DRULLIOS – 10

10.

La decisione presa da Mirco e Luca fu immensamente apprezzata dall’entità suprema di quella colonia. La regina sorvegliava i suoi nuovi figli, seduta sul suo trono, compiaciuta. Avevano chiesto la sua protezione e lei gliel’aveva concessa. Ora le appartenevano. Chi entra, non esce.

Luca intanto aveva lavato quattro ciotole in terra cotta e quattro cucchiai di legno. Ritornare a cucinare e mangiare come si faceva secoli prima lo eccitava, ne era profondamente affascinato. Roberta continuava a sfogliare uno dei libri, senza realmente vederlo. Continuava a pensare alla follia del loro esperimento. Inoltre sarebbe rimasta da sola con Alessandro e questo le piaceva ancora meno. Se le entità si fossero sentite minacciate dalla loro intrusione e avessero posseduto ancora il corpo del ragazzo per ucciderla?

Alessandro giocherellava con i cuccioli di prolago, avvinto dalla loro spiccata intelligenza.

Mirco, sdraiato sul letto appartenuto alla guardia, continuava a tradurre il prezioso manoscritto che odorava di bosco. Trovò un interessante documento, l’intestazione era: Tabla de las leyes. Una pagina nella quale erano elencate le regole di convivenza all’interno della comunità. Non erano tante, le si poteva contare sulle dita di una mano. A chi era concesso di entrare a far parte della colonia, non gli era permesso abbandonarla. Pena la morte. Le altre leggi mettevano in risalto il rispetto e la protezione reciproca. Una  di queste annullava l’informazione trovata nei documenti rinvenuti durante le ricerche, dove si narrava che la ragazza avesse subito violenze carnali. Si proclamava l’assoluto rispetto nei confronti delle donne e dei bambini. La pena per ogni regola non onorata era punita, indiscutibilmente, con la morte. Mirco, come Luca, si sentiva coinvolto ed estremamente attratto da quella vita semplice, ma ricca di misteri.

«Ok, ragazzi direi che la cottura è quasi ultimata e devo ammettere che la pietanza non è niente male!» esclamò fiero Luca.

Tutti erano interessati ad assaggiarla. Il profumo andava via, via espandendosi nell’aria.

Mirco afferrò una grossa leppa, che per effetto dello stesso fenomeno che avvolgeva quel magico posto, aveva perso ogni traccia di ruggine. «Posso avere il privilegio?» chiese a Luca indicando il formaggio.

«Fai pure, sono davvero molto curioso» ammise.

Mirco infilò con decisione la lama al centro della forma, convinto di trovare resistenza, ma invece penetrò immediatamente. Quando l’ebbe tagliata a metà, si sprigionò un intensa fragranza, la pasta si presentava compatta con un leggero colore paglierino. Il suo aspetto e il profumo erano invitanti e non vi era presente alcuna traccia di muffa.

«Sembra che tutti gli elementi organici più semplici stiano tornando indietro dalla loro condizione. È straordinario» ammise Roberta.

«Non ci resta che assaggiarlo.» Mirco tagliò una sottile fetta e la divise in quattro parti. Ne prese una e la odorò portandosela poi alla bocca.

Gli altri lo imitarono.

«È straordinario! Tutto questo ha davvero dell’incredibile» disse Alessandro.

La bontà dell’alimento, tornato commestibile come per magia, fu apprezzato da tutti.

«Adesso non ci resta che assaggiare la zuppa» disse Luca che già l’aveva servita nelle ciotole.

Anche l’intruglio di semi, si rivelò ottimo e cremoso per via della lenta cottura. I ragazzi se ne saziarono soddisfatti, sorseggiando il vino, direttamente dalla bottiglia.

«Credo non sia stata male la vita in questa colonia. Mi sarebbe piaciuto farne parte» disse Luca alzandosi da tavola.

«Non ti sarebbero mancate le comodità e la tecnologia?» gli chiese Roberta.

«La tecnologia? E a cosa sarebbe servita qui?» intervenne Mirco.

«Basta tergiversare, direi che è giunta l’ora del nostro viaggio» disse Luca, sbriciolando quel momento di serenità.

«Forse è meglio aspettare un po’. La sostanza potrebbe indurvi il vomito, e non vorrei dovervi liberare da un possibile soffocamento» disse Roberta con rassegnazione.

«Sono d’accordo con lei» disse Mirco sdraiandosi sul tappeto.

«Okay, breve siesta e poi ci prepariamo» convenne Luca, imitandolo.

Roberta stava per sedersi sulla poltrona, quando avvertì una forte sensazione di disagio e optò per sedersi su una delle panche. «Non posso fare niente per dissuadervi?» gli chiese.

Lo sguardo serio dei ragazzi, le bastò come risposta.

Intanto Alessandro controllava l’evoluzione del campione cutaneo prelevato dalla capra.

«Questo è assurdo e impossibile!» Esclamò, chino sull’oculare.

«Che cosa succede?» gli chiese Luca avvicinandosi.

«Lo strato germinativo ha un’attività incredibile. È in fase di mitosi. Le cellule sono in fase di riproduzione! È aumentata la definizione delle varie stratificazioni, e inizia a riformarsi lo strato corneo.»

«Non è possibile. Fammi vedere»

Memore della trasformazione che aveva notato nelle salme della camera da letto, Mirco andò a controllarle.

Rimase stupefatto quando vide il corpo che giaceva sul letto accanto all’ingresso. Accese i minerali nelle torce appese al muro, intanto anche gli altri l’avevano raggiunto.

«Mio Dio…» bisbigliò Roberta.

I cadaveri avevano riacquistato i propri lineamenti. Il colore brunastro era stato sostituito da un colorito cereo, pareva fossero appena spirati.

«Stanno tornando indietro anche loro» disse sotto voce Alessandro, quasi col timore di svegliarli.

«E se tornassero del tutto?» domandò intimorita Roberta, aggrappandosi al braccio di Luca.

«Credete sia possibile?» aggiunse Alessandro.

«È una follia, ma non mi sorprenderebbe» ammise Mirco.

Roberta immaginò i microscopici cadaveri dei neonati, nella camera delle culle e rabbrividì. «Fate quello che dovete fare, ma fatelo subito. Voglio andarmene da questo posto. È come se un potente sortilegio ci stesse ingoiando. Non lo avvertite anche voi?»

Un fugace sguardo di ammissione passò tra loro. Uscirono dalla camera e si apprestarono a dare inizio al loro ultimo esperimento.

Mentre Mirco caricava la pipa col tabacco e una piccola porzione del fungo polverizzato, Roberta si apprestava ad aprire i sacchi a pelo, che poi avrebbe impilato uno su l’altro per rendere il suolo più morbido. Se avessero avuto delle convulsioni i danni dovuti ad eventuali sbattimenti sarebbero stati contenuti. Almeno così sperava.

Mirco accese la pipa con una profonda boccata, senza inspirarla. Avvertì subito il sapore dolciastro espandersi all’interno della bocca.

«Sei pronto? Non è spiacevole, non aver paura» lo rassicurò, Mirco.

Seduti uno di fronte all’altro, come giovani indiani, iniziarono il rito che li avrebbe condotti nel viaggio astrale.

«Avevi ragione, non è spiacevole, ma ho bisogno di sdraiarmi.»

Lo fecero entrambi.

«Senti anche tu le loro voci?» gli chiese Luca chiudendo gli occhi.

«Si, le sento.»

Parve che si fossero addormentati, Roberta controllò il polso. I battiti erano leggermente rallentati, ma regolari.

«Non ci resta altro da fare che aspettare» disse Alessandro.

«Quanto credi possa durare l’effetto?»

«Non lo so.»

Alessandro si alzò dallo sgabello sul quale era seduto, notando l’apprensione nello sguardo della ragazza.

«Lo so che hai paura di me. Ho pensato a cosa potrebbe accadere se quell’entità dovesse ancora impossessarsi del mio corpo. Vai a controllare la serratura del cancello, vi ho inserito la chiave. Mi starai lontano, restando dalla parte dell’ingresso e io dalla parte opposta. Se dovessi vedere qualche cambiamento nel mio comportamento, scappa immediatamente senza voltarti, chiudici dentro, prendi la chiave e vai a cercare aiuto.»

Roberta si sentì sollevata dalla consapevolezza del ragazzo. «Grazie.»

Alessandro le sorrise. «Allontanati, penserò io a loro.»

 

Il mondo della colonia, prendeva vita dinnanzi ai loro occhi stupiti. Anche Luca vedeva ciò che vedeva Mirco e lo guardava esterrefatto, mentre gli sorrideva.

«Ci possono vedere?» chiese sottovoce.

«No, non credo.»

Tra la gente incorporea, videro i loro amici vegliare sul loro sonno.

Si alzarono dai loro corpi, come fossero spettri, osservando incantati la gente della colonia vivere. Ad un tratto la loro attenzione fu catturata dalle urla di un uomo, provenire dal tunnel d’ingresso. Poco dopo lo videro, trascinato con forza all’interno, da altri due uomini. La regina comparve sulla soglia della camera delle culle, col viso severo. Raggiunse la sala comune, scansando il corpo di Alessandro, come se lo vedesse. Fece cenno ai due uomini di avvicinarsi, trascinando l’altro che continuava a urlare di essere lasciato.

Lo costrinsero ad inchinarsi ai suoi piedi, lei gli impose una mano sulla testa bisbigliando parole incomprensibili, versi di un’antica magia, e l’uomo tacque di colpo.

La regina si chinò davanti a lui, gli sollevò il viso dolcemente con una mano e con la stessa dolcezza gli domandò:

«Vuoi andare via?»

L’uomo assentì con il capo.

«Perché?»

«Voglio tornare alla mia vecchia vita» rispose piangendo.

«Non puoi lasciarci lo sai.»

Dette queste parole si alzò e fece un cenno ai due uomini che lo sollevarono trascinandolo verso la piccola grotta della sorgente, seguiti dalla regina. Tutti restarono in silenzio e in attesa.

La curiosità spinse Mirco e Luca a raggiungerli. Forse quel luogo era anche destinato alle punizioni, con il cuore in tumulto aspettarono di vedersi compiere l’ omicidio. La regina si diresse al pozzo sulla voragine liberandolo dal coperchio in legno. Aprì un piccolo libro che teneva nella tasca dell’ampio grembiule, chiuse gli occhi e inspirò profondamente, quando li riaprì i bulbi oculari erano completamente bianchi. Spostò uno sguardo fantasma su una pagina, e iniziò a recitare dei versi. Credevano si trattasse di una particolare estrema unzione, ma si resero presto conto che la regina lo stava maledicendo.

«Non hai creduto nella tua regina,

non hai voluto né amarci, né proteggerci.

Per la tua disobbedienza sarai condannato

Non avrai più riparo,

né amore.

La tua anima vagherà nel terrore

consapevole di non poter ritornare,

consapevole di non poter andare oltre.

Chi entra, non esce!»

Durante il rito il viso piangente dell’uomo, iniziò ad assumere una smorfia distorta in un urlo silenzioso, mentre il suo sguardo disperato guizzava da una parte all’altra. Il corpo inerme, incapace di un qualsiasi movimento, fu sollevato dai due uomini, che lo infilarono di testa nell’imboccatura del pozzo, reggendolo per le caviglie. Un cenno della regina e gli uomini lasciarono la presa.

La regina ripose il suo libro nel grembiule e uscì seguita dai due uomini.

Mirco e Luca rimasero immobili, incapaci di parlare, poi presero coraggio e rientrarono nella sala. La regina non si trovava li, Mirco si sporse nella camera delle culle. La vide china su uno dei neonati e gli sorrideva, accarezzandogli la testa, mentre la madre dormiva. La donna sull’altro letto, stringeva al seno il piccolo appena venuto al mondo. Il suo sguardo incontrò quello della regina, l’amore e la dolcezza di quel momento, riempivano l’atmosfera, e i ragazzi avvertirono le stesse sensazioni. Poi la regina si avvicinò al proprio letto e infilò il piccolo libro sotto il materasso di lana. Sollevò il viso verso di loro e gli sorrise con la stessa dolcezza.

«Ci vede… » sussurrò Luca. Quello sguardo gli riempì l’anima di serenità e ricambiò il sorriso.

Un applauso generale, fischi e urla di giubilo provenienti dalla sala comune spezzarono quel momento intimo tra la regina e i suoi nuovi figli, raggiunsero la sala.

Festeggiavano la buona caccia. Due coppie di uomini erano arrivati tenendo dei bastoni sulle spalle, dai quali penzolavano due grossi cinghiali morti, appesi per le zampe. Uno venne appoggiato sul pavimento della cucina, mentre l’altro fu disposto sul grosso tavolo, dove due donne corpulente erano pronte alla macellazione dell’animale.

Mirco e Luca erano affascinati, ritrovandosi a condividere lo stesso giubilo battendo le mani a loro volta.

 

«Guarda, Roberta. Stanno sorridendo. Un po’ li invidio, vorrei essere li con loro» disse Alessandro, mentre li osservava dormire.

Erano passate alcune ore, da quando i loro amici si erano incamminati per quel misterioso viaggio astrale, e mentre Alessandro ne era sempre più affascinato, Roberta sentiva che qualcosa stava cambiando. L’ambiente intorno era più pulito, gli strati di polvere che ricoprivano le superfici erano scomparsi e sentiva un brusio costante, ma molto lontano.

«Questo posto mi angoscia. Spero che si sveglino presto, voglio andarmene da qui» disse lei.

 

Luca vide la regina accigliarsi all’improvviso, e raggiungere Roberta.

«Ma che sta succedendo?» chiese Luca, attirando l’attenzione di Mirco sulla scena.

Il viso duro della regina fissava quello angosciato della ragazza, prese il suo piccolo libro dal grembiule, lo aprì e la videro sussurrale qualcosa all’orecchio. Roberta si sfregò come a voler scacciare un insetto. Poi la videro accarezzarle il viso e contemporaneamente la ragazza passarsi la mano nello stesso posto.

«Ha avvertito il suo tocco…» sussurrò Mirco.

Quando la regina si allontanò dalla ragazza, notarono le lacrime nei suoi occhi e la durezza del suo volto si trasformò in tristezza.

«L’ha delusa…» aggiunse Luca.

La regina raggiunse Alessandro, in piedi vicino al caminetto e posando una mano sulla tasca sinistra dei suoi jeans disse rivolta verso di loro: «Restituite…»

«Ma che significa?» domandò Luca all’amico.

In quel momento, il mondo dei reietti iniziò a tremolare divenendo sempre più sottile fino a sparire.

 

«Sta succedendo qualcosa. Oddio tremano come foglie. Roberta vieni ad aiutarmi!» esclamò Alessandro.

La ragazza lo raggiunse. I volti di Luca e Mirco erano cerei. Non sapendo che altro fare si sedettero prendendo ognuno la testa di uno dei ragazzi in grembo.

«Ma che sta succedendo? Si stanno irrigidendo…» Roberta era spaventata.

I corpi dei ragazzi presero a tremare con più intensità, poi all’improvviso riaprirono gli occhi.

«Grazie al cielo!» esclamò Roberta piangendo.

«Come stai amico» Chiese Alessandro a Luca.

«È stato… fantastico…» rispose continuando a tremare.

Li aiutarono ad avvolgersi nei sacchi a pelo e a mettersi seduti. Roberta preparò del caffè e glielo diede, intanto i ragazzi, continuavano a tremare incapaci di parlare, ma sorridevano.

Dopo qualche minuto, i loro corpi iniziarono a rilassarsi.

«È stato più intenso dell’altra volta, più reale. Non so se per via della presenza di Luca o perché l’altro mondo stia acquistando più forza. Vi posso solo dire che è un’esperienza che appaga ogni bisogno, che colma ogni lacuna e cura ogni ferita» disse Mirco con convinzione.

«È vero…» confermò Luca.

«Onestamente non mi importa del vostro viaggio o delle sensazioni che vi ha potuto dare. Io voglio andarmene da questo posto!» esclamò Roberta allontanandosi da loro e andando a occupare uno sgabello nella cucina.

«Che prove avete per confermare che ciò che avete vissuto, sia reale?» domandò con emozione Alessandro.

Mirco provò ad alzarsi, ma le gambe erano indebolite dagli spasmi provocati dai brividi.

«Fammi un favore,» gli disse, «nella stanza delle culle, sotto il materasso della regina, dovresti trovare un piccolo libro. Potresti prenderlo per me?» gli chiese.

Alessandro obbedì, affamato di informazioni. Tornò poco dopo, porgendoglielo.

«Cos’è?» chiese Roberta.

«È quello che voglio scoprire» le rispose, aprendolo.

Iniziò a sfogliarlo con cura, mentre Luca e Alessandro si sporgevano a guardare.

«È come immaginavo. È una raccolta di formule alchemiche e magiche, lei era davvero una strega…»

«Lei poteva vederci e poteva vedere anche voi due!» esclamò Luca.

Il suo tono euforico fece rabbrividire Roberta.

«In che senso?» volle sapere Alessandro.

«Ti si è avvicinata e ti ha toccato la taca dei jeans, poi ci ha detto “Restituite”, non so cosa volesse dire» gli raccontò Luca.

Alessandro sgranò gli occhi, «Io lo so!» esclamò, tirando fuori dalla tasca il crocefisso.

«Lo hai rubato?» Mirco era incredulo.

«Non è proprio così, ho sentito la necessità di tenerlo, per protezione. Ma adesso non credo che mi servirà più.»

Sollevò l’angolo del tappeto e recuperata la sacca del piccolo tesoro, ripose la croce al suo posto.

«Perdonami regina…» disse rivolto al nulla.

Sul trono, protetta da un velo sottile che la nascondeva ai loro occhi, la regina sorrideva compiaciuta della sua obbedienza… era un bravo figlio.

«Guarda Luca,» disse Mirco, «questo è lo stesso incantesimo che ha pronunciato mentre condannava il traditore: Drullios.»

«Drullios… dunque sono loro, le anime dannate dalla regina…»

Luca e Mirco si scambiarono un’occhiata per poi rivolgerla verso Roberta.

«Tu l’hai delusa» disse Luca.

Alessandro era incuriosito, ma in cuor suo gioiva del fatto che a lui era stata offerta una possibilità, mentre lei invece l’aveva delusa. Sorrise.

«Cosa? Che diavolo state dicendo?» L’angoscia di Roberta era a un passo dal trasformarsi in terrore. «Siete tutti quanti impazziti?»

Il brusio di voci lontane, che già aveva udito durante il viaggio astrale dei ragazzi, iniziò ad aumentare. Dall’ingresso sopraggiungeva il belare delle capre. Lentamente l’aria intorno a lei iniziò a vibrare, mentre il vociare aumentava. Un colpo di mannaia sul tavolo della cucina la fece sobbalzare. Sotto la lama incastrata nel legno, si aprì una rosa di sangue.

«Stanno arrivando» disse Mirco, gioioso.

Il popolo dannato, iniziava a prendere forma intorno a loro, fino ad acquistare consistenza. Roberta guardava i volti di quelle persone di un altro tempo, che la scrutavano con un’espressione seria. Persino i bambini, seduti sul tappeto insieme ai suoi amici, la guardavano con una punta di rimprovero. Sentì il cuore scalpitare di terrore e ricordando la chiave nella serratura del cancello si lanciò in una corsa disperata. Riuscì a raggiungerlo, nessuno si era mosso per cercare di riprenderla.

Sentirono il rumore del metallo che veniva sbattuto con forza e la mandata di chiave.

«Tornerà» disse Luca, sorridendo.

Non immaginava che l’anima di Roberta fosse già condannata.

Quando passò vicino alla stalla, le capre belanti, iniziarono a prendere a testate il recinto. Una di loro aveva il pelo macchiato di sangue, dove Alessandro aveva prelevato il campione di tessuto.  Col terrore che le attanagliava la gola, raggiunse le scale che portavano alla grotta dei pipistrelli.

Fuori pioveva a dirotto, impossibile capire in quale parte della giornata si trovava, ma era libera. Mentre discendeva la rupe si accorse che la zona dove avevano montato il campo base, brulicava di persone. Il suo viso si illuminò di gioia  e gratitudine, pensando che fossero venuti a cercarli.

«Ehi, sono qui!» urlava, mentre continuava a scendere.

Finalmente li raggiunse, si lasciò cadere sulle ginocchia, «Aiutatemi vi prego…»

Ma nessuno parve vederla.

«Non è possibile… aiutatemi…»

Un carabiniere le passò vicino. «Poveri ragazzi…» disse rivolto ad un collega.

Travolta da un’ondata di smarrimento, per le parole dell’uomo, si alzò e raggiunse il campo ed entrò nella grotta dove erano state montate le tende. Le forze dell’ordine e gli organizzatori del Gorroppu si erano radunati li. Vide un uomo sporgersi all’interno di una delle tende, quella di Mirco. Ne uscì poco dopo. «Fate avvicinare le barelle. Possiamo spostare i corpi, adesso» disse rivolto a un paramedico.

«Vuole ripetermi cosa è successo ieri?» chiese il maresciallo ad uno degli organizzatori.

«Verso le 11:30 di ieri mattina abbiamo ricevuto una telefonata dai ragazzi, che si lamentavano di alcuni atti vandalici subiti. Avevano trovato una delle tende lacerata. Verso mezzogiorno, forse un po’ più tardi, ho mandato una squadra in ricognizione e non hanno trovato nessuno. Stamattina ho mandato due dei miei ragazzi a controllare il campo per accertarmi che andasse tutto bene… sono stati loro a comunicarmi che li avevano trovati morti. Poi ho chiamato voi.»

Roberta si lasciò andare a un grido acuto, pieno di disperazione. Tremante si affacciò sull’uscio della propria tenda. Vide il proprio cadavere, con il viso cereo e lo sguardo vitreo rivolto al nulla.

Gridò più forte, con quanto fiato aveva in gola, ma nessuno la poteva sentire. Si guardò le mani tremanti e inorridita, abbassò la testa e vide il suo nuovo stato. La pelle grigiastra e gelatinosa ricopriva il suo corpo nudo e asessuato.

Il più profondo sentimento di terrore si insediò nella sua mente, col viso contorto da un urlo disperato e silenzioso si scagliò con furia omicida su uno dei paramedici che stava portando via il suo cadavere.

«Cristo!» esclamò il ragazzo, scostandosi dalla barella.

«Che c’è?» gli chiese il collega preoccupato.

«No, niente, mi era sembrato di vedere una figura orribile nella pioggia. Una visione dettata dall’immaginazione. Questo posto, i ragazzi morti… Andiamo, ora è passata.»

Coperta dall’incessante suono della pioggia, la voce severa della regina ripeteva la sua condanna:

«Los que engresan no salen!»

Chi entra non esce…

(10 – fine)

Annamaria Ferrarese