Il dottor Cau si guardò intorno, era nella sala di psicoterapia di gruppo. Per l’ennesima volta aveva avuto un altro vuoto di memoria. Prese posto in una delle sedie e rimase in attesa dei suoi sette pazienti, meditando se non fosse stato il caso di approfondire questo suo disturbo con uno dei colleghi.
Proprio in quel momento, il dottor Secci entrò, gli sorrise e prese posto, come suo solito, nella poltrona in un angolo della sala. Nonostante almeno un infermiere fosse di guardia fuori dalla porta, era sempre consigliata la presenza di due medici durante le sedute di gruppo, soprattutto con dei soggetti potenzialmente pericolosi come i suoi.
Mancavano pochi minuti all’inizio della terapia, avrebbe potuto chiedergli un incontro privato. Del resto, tra tutti, il dottor Secci era quello con cui andava più d’accordo e che conosceva da più di dieci anni. Sollevò lo sguardo dagli appunti e proprio mentre stava per parlargli, con la coda dell’occhio, scorse dallo stipite della porta i capelli crespi della bambola del suo primo paziente.
“Dora, sei tu? Non vuoi entrare?” chiese gentilmente.
La testolina della bambola fece capolino.
“Ciao, Stella. Puoi chiedere a Dora se ha voglia di entrare?” chiese rivolto alla bambola. Questa si ritrasse velocemente e un attimo dopo comparve una giovane ragazza, che teneva stretta la bambola al petto.
“Ciao, Dora. Su coraggio, vieni a sederti accanto a me.”
La ragazza lo raggiunse, mettendosi a sedere la bambola sul grembo.
“Che belle trecce? Te le sei fatte da sola?”
“Si!” rispose Dora, abbassando la testa.
Dora le stava a cuore, forse un pochino più degli altri. La sua timidezza, la sua insicurezza gli spezzavano il cuore, ma la terapia sperimentale stava andando bene e dopo sette anni di miglioramenti, Dora, era quasi pronta ad abbandonare la bambola che utilizzava come scudo per ogni situazione che la riguardava.
“Ciao, dottor Biancaneve!” salutò un omino tutto sudato. Entrò, spostò da una parte una delle sedie e si mise supino sul pavimento.
Dora emise un risolino sommesso.
“Ciao, Pietro. Non puoi metterti seduto come gli altri? Fallo per me. Almeno per oggi. Ti va?”
“Magari quando ci siamo tutti” disse incrociando le mani sul petto.
“Sei morto?” chiese Dora, timidamente.
“No, ma vorrei averne una nel mio letto stanotte” rispose sollevando per un attimo la testa per guardarla.
“Buongiorno a tutti!” salutò con un enorme sorriso stampato in faccia, un uomo corpulento che indossava un impermeabile sgualcito.
“Spero tu sia vestito sotto a quel coso!” esclamò un’altra paziente dietro di lui.
“Tu che ne dici?” rispose lui, girandosi e aprendo l’impermeabile a mostrare la sua nudità, ridendo a più non posso.
“Fai proprio schifo! Come tutti gli uomini del resto!”
“Roberto, richiudi quell’impermeabile e vieni a sederti, da bravo” lo incitò il dottor Cau.
“Agli ordini Biancaneve!”
“Paola, lasciamo i commenti a quando ci siamo tutti, sei d’accordo?”
“No, ma che alternativa ho?”
Un ragazzo tutto brufoli entrò nella sala, preceduto dai suoi starnuti.
“Buongiorno” salutò e si soffiò rumorosamente il naso.
“Buongiorno, Luca” salutò il dottore, invitandolo a prendere posto.
“Per l’amor del cielo, stammi lontano! Vai, vai. Entra prima tu!” esclamò una donna occhialuta con guanti di lattice, che teneva in una mano un pacchetto di fazzoletti e nell’altra un disinfettante. Incitava un uomo a entrare prima di lei. L’uomo in questione entrò saltellando e si mise a sedere. La donna spruzzò una generosa quantità di disinfettante sulla sedia che doveva occupare e strofinò per bene con un fazzoletto che andò a buttare nel cestino, tenendolo con la punta di due dita, poi si mise seduta.
“Ecco i soliti ritardatari! Aspettavate la carrozza?” esclamò irritata Paola.
“Buongiorno, Sara. Buongiorno, Giovanni” li salutò il dottore. “Bene, ci siamo tutti. Pietro, che ne diresti di metterti seduto insieme a noi?”
Ma l’uomo rimase sdraiato senza rispondere. Roberto non perse tempo, lo raggiunse, si mise in piedi sopra di lui con le gambe divaricate e spalancò l’impermeabile, ridendo.
“Stai attento, una simile natura morta potrebbe anche eccitarmi!” rispose Pietro.
Roberto smise di ridere, si richiuse l’impermeabile e si rimise seduto, apparentemente imbronciato.
“Avanti Pietro fallo per me, vuoi?” chiese ancora dolcemente il terapista.
“Ok, Biancaneve. Per te questo e altro.”
“Qualcuno di voi può spiegarmi, ancora una volta, il motivo di questo soprannome?” chiese il dottore seduto nella poltrona.
“Chi vuole rispondere?” chiese il dottore che li aveva in cura.
“Che domanda stupida!” esclamò Paola.
“No, non lo è” intervenne Sara, spingendosi gli occhiali che le erano scivolati quasi sulla punta del naso.
“Cos’hai detto?” Paola si alzò, con aria minacciosa.
“Paola, mettiti seduta! Ognuno di voi può dare la sua versione se vuole. Siamo qui per questo, ma vorrei che riconosciate a voce alta, con tutti noi, i vostri disagi e perché siete finiti qui. Siete d’accordo?” intervenne il terapista con autorevolezza.
Paola si rimise seduta.
“Stavo dicendo, prima di essere interrotta, che la prima cosa che salta all’occhio è che il dottore ha sette pazienti, proprio come i sette nani e ognuno di noi ha delle somiglianze con questi” spiegò Sara.
“Quindi ognuno di voi si sente in affinità con questi piccoli personaggi. Volete parlarmene?” chiese ancora il dottor Secci.
“Avanti, chi si presenta?” li incalzò Cau. “Dora, vuoi iniziare tu?”
La ragazza prese la bambola e le mosse la testa in segno di assenso.
“Io ho chiesto a te, tesoro.”
Dora appoggiò di nuovo la bambola sul grembo, nascose il viso tra le mani e rispose: “Io sono Mammolo. Ho bisogno di Stella per parlare e interagire con la gente e le cose… qualche volta lo faccio anche da sola…adesso… Sono qui, perché Stella non mangia per davvero e io stavo morendo…”
Pietro intanto era scivolato lungo la sedia e aveva incrociato le braccia sul petto, tenendo gli occhi chiusi e da questa posizione rispose: “Pisolo! E sono affetto da necrofilia. Ho ucciso quattro persone, le volevo possedere.”
“Io sono Dotto. Sono la più intelligente, mi pare ovvio! Germofobica e paranoide. Sono qui, perché non uscivo più dalla mia stanza e non ingerivo più nulla, avevo paura di un contagio” confessò Sara.
“Ah! Alla faccia dell’intelligenza!” esclamò stizzita Paola.
“Vuoi essere tu la prossima?”
“Non mi interessa!” rispose Paola secca, drizzandosi sulla sedia e incrociando le braccia, con un moto di stizza.
Roberto si alzò piazzandosi davanti al medico, sorridendo felicemente.
“Io sono Gongolo! Esibizionista di professione”, rise. “E poi con un affare così, non c’è motivo di essere tristi!” esclamò aprendo l’impermeabile e mostrando la sua virilità a tutti i presenti con un giro su se stesso, ridendo a crepapelle!
“Con quell’affarino c’è poco da stare allegri, direi… etcciù” intervenne Luca.
Roberto si ricompose e si rimise a sedere. “Sono qui perché mi mostravo nei parchi. Atti osceni” concluse.
“Io sono Eolo. Misogino… credo. Sono qui perché ho picchiato a morte una donna” disse e starnutì.
“Che vuoi dire con credo?” chiese Cau.
“Che non ne sono più tanto sicuro. Non ho più voglia di ucciderle.” Starnutì ancora.
I medici si scambiarono uno sguardo e sorrisero.
“Cucciolo!” rispose Giovanni, incrociando le gambe all’indiana sulla sedia e infilandosi il dito nel naso. “Soffro di una violenta sindrome di Peter Pan. Odio gli adulti, e a quanto pare non posso stare con i bambini, per certe voglie che non riesco a trattenere come vorrei…”
“Benissimo, rimane solo l’ultimo dei sette nani da enunciare, vero Paola?» incalzò Roberto.
Paola per tutta risposta, grugnì, si alzò, girò la sedia mettendosi poi a cavalcioni su di essa, dando le spalle al resto del gruppo. “Traviso negativamente la realtà e i comportamenti degli altri, questo mi procura una forte rabbia e aggressività. I sette maniaci, altroché nani!”
“A me sembra che riesci a controllarti di più, adesso” la incoraggiò Cau.
Per tutta risposta Paola sollevò le spalle, sospirò e si rimise in cerchio di fronte agli altri. “Brontolo, e sono qui per tentato omicidio!” esclamò.
“Sono molto contento di come procede la terapia sperimentale. Oggi è il grande giorno, vero dottore?” disse sorridendo il dottor Secci, rivolto al collega.
“Assolutamente, oggi vedremo se questa terapia può concludersi con la vostra guarigione, ma avete dimenticato un particolare che “ci” lega tutti alla favola di Biancaneve e i sette nani, ho ragione?” chiese dolcemente, guardandoli tutti.
Il sorriso sul volto del dottor Secci scomparve per lasciare posto alla preoccupazione. Di che parlava?
“Io lo so” disse Dora coprendosi con la bambola.
“Va bene, dillo tu, ma senza questa.” Il dottor Cau si alzò, strappò la bambola dalle mani di Dora e la consegnò nelle mani di Luca. “Tienila tu!”
Dora si irrigidì, serrando le mascelle e respirando velocemente, rispose: “Amiamo tutti la favola da quando eravamo piccoli.” Poi lentamente si rasserenò.
“Vuoi di nuovo la tua bambola?” chiese Luca.
Dora lo osservò per un attimo la bambola e poi sollevò lo sguardo. “No, non mi serve più!”
“Brava, Dora. Ora puoi andare” disse Cau.
La ragazza uscì dalla sala con passo sicuro, senza voltarsi, abbandonando per sempre la sua tanto amata bambola.
“Veniamo a te “Eolo”. Dimmi perché siamo legati alla favola sin da piccoli?”
“Perché era l’unico momento che la mamma ci dedicava, l’unico momento in cui ci dava amore…”
“La bambola che hai è una femmina. Cosa provi per la bambola che hai tra le mani?”
Luca guardò la bambola e scosse leggermente la testa, poi disse: “Niente.”
“Staccale la testa! È una femmina! Fallo!” lo incitò il medico.
Luca afferrò la testa della bambola con una mano e le spalle con l’altra, ma titubò, tremante.
“Non ci riesco…”
“Sara è Paola sono donne, le odi?”
“No.” Affannava sconvolto.
“Bravo Luca, puoi andare.”
Luca si alzò, sistemando con cura la bambola nella sedia dov’era seduta Dora e uscì dalla stanza.
“Roberto, cosa faceva la mamma, quando non ci leggeva la favola?”
Ma l’uomo non rispose.
“Gongolo, ti ho fatto una domanda!”
“Cose sbagliate…” rise.
“Dimmene una.”
“Dovevo mostrarmi nudo davanti a degli uomini e loro mi scattavano delle fotografie… sorridi, mi dicevano, sorridi…” disse mentre il suo viso si riempiva di tristezza.
“Fammelo vedere!”
“No!”
“Fammelo vedere!”
“Ti ho detto di no!”
“Perché?”
“Non è il momento, non più…” Roberto piangeva.
“Bravo Roberto. Puoi andare.”
Lui si abbottonò per bene l’impermeabile, sorrise debolmente con il viso bagnato di lacrime e uscì dalla sala.
“Fossero state solo le foto…” disse Pietro, mettendosi seduto ma tenendo gli occhi chiusi.
“Che altro succedeva quando la mamma non ci dava amore” incalzò Cau.
“Quei corpi caldi e sudaticci, sopra di noi…”
“L’alito fetido, l’odore di saliva putrida sulla mia bocca… sul mio corpo” aggiunse Sara.
“Apri gli occhi, Pietro. Avvicinati a Sara. Sara alzati e avvicinati a Pietro.”
I due obbedirono e si misero uno di fronte all’altro al centro del cerchio.
“Avvicinatevi un po’ di più, quasi a sfiorarvi.”
Lo fecero, mentre l’emozione riempiva i loro occhi di lacrime e il mento tremava.
“Pietro, avverti il calore del suo corpo?”
“Si…”
“Cosa provi?”
“Amore, vorrei abbracciarla…”
“Sara, senti il suo odore?”
“Si… Profuma…”. Sara si tolse il guanto e gli accarezzò il viso.
Pietro piegò leggermente la testa per godere a pieno di quel tocco tiepido e confortevole. Si strinsero in un abbraccio carico di emozione, di fratellanza per il loro trauma subito. I medici si sorrisero.
“Va bene, potete uscire dalla sala” anche gli occhi del dottor Cau erano lucidi e a stento riuscì ad ingoiare il nodo che gli serrava la gola.
“Erano malati anche loro…” sussurrò Giovanni. “Anche loro, come noi erano guasti…”
“Non tutti gli adulti sono così” disse il dottore.
“Si, ora lo so. È giunto il momento di prendere il mio posto nel mondo come adulto. Non voglio fare del male più a nessun bambino.” Giovanni si teneva il viso tra le mani.
“Quanti anni hai Giovanni?”
“Quarantadue.”
“Sono fiero di te. Puoi andare.”
Quando Giovanni fu uscito, il medico spostò una sedia e si mise a sedere davanti all’ultima paziente.
“Sei ancora arrabbiata?” le domandò.
“No, non più.” Paola teneva lo sguardo basso, era triste.
“Ora sai spiegarmi perché prima lo eri?”
“Nostra madre ci ha abbandonato, ma vedi? Nonostante quello che ci ha fatto, io l’amavo lo stesso. Evidentemente lei no. È tempo che me ne faccia una ragione. È giusto dottore?”
“È giusto! Puoi andare.”
Si alzarono e si strinsero in un abbraccio.
“Grazie, Dottore…” disse e uscì dalla sala.
I due medici rimasero soli.
“Sono soddisfatto! La terapia sperimentale ha avuto successo, ne ero sicuro!” esclamò Cau.
“Sì, ma attendiamo qualche giorno, per sicurezza.”
“È saggio, aspetteremo” concordò sedendosi sulla sedia a consultare i suoi appunti.
Secci uscì dalla sala, ma rimase ad osservarlo attraverso lo “specchio spia” della saletta di controllo, dove una collega era intenta a registrare dei dati sul PC.
Il soggetto al di là del vetro, aprì la valigetta che era rimasta adagiata sul tavolino e ne estrasse una parrucca del colore dell’ebano.
“Maledizione!” esclamò Secci.
“Che succede?”
“È ancora qui!”
Intanto il soggetto, si era tolto il camice e lo aveva sistemato con cura, su una delle sedie.
“E quindi solo una delle personalità ha resistito. È comunque un grande successo” lo incoraggiò la collega.
Intanto il soggetto aveva indossato la parrucca color ebano, e truccava le sue labbra con un rossetto del colore del sangue.
“La personalità che ha resistito è quella cardine, quella che ha dato origine a tutte le altre.” Il medico era avvilito.
Intanto il soggetto si rimise seduto e, stracciando il rivestimento del suo quaderno, rivelò la copertina della favola di Biancaneve e i sette nani che iniziò a leggere, mentre sorrideva.
“Ho paura che Biancaneve non potrà fare a meno dei suoi sette compagni. Presto o tardi ritorneranno…”.