notare Roberta.

«Bene, direi che questa giornata può dirsi conclusa. Domani sapremo e poi decideremo il da farsi» concluse Mirco.

Il silenzio della notte discese nel canyon, la solita nebbia si alzò dal suolo, avvolgendo il campo in un lugubre abbraccio. L’abbraccio di una madre rinnegata, abbandonata, assassinata. Ora la sua essenza si prendeva cura dei suoi nuovi figli.

Il mattino seguente furono svegliati da un insolito verso, si ritrovarono tutti a sbirciare dalla zip aperta delle proprie tende. Un grosso esemplare di cinghiale grugniva, mentre spasmodicamente odorava il bidone dove venivano buttate le lattine dei vari cibi in scatola. In breve tempo lo rovesciò e se non fosse stato per la chiusura contro il randagismo, avrebbe sicuramente masticato ogni cosa.

«State tranquilli, se non lo spaventiamo, non sarà un pericolo. Sente l’odore del cibo» bisbigliò Alessandro.

«Ho paura…» Roberta non si sentiva al sicuro.

Il cinghiale non voleva arrendersi e continuava a prendere a colpi di muso il bidone che ballonzolava rumorosamente.

Finalmente Alessandro si decise a intervenire, facendo partire la suoneria del cellulare. L’animale si fermò voltando la testa verso di loro, sbuffando rumorosamente dalle narici ed emettendo un suono gutturale. Non riuscendo a identificare il pericolo, si decise ad allontanarsi velocemente.

«Pessima idea lasciare il bidone così vicino al bivacco» disse Luca.

«Quanto hai ragione, infatti lo sposterò immediatamente» concordò Alessandro.

Dopo le mansioni mattutine Luca e Mirco si preparavano a raggiungere la caverna.

«Vorrei venire con voi, potrebbe servire aiuto» si propose Alessandro.

«Non crederete di lasciarmi qui da sola dopo la visita di quel bestione, vero?»

Non ci fu altro da aggiungere, Luca prelevò dall’astuccio un nuovo tubo per l’analisi e si misero in marcia.

Giunti sul posto, Luca si legò la fune alla vita. «Non credo ce ne sia bisogno ma, se nel giro di cinque minuti non sono di ritorno, tiratemi fuori.»

«Tieni, legati questo per coprirti la bocca» disse Roberta porgendogli il foulard che teneva al collo.

L’odore del guano era più sopportabile, appesi come tanti sacchetti, nella volta della cava, centinaia di piccoli pipistrelli penzolavano inermi. Il ragazzo si addentrò fino a raggiungere il fungo sulla parete, si sistemò meglio il foulard sulla bocca e si apprestò a ripetere l’analisi, col campione fresco, ma dopo aver agitato il contenitore, il liquido rimase limpido. Il fungo non era la causa delle loro allucinazioni.

«Allora? Qualche riscontro?» lo assalì Alessandro, appena lo vide sbucare dalla caverna. Era curioso di trovare la tana di cui Mirco gli aveva parlato, ma non voleva correre rischi inutili per questo.

«No, non c’è stata nessuna reazione. Sarebbe utile fare un’analisi dell’aria, ma non abbiamo gli strumenti per questo. Quindi cosa vogliamo fare?»

«Io avrei un’idea, se fossero sufficienti delle mascherine tipo FFP2, potremmo andare a comprarle senza dover scomodare le sovraintendenze. Vi chiedo solo un altro giorno. Vorrei godermi il ritrovamento senza avere tra i piedi qualche professore che si attribuirebbe il merito della scoperta» propose Mirco.

«Io sono d’accordo, non sono nemmeno sicuro che l’animale sia un prolago sardo. Vorrei prima accertarmene.»

«Non basteranno le mascherine, dovremo munirci anche di occhiali anticontaminazione e guanti» disse Luca.

«E sarà bene che conduciamo le indagini in coppia» aggiunse Roberta.

«Perfetto, andrò io» si offrì Mirco.

«No, vado io, con la moto farò prima e in più vorrei acquistare qualcosa per questa ferita che si sta infiammando e non ho neppure idea di come me la sia procurata» disse Roberta mostrando la ferita a forma di mezza luna sull’avambraccio.

«A soldi come siamo messi?»

«Non preoccuparti Mirco, userò la carta, poi faremo i conti.»

Mentre rientravano al campo, l’atmosfera cambiò, il sole venne coperto da dei densi nuvoloni grigi e l’aria divenne più fredda.

«Sarà il caso che tu prenda la mia auto, se dovesse piovere la moto non ti proteggerà» disse Mirco prendendo dalla sua tracolla le chiavi della Matiz.

«Dove pensi di acquistare il necessario?»

«Cercherò una farmacia a Cala Gonone, speriamo di essere fortunata. Ci vorrà circa una mezz’ora per arrivarci, passando per la  125, nel giro di un’ora e mezza sarò di ritorno.»

La decisione era stata presa, Roberta lasciò la gola di Gorroppu verso le 10:30, con la Jeep messa a disposizione dall’organizzazione escursionistica. Ai ragazzi non rimaneva altro che attendere il suo ritorno.

(3 – continua)

Annamaria Ferrarese