DRULLIOS – 06

6.

«Ditemi, cosa avete trovato lassù?» chiese con la speranza di distrarre i propri pensieri.

«Qualunque cosa ci sia in questo canyon, vale la pena rischiare, te lo assicuro. Mirco aveva ragione, quelle grotte contengono tesori inestimabili.»

«La prima cosa che abbiamo incontrato è stato un stalla, pensa che ci sono ancora i resti del bestiame, per non parlare dei cimeli. Cesoie antichissime per la tosatura, di varie dimensioni» le raccontò Mirco.

«Ma vedrai, l’armeria è uno spettacolo. La lavorazione del ferro e del legno di quelle armi, sono antichissime e di valore inestimabile, delle vere e proprie reliquie senza tempo.» Luca ne era entusiasta.

«Ma cosa vi fa pensare che al di là del cancello ci sia il villaggio?»

«Il mobilio. Purtroppo davanti al cancello c’è una parete, in quel tratto il tunnel fa una curva a gomito verso sinistra. Dalla nostra prospettiva si vedeva un grosso tavolo, con tanto di panche e sedie. Capisci la nostra smania di entrare? Quel luogo è rimasto sepolto per trecento anni.» rispose Mirco.

Rassettarono e spensero il fuoco.

«Andiamo a dormire. Domani sarà un gran giorno» disse Luca.

«Credete che Alessandro starà bene?» chiese Roberta.

Ma come risposta ricevette solo uno sguardo di circostanza. Il ragazzo era molto turbato e il fatto che avesse deciso di dormire in macchina era un chiaro segno di profondo stress. No, non stava bene.

 

L’entità, madre amorevole, scrutava la mente del suo nuovo figlio ribelle, addormentato nell’auto. Non avrebbe lasciato il canyon. Sarebbe rimasta con lui, dentro di lui fino a quando non lo avesse calmato.

Roberta fu svegliata dai rumori al di la della tenda, qualcuno rovistava tra le loro cose. Vide che Luca e Mirco erano ancora accanto a lei e dormivano, Alessandro era tornato. Il fatto di non poter vedere cosa stesse facendo, fece crescere in lei una certa ansia. E prima che la sua mente potesse costruire drammatiche ipotesi, svegliò i ragazzi. Dopo un primo sguardo confuso, misero a fuoco il probabile stato di allarme e Luca aprì la zip della tenda.

«Buongiorno, finalmente vi siete svegliati» li salutò Alessandro.

Il ragazzo aveva preparato il caffè e aveva disposto un pacco di brioche sul basso tavolino pieghevole, che utilizzavano come appoggio.

«Mi fa piacere vederti, amico.» Luca era sincero, il viso disteso di Alessandro gli fece capire che il momento di follia e panico era passato.

Uno alla volta i tre emersero dalla tenda.

«È per colpa mia che avete dormito tutti insieme?» chiese loro.

«Non solo» rispose onestamente Mirco. «Come ti senti?»

«Va meglio.» Poi vide i segni sul collo di Roberta e si rattristò. «Mi dispiace, io non so che dire…»

«Non preoccuparti, so che non è colpa tua» rispose lei abbassando gli occhi sul bicchiere del caffè.

«È incredibile come alla luce del giorno tutto sembri meno spaventoso» fece notare Alessandro, mentre l’espressione di tristezza si trasformava in gioia. «Ci ho riflettuto, verrò con voi a scoprire questo misterioso villaggio» aggiunse, aprendo il cellophane della brioche.

Il repentino cambiamento di emozioni non passò inosservato, ma il desiderio di scoprire il mondo dietro quel cancello arrugginito era diventato per tutti, quasi, un’esigenza.

«Posso prendere le verdure che mi avevi promesso?» chiese Alessandro alla ragazza.

Dopo aver avuto il suo consenso le mise nello zaino, aggiungendo altro scatolame e una bottiglia d’acqua.

«Non vorrai dare tutta quella roba alla bestiola, spero»

«No, stai tranquilla. Credo che, visti gli ultimi avvenimenti, portarci dietro qualcosa da mangiare non sia una cattiva idea» disse.

Si misero in marcia, Luca diede un’occhiata all’ora, il display segnava le 8:52. Anche se il tempo fosse andato veloce, ci sarebbe stata ancora luce, quando fossero usciti dalla grotta.

Al piano superiore mamma prolago li aspettava fuori dalla tana, dove cinque piccoli musetti facevano capolino, curiosi.

«Non è possibile, guardate, non hanno paura!» esclamò sorpreso Alessandro.

Prelevò la verdura dallo zaino e la dispose vicino alla tana, poi aprì una scatoletta di carne e la versò sul pavimento e rimase in attesa. L’animale odorò a lungo i vari cibi a disposizione, prese la carota e la trascinò verso i piccoli che d’istinto indietreggiarono spaventati.

«Io resterei, qui a osservare il loro comportamento, se per voi non è un problema» disse.

«Non è una buona idea. Come hai detto tu, “dopo gli ultimi avvenimenti”, è bene restare tutti insieme. La bestiola non andrà da nessuna parte, e potrai osservare le sue scelte al ritorno» rispose deciso Mirco.

Alessandro non rispose, ma li seguì all’interno del tunnel che presto li avrebbe portati alla stalla fantasma.

«C’è qualcosa di diverso, ma non riesco a capire cos’è. Tu noti qualcosa Mirco?»

«No, ma ho la tua stessa sensazione.»

«Povere bestie, sono morte di fame imprigionate nel loro recinto. Certo che costruire un ovile qui dentro…» constatò Roberta.

«Non si tratta di un ovile, ci sono delle capre, quindi si tratta di un caprile» puntualizzò Alessandro.

Proseguirono fino all’armeria, la sensazione che qualcosa fosse cambiato, fu avvertita da Luca e Mirco, anche in quell’ambiente.

La magia del mistero di quei luoghi, intanto riempiva di stupore l’anima dei nuovi spettatori.

Finalmente giunsero al cancello.

«Ricordavo ci fosse più ruggine… » disse Mirco mentre toccava il ferro sul quale avevano agganciato il moschettone della corda.

«Ecco cosa c’è di diverso, sembra tutto, come dire, meno vecchio» disse Luca, quasi fra sé e sé.

Alessandro e Roberta osservavano estasiati, l’ambiente oltre il cancello.

«Fatevi da parte.» Mirco sollevò il piccone schiantandolo sul blocco di chiusura del cancello.

Il contatto provocò qualche scintilla e un suono acuto, creando un piccolo avvallamento nel ferro.

«Di questo passo ci vorrà un’eternità» disse Mirco, rendendosi conto che l’attrezzatura di cui disponevano non era adatta al loro intento.

«Quanto darei per una smerigliatrice!» esclamò Luca.

«E se provassimo con quella?» domandò Roberta, puntando il dito verso la parete opposta all’apertura.

«Che mi venga un colpo! Eravamo talmente attratti dall’ambiente, che non ci siamo accorti di quella» ammise Mirco.

Ad un gancio nella roccia era appesa una grossa chiave con la testa lavorata.

«Dobbiamo prenderla!» esclamò Alessandro.

«E come? Pensi che basti chiamarla e correrà da noi?» rispose Luca, sarcastico.

«Spiritoso. Potremmo provare ad arrivarci con la canna di uno dei moschetti nell’armeria.»

L’idea di Alessandro sollevò il loro spirito. Recuperarono l’arma, scegliendone una tra quelle con la canna più lunga e provarono a raggiungere la chiave. Nonostante gli sforzi, la sua lunghezza non fu sufficiente a raggiungerla.

«Accidenti!» esclamò frustrato Luca, ritirando il braccio dalle inferriate.

«Avanti ragazzi, ci basterà recuperare un ramo sufficientemente lungo da raggiungere la parete.» li canzonò Roberta.

«E va bene, abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno. Si dice così, no? Torniamo indietro e apriamo questo maledetto cancello!» esclamò Mirco.

Ripercorsero per l’ennesima volta il tunnel a ritroso, il prolago aveva portato tutte le verdure all’interno della tana e ora annusava incerta la carne gelatinosa. Ridiscesero le scale, il fungo nella parete emanava il suo bagliore magico, diffondendo una tenue luce azzurrognola.  Giunti alla grotta dei pipistrelli, rimasero sgomenti. Fuori era scuro ed echeggiava il rombo di tuoni minacciosi.

«Non ci voleva. Facciamo presto, prima che scoppi il temporale» disse Luca.

Ma li intorno vi erano solo rocce e piccoli alberelli di filiera. Sarebbero dovuti scendere.

«Direi che ci conviene recuperare un’asticella di una delle tende, sarebbe abbastanza lunga e flessibile, senza stare a perdere tempo con la ricerca del ramo giusto.»

L’idea di Alessandro non era male, veloce e senza perdite di tempo inutili.

Raggiunsero il campo, l’orologio sul cellulare segnava le 13:45, il tempo era ancora sfuggito al loro controllo. Recuperarono la stecca in fibra di vetro richiudendola su se stessa.

«Forse sarebbe opportuno prendere altre provviste, nel caso rimanessimo bloccati dal temporale.»

«Luca ha ragione, quello che ho preso io non basterà a sfamarci tutti» li informò Alessandro.

Intanto lo squarcio di cielo sul canyon si faceva sempre più scuro, le basse nuvole nere sembrava creassero un coperchio sopra di loro.

Ognuno prese con se del cibo e una bottiglia d’acqua e insieme ritornarono sui propri passi.

«Non sentite uno strano odore?» chiese Roberta, quando ebbero raggiunto il fatiscente caprile.

I ragazzi annusarono l’aria.

«Si hai ragione.» Alessandro continuò ad annusare fino a giungere nel recinto di pietra dove giacevano le carcasse delle capre. «Sembra che provenga da queste» disse.

«Forse il vento è cambiato e non c’è più un buon riciclo d’aria» suppose Roberta.

«Possibile che dopo trecento anni, abbiano ancora odore di putrefazione?» La domanda di Alessandro rimase senza risposta.

Emozionati, davanti al cancello attesero che Mirco ricomponesse l’asta. La fece passare attraverso le sbarre, si sporse leggermente col braccio e con scrupolosa attenzione, infilò la punta nell’anello della chiave. Era pesante e inizialmente l’asta si fletté senza sollevarla.

«Mettici più forza» suggerì Luca.

«Ho paura di farla schizzare via, chissà dove finirebbe» si giustificò Mirco, ma l’amico aveva ragione e la sollevò con più decisione.

La chiave si staccò dal gancio, Mirco impennò l’asta facendola scivolare fino alla mano.

«È fatta!» Esclamò afferrandola con l’altra mano e liberandola dall’asta.

Mirco infilò la chiave nella toppa della serratura. «Ci siamo ragazzi…» Ma non riuscì a girarla né da una parte, né dall’altra. «C’era da aspettarselo…» sospirò.

«Forse io ho una soluzione» disse Roberta, mentre apriva il suo zaino.

I ragazzi la guardavano incuriositi, e la videro prendere una piccola bottiglia con il tappo a chiusura ermetica.

«Questo può essere utile?» domandò mostrando il contenuto.

«Ma è olio?» chiese Luca.

«Si.»

«Non credo servirà a molto, ma che abbiamo da perdere?» Mirco prese la bottiglia. «Non è che per caso hai anche una cannuccia? Come facciamo a far entrare l’olio in questo “blocco” di ruggine?»

«Usiamo una delle fiaschette per la polvere da sparo.»

«Luca sei un genio!» esclamò Mirco.

Davanti alle piccole stanze dell’armeria i ragazzi si divisero. «Cercatene una in pelle e con un beccuccio abbastanza lungo, che non si sgretoli tra le mani. Non so in che condizioni sia la polvere da sparo al loro interno, quindi se ne recuperate una vuota, sarebbe meglio.»

Date le indicazioni, Mirco si infilò con Roberta nella stanza alla loro destra.

«È incredibile, sono ancora piene, ma il contenuto sembra pietrificato» disse Roberta tastando una delle otri.

«È un peccato, fosse stata ancora buona l’avremmo potuta usare per far detonare la serratura.»

Tutte le otri erano piene, così come le fiaschette. Si riunirono nel tunnel, Luca aveva portato con se una delle otri con un beccuccio abbastanza lungo e leggermente ricurvo.

«Mi dispiace rovinare un tale cimelio, ma a mali estremi…» così dicendo trasse di tasca un coltello multi uso, si sedette in terra ed iniziò a tagliare la pelle della sacca. All’interno la polvere da sparo aveva preso la sua forma, Luca fece un taglio tale da poter estrarre il piccolo mattone nero.

«Adesso possiamo agire» disse sorridendo.

Mirco riempì l’otre con l’olio, tenendo il taglio verso l’alto, infilò il beccuccio, che aveva iniziato a gocciolare, all’interno della serratura e spremette.

«Adesso?» domandò Roberta.

Mirco reinserì la chiave, facendola vibrare all’interno e muovendola da una parte all’altra, con la speranza che l’olio raggiungesse ogni parte di quella rudimentale serratura.

«Non c’è modo, è inchiodata» sbraitò.

«Aspettiamo qualche minuto» propose Alessandro.

Intanto l’odore di putrefazione che proveniva dalla stalla iniziava ad appestare l’aria. Roberta propose di attendere fuori dal tunnel. Fuori aveva iniziato a piovere lo poterono notare dal fatto che, dalle fessure sul soffitto, gocciolasse dell’acqua.

Mamma prolago non aveva toccato la carne e si era rintanata con i suoi piccoli, probabilmente spaventata dai tuoni.

«Accidenti, piove parecchio. Quanto credi dovremmo aspettare prima che l’olio riesca a penetrare nell’ingranaggio?» Chiese Luca.

«Non credo funzionerà. Aspettiamo qualche minuto e ci riprovo, dopo di ché, non ci rimane altro da fare che avvisare l’università e ci penseranno loro» rispose Mirco, deluso.

Luca guardò l’ora sul cellulare.

«Credi abbia qualche significato guardare che ore sono? Qui dentro non ha alcun senso» gli fece notare Alessandro.

«Forse è solo l’abitudine» rispose, «Giusto per informarvi, sono le 18:00.»

«Dovremmo dormire qui?» chiese Roberta, preoccupata.

«Non è saggio, discendere il dirupo con questa pioggia e al buio. Vedrai staremo bene» cercò di rincuorarla Mirco.

Si misero seduti e consumarono, una piccola parte del cibo che avevano portato, più che altro per passare il tempo.

Luca continuava a fissare il cellulare, pensieroso.

«Qualcosa non va?» gli chiese Alessandro.

«Qualcuno di voi, da quando siamo qui, ha messo in carica il cellulare?» chiese agli altri.

Uno sguardo di smarrimento passò negli occhi dei ragazzi.

«Non io, eppure avrei dovuto. La batteria non è mai durata più di un giorno» ammise Roberta. «Pensi a qualche misterioso campo energetico che tiene in carica le batterie dei nostri cellulari?»

«Non solo di quelli. Se ci pensate, non abbiamo cambiato neppure quelle delle torce.»

«Questo posto è un enigma. Entità, campi energetici, creature sconosciute, animali estinti… E se si trattasse di un buco temporale?» ipotizzò Alessandro.

«Intendi dire, un portale nel tempo?» Mirco ne era affascinato.

«Si, una cosa del genere. Cosa ne pensate?»

«E quelle entità che ti sono entrate dentro, cosa sarebbero?» gli chiese Roberta, «Non eri neppure qui dentro. Per me questo posto ha a che fare col regno dei morti» concluse la ragazza.

Mentre l’angoscia, si affacciava ancora una volta nel loro cuore, uno strano torpore li avvolse. Uno dopo l’altro, si lasciarono scivolare nell’abbraccio rassicurante dell’oblio del sonno.

(6 – continua)

Annamaria Ferrarese