LA BESTIA UCCIDE A SANGUE FREDDO: CONSIDERAZIONI

Girato tra un film importante come I ragazzi del massacro e uno decisivo come Milano calibro 9, La bestia uccide a sangue freddo (1971) – co-sceneggiato da Carmine Di Leo, fratello del regista, sotto lo pseudonimo di Nino Latino – “fu fatto su ordinazione […] perché era il periodo del film alla Dario Argento… Ad essere thriller gotici non arrivavano nemmeno quelli di Dario, figurati il mio che è un film brutto” (Di Leo): giudizio condivisibile data la scarsa suspense, la lentezza di vari passaggi, la scadente caratterizzazione dei personaggi e la stupidità di certi dialoghi e  situazioni (il regista stesso cita l’inverosimiglianza delle armi esposte in una clinica psichiatrica).

Kinski vaga per le inquadrature come non vedesse l’ora di uscirne e presta giusto la sua maschera di cattivo all’equivoco che Di Leo vuol creare a proposito del colpevole. Più che uno psichiatra, Karlsen sembra un nobiluomo che dispensa insipidi consigli; quando si trova di fronte a un cadavere, poi, è distaccato come davanti al proprio criceto morto dopo lunga malattia.

Detto questo, cosa salvare di La bestia uccide a sangue freddo? “Io ho camminato sempre su due binari: […] sesso e azione” (Di Leo): in effetti proprio qui va cercato quel poco che del film si può apprezzare.

Il cast femminile è ricco e variato quanto a bellezze: Margaret Lee, Jane Garret, Monica Strebel e Rosalba Neri. La Lee esibisce i suoi strani seni, con quei capezzoli dalle larghissime areole scure che si scontrano con la pelle candida: un grottesco coito celebrato dal feroce contrasto fra particolarità anatomica e regolarità, nero su bianco. Nero su bianco che troviamo anche nel rapporto lesbico fra Pearl (la nera, all’epoca “negra”, Jane Garret, generosi glutei) e Hilde (Monica Strebel, già vista in Brucia ragazzo brucia). La Neri gambe scultoree compare persino in un nudo integrale (se si vede allo slow-motion lo strip nella serra) e ci dà il meglio di sé nella scena della doccia. In essa Di Leo evita gli stereotipi da commedia erotica sfruttando il pathos che la motiva: l’acqua deve raffreddare il desiderio della ninfomane e dunque deve svolgersi non in un bagno, ma in uno stanzone dove i getti la frustino in campo lungo.

Per l’estero furono aggiunti inserti “spinti” dei quali solo in un caso il regista riconosce la paternità (sequenza d’amore saffico fra Hilde e Pearl); la versione francese, completa dal punto di vista erotico (con due scene di masturbazione femminile oltre quella citata), paradossalmente manca invece dell’incontro fra la Neri e il fratello e di altri frammenti, il che rende immotivate alcune situazioni.

Sotto il profilo del sesso, in ogni caso, il film riuscì, a patto di ritenere la donna sullo schermo “già mercanzia, indipendentemente e in più della merce [recitazione, storia ecc.] che questa presenza contribuisce a produrre” (Klossowski).

Per l’azione, a Di Leo basta la sequenza in cui Hume massacra le infermiere per mostrare la propria maestria: la macchina da presa martirizza le donne assumendo i movimenti della mazza nella temeraria soggettiva di un oggetto; in montaggio alternato, scorrono primissimi piani e dettagli dell’assassino, mentre un fragore metallico scandisce lo scempio: è Hume a far musica industriale.

La strage è puro cinema come la scena dello stupro ne I ragazzi del massacro: questa fu “giocata senza che la ragazza fosse mai toccata, tutta di macchina da presa in movimento. Non c’è un atto, non c’è niente, tutto movimento di macchina. Poi montai la storia dei ragazzi”. Come dicevo, “solo” puro cinema.

Gianfranco Galliano