Se nei romanzi pubblicati in precedenza – Vie di fuga (2015) e Colpo di Stato nella San Marino rossa (2018) – Daniele Comberiati affidava lo straniamento alla peculiarità degli eventi storici rievocati, nei cinque racconti che compongono Il diario delle mie sparizioni (Besa Muci Editore), propone invece delle incursioni dirette in diverse declinazioni del fantastico e del fantascientifico, senza per questo rinunciare a temi e ambientazioni di stringente attualità.
Nelle tre narrazioni maggiormente improntate al fantascientifico, – Sessantacinque anni, 1993 e Gli asini dell’Hospitalet, pur non direttamente collegate fra loro, si ha talvolta l’impressione di muoversi all’interno di uno stesso mondo non troppo diverso dal nostro, situato in un prossimo futuro o in uno spazio ucronico: un’Europa in cui fioriscono tentativi privati e iniziative nazionali – ma mai comunitarie o globali – volte a gestire la crisi delle risorse primarie lasciando intatte o implementando “le ossessioni socialiste – stato onnipresente, controllo, libertà di movimento e di pensiero ridotte – mescolate con il capitalismo più aggressivo – culto del corpo, dei soldi, del tenore di vita, di un benessere inteso sempre allo stesso modo”.
Nel primo racconto, in cui il narratore in prima persona esprime tanto la freddezza con cui sbriga le ottemperanze burocratiche necessarie per accompagnare il padre verso il momento della morte, fissata dalla legge a sessantacinque anni derogabili solo grazie al sacrificio di un caro, quanto il terrore provato nel realizzare che anche a lui toccherà la stessa fine; mentre in quello successivo un giornalista italiano in visita a un Centro in cui è ancora possibile noleggiare videocassette temendo l’avvento di Blockbuster o sentirsi cittadini del mondo “in senso buono”, si trova a scoprire un tentativo di far ripartire il mondo dalla metà degli anni Novanta dietro quello che sembrerebbe una semplice, per quanto riuscita, operazione di marketing retro-nostalgico.
Gli asini dell’Hospitalet, ambientato invece a Barcellona, si presenta come una descrizione delle conseguenze, nella vita pubblica come in quella privata, della scoperta di un fungo ipernutriente, con un’attenzione particolare all’organizzazione dei nuovi ed estenuanti lavori sorti intorno alle “fungaie”.
Nei racconti successivi, Quel luogo da cui tutte tornano e Diario delle mie sparizioni, viene meno l’espediente tecnologico e si affronta più direttamente il tema della sparizione: nel primo, Comberiati si unisce alla schiera di docenti-scrittori che hanno scelto un approccio meno realistico alle narrazioni di ambientazione universitaria, esplorando il precipitare degli eventi a seguito della sparizione di una studentessa italo-tunisina a Montpellier.
Nel racconto che oltre a dare il titolo alla raccolta ne costituisce anche la conclusione, si rovescia invece la prospettiva sul tema, presentando la cronaca autobiografica di un uomo che nei primi anni Zero, all’alba dell’epoca della reperibilità continua, si rende conto di vivere frequenti episodi di assenza dal mondo reale, per di più non compensati da alcun viaggio nel tempo o in realtà parallele.
Il registro confessionale dell’ultimo Diario non comporta però particolari assoluzioni o rassicurazioni rispetto ai turbamenti attraversati dai protagonisti-narratori, che alla fine dichiara esplicitamente l’esistenza di un diario de giorni di presenza ancora tutto da scrivere: come da tradizione weird, la scelta su come continuare o concludere la storia alla fine spetta al lettore.