DRULLIOS – 07

7.

Il primo a svegliarsi fu Alessandro, avvertendo qualcosa di morbido e caldo, muoversi nell’incavo del suo collo. Aprì gli occhi era sdraiato supino, sul pavimento dell’antro. Mamma prolago e i suoi cuccioli, avevano approfittato del suo calore corporeo e gli si erano accucciati accanto. Sorrise.

«Ciao piccolini» sussurrò per non spaventarli, ma non funzionò, gli animaletti saltellarono via nascondendosi nella loro tana.

Si mise a sedere, si sentiva indolenzito e infreddolito. Stava per guardare l’ora sul cellulare, quando pensò all’inutilità del suo gesto. Il temporale sembrava passato, quanto aveva dormito? Decise di alzarsi, forse non avrebbe mai saputo l’ora esatta, ma quanto meno, se fosse uscito fuori, avrebbe saputo se fosse stata ancora notte.

Luca si svegliò di soprassalto, il braccio destro gli mandava fitte come se fosse avvolto da mille spine. Se lo massaggiò vigorosamente, mentre lentamente riacquistava la sensibilità. Notò immediatamente l’assenza di Alessandro e preoccupato svegliò gli altri.

Alessandro sbucò contemporaneamente dalla rampa di scale e notò subito l’apprensione nei loro occhi.

«State tranquilli, sto bene. Sono andato a controllare fuori, visto che non possiamo più affidarci al nostro sistema di misurazione del tempo. A giudicare dal sole, sarà tardo mattino, credo.»

«Peccato, non poter bere un caffè caldo» disse Roberta stiracchiandosi.

«Facciamo un ultimo tentativo col cancello, e torniamo al campo» le disse Mirco.

Luca li guardava accigliato, restando seduto sul pavimento.

«Fatemi capire, vogliamo fingere che non sia successo nulla di strano ieri?» chiese.

«E a cosa porterebbe servire preoccuparcene?» gli domandò Mirco con sarcasmo.

Avvilito dalla sua domanda, non rispose e si alzò. Lasciarono i loro zaini e si inoltrarono nel tunnel.

«Sembra che la puzza sia diminuita» fece notare Roberta.

«Sarà perché si è alzato il vento» le disse Alessandro.

«Ehi, guardate qui! Le carcasse e l’abbeveratoio» li richiamò Luca.

Le pelli delle capre erano gonfie, come se al loro interno vi fosse ancora la muscolatura, quasi come se fossero appena morte. L’abbeveratoio, scavato in una roccia, era pieno per metà d’acqua e sul fondo vibrava la luce azzurrognola di un nuovo fungo fluorescente.

Alessandro entrò nel recinto di pietra e si chinò per osservare  le capre.

«Non vorrai toccarle, vero?» gli domandò Roberta incredula.

Ma Alessandro non le rispose e allungò una mano sull’addome di una di esse.

«Non vi sembra che il pelo sia più folto? Sarà stata la reazione all’acqua che si è infiltrata e all’umidità» ipotizzò poco convinto.

«Credo che se bagnassimo le altre pareti, spunterebbero altri di questi funghi» disse Luca, mentre guardava dentro l’abbeveratoio.

«Ma non avevi detto che è in simbiosi con dei parassiti? Come fanno a sopravvivere sott’acqua?» chiese la ragazza.

«Non ne ho idea…»

«Vogliamo proseguire?» Mirco era curioso di raggiungere il cancello.

«Guardate la polvere da sparo!» esclamò Luca, puntando il fascio della torcia sul punto dove aveva svuotato l’otre.

Il mattoncino nero era ritornato polvere.

«Ma come è possibile?» domandò mentre, chino su di essa, la faceva scorrere tra le dita.

«Potremo usarla per la serratura, come ultimo tentativo» propose Mirco.

Ma non ce ne fu bisogno. Tutto il cancello era quasi privo di ruggine. Mirco toccò le sbarre per essere certo di non avere un’allucinazione. Anche la serratura sembrava quasi nuova. Afferrò la chiave, guardò gli altri, prese fiato e girò verso destra. La molla scattò e il passante si spostò, liberando l’accesso. Potevano entrare.

Mirco spinse l’inferriata, che si aprì con un leggero cigolio.

Si strinsero l’uno con l’altro e varcarono la soglia. Svoltato l’angolo poterono godere della magia di quel luogo dimenticato. Il villaggio dei “reietti” era li davanti ai loro occhi bloccato nel tempo di tre secoli prima.

Oltre il grande tavolo, uno sbiadito e malconcio tappeto, arredava lo spazio di fronte ad un basso caminetto, costruito con maestria proprio dove sboccava una delle prese d’aria naturali. In silenzio e pieni di stupore oltrepassarono il tavolo, notando l’immenso spazio ben distribuito. Infatti, subito alla loro destra si trovava un nuovo ambiente, molto simile ad una cucina rudimentale. Al centro era disposto un tavolo grezzo, che aveva conficcati sulla sua superficie diversi coltelli e una mannaia. Un altro caminetto, più alto, e più simile ad una fornace occupava la parete destra. Botti, anfore e vecchi sacchi di canapa, erano sparsi in terra e sui ripiani. Il legno di quegli scaffali e delle casse, come anche del tavolo e delle sedie, pareva non avesse subito nessun tipo di alterazione. Risultava intatto e forte, come se il tempo lo avesse indurito.

Un alto scaffale a “L” faceva da parete e dimezzava il grande spazio. Sui suoi ripiani erano disposti, innumerevoli scalpelli, martelli e seghe. Probabilmente riservato alla falegnameria. Mirco fu il primo a superare il mobile, trovandosi in una sorta di sala dove si aprivano quattro passaggi. Ma non ebbe il coraggio di muovere un passo, quando il fascio di luce della sua torcia illuminò dei corpi mummificati, che giacevano su due fatiscenti letti, all’imbocco di uno degli ingressi.

«Oh mio Dio, i reietti…» sussurrò.

«Non ci credo… Sono morti qui, come le capre» disse Alessandro.

Si avvicinarono lentamente, scoprire i corpi di due esseri umani, non fu certo come scoprire le carcasse delle capre. I corpi erano sopra i letti intonsi, il tessuto era ben tirato sotto di loro. Erano vestiti di tutto punto, come se si fossero sdraiati un attimo a riposare e non si fossero più svegliati.

«Da brivido…» sussurrò Roberta.

In quello spazio vi era un grosso e vecchio telaio, probabilmente usato per confezionare le stoffe utili a tutta la comunità.

Luca si chiedeva dove fossero finiti tutti gli altri, entrando nella prima apertura sulla destra. Lo scoprì in quell’esatto istante.

«Mio Dio!» esclamò indietreggiando e cercando lo sguardo degli altri per farsi coraggio. «Mio Dio sono tutti qui dentro, sono andati a dormire e non si sono più svegliati.» Li informò, mentre lo raggiungevano.

Si trattava di una grande stanza da letto comune, un dormitorio misto. Sotto le lenzuola di lino, grigie di polvere, dormivano per l’eternità i “reietti”, abitanti di quel villaggio fantasma, nascosto nelle viscere della parete del canyon.

Camminarono in silenzio tra quei letti di legno, una grande camera mortuaria. Contarono undici letti singoli e due matrimoniali, con altrettanti corpi mummificati.

«Devo uscire, da qui. Povere anime…» disse Roberta, uscendo dalla stanza.

Proseguirono la loro esplorazione, visitando la stanza tra le prime due mummie trovate. Nella nuova camera vi erano solo tre letti, ma la particolarità di quell’ambiente è che fosse riservato, destinato a pochi. Ne scoprirono la ragione quando videro delle culle accanto a due dei letti.

«Ok, io non voglio vedere!» esclamò la ragazza uscendo di corsa.

Alessandro e Luca rimasero sull’uscio, mentre Mirco si sporse su una delle culle, sperando di trovarla vuota… non fu così.

«Ci mancano ancora due stanze, ve la sentite di continuare?» chiese Mirco.

Alessandro e Luca acconsentirono, Roberta non rispose, ma li seguì.

Fortunatamente, il nuovo ambiente, che si trovava dalla parte opposta delle camere, si rivelò essere una dispensa. Su un rudimentale tavolo vi erano, addirittura, delle forme di formaggio, che sembravano essersi pietrificate. Perfino i sacchi, che probabilmente contenevano cereali, erano ancora gonfie. L’atmosfera di quell’ambiente aveva bloccato la normale decomposizione di tutto ciò che era organico.

«Guardate, in queste bottiglie c’è del liquido. Cosa sarà?» fece notare Luca prendendo una bottiglia dal ripiano dello scaffale.

«Penseremo dopo ai particolari, ora voglio vedere l’ultima stanza» disse Mirco, imboccando l’ultima apertura sulla sinistra.

Non si trattava di una stanza, ma di un nuovo tunnel.

«Che si fa? Lo seguiamo?» chiese Alessandro.

«Non senza la fune di sicurezza!» esclamò Roberta.

«Ma dovremmo tornare indietro a staccare l’ancora dalla parete» brontolò Mirco.

«Avanti, ormai siamo qui. Veramente vuoi correre rischi inutili?» replicò la ragazza.

«Io le darei retta. Arriva dell’aria fredda da questo tunnel, proprio come quella che si sentiva nel tunnel della voragine» Gli fece notare Luca.

«D’accordo, vado io.»

«No! Di questo abbiamo già parlato. Da quando siamo insieme non ci è successo niente di spiacevole… Per favore, non voglio essere di nuovo il contenitore di quella cosa» pregò Alessandro.

Era vero, lo stare uniti, in qualche modo, influenzava ciò che di malvagio aleggiava in quel canyon.

Non ci volle molto per il recupero della fune, ormai quel tunnel non aveva più segreti per loro.

Agganciarono il moschettone alla maniglia in ferro di una grossa cassa in legno. Alessandro ci sbirciò dentro e vide che era piena di pelli di pecora ben piegate.

Mirco si legò la fune in vita, come già aveva fatto e uno dietro l’altro si avviarono lungo il cunicolo. Con grande sorpresa e suscitando l’ilarità di tutti, il nuovo percorso non  si rivelò più lungo di nove metri. Il nuovo ambiente circolare, non era molto grande, aveva un diametro di circa tre metri. La cosa straordinaria era che, dalla parete a destra, da due becchi in rame puntellati nella roccia, usciva dell’acqua che si riversava in un piccolo bacino scavato nella pietra. L’acqua in eccesso fuoriusciva e si incanalava in una cunetta scavata nel calcare, fino a giungere alla base di una costruzione cilindrica fatta di pietre ben tagliate, coperta dal tappo di una botte.

«Sarà un pozzo?» suppose Roberta, sollevando il coperchio. «Non riesco a vedere il fondo, Mirco usa la tua torcia.»

Dall’apertura arrivava una forte aria gelida e Mirco, che si era appena affacciato, indietreggiò tirandosi dietro Roberta che quasi cadde.

«Ehi, ma che ti prende?»

«Non è un pozzo. Sotto di noi c’è la voragine!» esclamò impaurito.

«Perché avranno aperto questo pozzo?» domandò incredula Roberta.

«Sarà un errore, magari credevano di trovare un’altra falda» ipotizzò Luca.

«Non credo. Ogni ambiente è ben studiato, pensate ai caminetti e ai bracieri, sono tutti collegati ad una presa d’aria naturale formatasi nella roccia. Chi ha progettato questo posto aveva un ingegno straordinario. Sono sicuro che anche questo aveva il suo utilizzo» disse Mirco.

Tornarono indietro, ora che avevano visitato tutti gli ambienti di quel posto straordinario, potevano concentrarsi sui particolari. Gli utensili, le casse, le botti e le anfore, avevano ancora tanti segreti da svelare e ognuno di loro iniziò un’accurata osservazione degli oggetti che più li attraevano.

Luca ritornò nella dispensa era curioso di vedere cosa contenessero le bottiglie. Ne prelevò due, una conteneva una sostanza liquida e l’altra una sostanza più densa. Raggiunse la zona della cucina alla ricerca di un contenitore dove poterle versare. Sui ripiani di uno scaffale trovò quello che cercava, prese una ciotola in terra cotta e stappò una delle bottiglie, dando precedenza al contenuto più denso. Il liquido, di un marrone scuro, sprigionò un intenso profumo dolciastro, che riportò alla mente del ragazzo i dolci che preparava sua nonna.

«No, non ci credo, ragazzi questa è “saba”!» esclamò sorpreso.

Intinse la punta del mignolo nel liquido e se lo portò alle labbra, assaggiandolo con la punta della lingua. «Incredibile, sembra appena fatto.»

Quando aprì la seconda bottiglia, il liquido, dall’intenso colore violaceo, si rivelò essere vino. Nonostante il tempo e l’imbottigliamento non ermetico, era ancora buono e profumato.

Mirco osservava incuriosito una lampada a olio, posta sul grande tavolo all’ingresso. Notò che la fessura dalla quale sarebbe dovuto uscire lo stoppino, era più larga e al suo interno era stato inserita una strana pietra. Tolse il vetro e la pulì dalla polvere per osservarla meglio, riconoscendo lo stesso materiale arancione, ritrovato da Roberta.

«Roberta, dai un’occhiata, non è lo stesso minerale che stavi studiando?»

La ragazza gli  si avvicinò, era intenta a rovistare dentro un baule, che conteneva pantaloni e cappotti in orbace, che non le interessavano. Ma la scoperta di Mirco, quella si che era interessante. Cosa ci faceva il minerale in una lampada a olio?

«Prestami l’accendino» gli disse.

Rimise il minerale, nell’incavo della lampada e avvicinò la fiamma. Inizialmente sembrò non succedere niente, poi un sottile fumo iniziò ad alzarsi dal punto di contatto della fiamma. Mirco notò subito come il foro sul soffitto attirasse il fumo verso l’estero. Poi, dopo un paio di scintille il minerale prese fuoco emanando una calda luce arancione. Mirco e Roberta si guardarono sbalorditi e risero compiaciuti della nuova scoperta, anche gli altri si stavano avvicinando, mentre Roberta toglieva dal gancio nella parete una delle torce. Tutte quelle che erano all’interno di quella strana abitazione comune, erano in ferro anziché legno. L’apice delle torce aveva quattro rebbi che ospitava un pezzo di minerale.

«E luce fu!» esclamò dando fuoco alla torcia.

Di li a poco furono accese diverse torce. Non avevano più bisogno dell’illuminazione a batteria, e se ne liberarono. Rimasero ad ammirare l’insieme di quell’ambiente. Sotto quella luce appariva caldo e confortevole, a dispetto delle pareti calcaree. Il mobilio era in ottime condizioni, così come gli utensili in generale.

«Ragazzi è uno spettacolo. Guardate è tutto rimasto come trecento anni fa, basterebbe una spolveratina ed è come se fossimo tornati al 1700!» esclamò Alessandro.

Continuarono a perlustrare, frugare e osservare.

Roberta si avvicinò alla poltrona, unico arredo di lusso, che padroneggiava sul tappeto sbiadito dalla polvere, di fronte al caminetto. Notò subito che, oltre ai vari intarsi di foglie e fiori, aveva un’incisione sulla parte alta dello schienale scritta in un elegante corsivo: Reina.

Intanto Mirco osservava uno dei corpi mummificati che giaceva all’ingresso della stanza con le culle. Il tessuto dei suoi abiti in cotone gli fece supporre che fossero morti in una stagione calda, visto che gli abiti più pesanti erano stati riposti nelle casse. La posizione in cui tutt’e due i corpi, tenevano il braccio destro, lo insospettì. Infatti la loro mano spariva sotto i duri cuscini di lana tosa. Lentamente, quasi a non voler svegliare l’uomo, ne controllò il motivo e vide che stringeva in pugno una “leppa” con una lama di almeno trenta centimetri. Era chiaro che i due uomini erano di guardia alla camera. Ma possibile che i due stessero proteggendo le puerpere? Gli sembrò strano ed entrò a controllare meglio i tre corpi.  Scostò delicatamente il lenzuolo dal primo, la donna appariva rinsecchita, ma aveva una lunga treccia bruna, che cadeva ancora morbida su una spalla, indossava una lunga camicia di cotone. Non trovando altri particolari la ricoprì, questa volta fin sopra la testa. Fece la stessa cosa col piccolo nella culla, ebbe un brivido lungo la schiena e quasi si commosse, quel corpicino era veramente minuscolo.

Prima di analizzare il secondo corpo, Mirco dedicò qualche secondo per ricoprire il neonato, poi scoprì la madre. Non trovò nulla di strano e la ricoprì. Gli restava l’ultimo corpo da controllare, esso giaceva su un letto più grande degli altri, l’unico ad avere delle sponde. Illuminò la testata sulla quale spiccava un’incisione in spagnolo: regina e madre proteggi.

Notò subito un taglio sulla gola della donna, i lembi di  pelle restavano aperti mostrando la trachea recisa. Era stata uccisa nel sonno. Scrutò meglio il suo viso, era evidente  una malformazione, la donna in questione era affetta da labioschisi. Tutti i dettagli della sua ricerca combaciavano alla perfezione. Girò intorno al giaciglio, e in terra, tra il cassone del letto e una cassapanca, vide il corpo scomposto di un uomo che stringeva, nella mano secca, una leppa più piccola dell’altra che aveva visto. Gli ritornò alla mente l’assassinio commissionato da donna Dolores, ma era chiaro che, avendo trovato il cancello chiuso, probabilmente l’assassino non era arrivato dall’esterno, ma viveva li. Era stata tradita da uno dei suoi.

Si avvicinò al braciere accanto al letto, anche li, proprio al centro, vi era un mucchietto di minerali. Li accese, per meglio vedere l’ambiente circostante. Ritornò verso la cassapanca e l’aprì convinto di trovare i soliti abiti o stoffe. Fu grande la sorpresa per lui di trovare diversi libri, delle penne d’oca ed un raffinatissimo calamaio in argento. Prese il tomo più in superficie. Si trattava di un manoscritto, e più precisamente di un diario recante date  di ogni giorno scritto. Ad un tratto la fiamma sul braciere si chinò bruscamente da un lato verso il letto, come se dall’armadio vicino fosse arrivata una folata di vento. Incuriosito si accostò al mobile e lo aprì, al suo intero non c’era niente. Si accorse subito che la parte posteriore si muoveva, spinse il pannello, che si aprì su un’altra stanza. Prima di avventurarsi nel nuovo ambiente, recuperò una delle torce dell’equipaggiamento e chiamò gli altri, che lo raggiunsero, tranne Roberta che preferì evitare la vista delle culle. Fu una saggia decisione, perché il nuovo ambiente altro non era che una camera per i bambini. Cinque lettini ospitavano i piccoli corpi, alcuni di loro si erano addormentati a pancia in giù, o con la gambetta a penzoloni fuori dal lenzuolo. Sparsi per il pavimento giocattoli di legno di altri tempi, e accanto ad una bimba, una pupa di stoffa.

Un posto segreto dove tenerli al sicuro…

«Dio santo, questa posto non è più una casa, ma un sepolcro…» bisbigliò Luca.

«Usciamo da qui, lasciamoli in pace» aggiunse Alessandro.

Così fecero, risistemando il mobile così come lo avevano trovato. Mirco prese il diario che aveva momentaneamente posato sul letto della “Reina” di quel piccolo regno fantasma e uscirono.

«Sentite, non potremmo spostare questi due insieme agli altri? Mi sentirei più tranquilla»

«Chi se la sente di aiutarmi?» chiese Mirco. Alessandro si rese disponibile e spostarono i corpi delle guardie, nella stanza delle culle.

«Ho una proposta da farvi,» iniziò Roberta, «visto che abbiamo altri giorni a disposizione, non potremmo trasferire il campo qui? Del resto siamo qui per fare ricerca e in questo posto abbiamo tutto quello che ci serve.»

«Io non so con certezza, quanti giorni ci restano o quanti ne sono passati, ma condivido la tua idea. Scendere al campo e risalire, anche solo per mangiare o dormire, sarebbe solo una perdita di tempo.»

Anche Mirco e Alessandro condivisero il ragionamento di Roberta e Luca. L’unica cosa che gli restava da appurare era se all’esterno fosse giorno o notte.

Lasciare quella colonia dimenticata, anche solo per poco tempo, diede a tutti un senso di vuoto, come se in qualche modo gli appartenessero.

(7 – continua)

Annamaria Ferrarese