Solitamente, e in modo del tutto disinformato, si ritiene che il Patrimonio Culturale di Roma sia perlopiù composto di rovine archeologiche e opere artistiche dal Rinascimento al Barocco. Niente di più errato! La Capitale primeggia in ogni ambito: musei militari, scientifici, sontuose collezioni antropologiche ed etnologiche e persino il più ricco Museo del Videogioco d’Europa, il Viganus, che era ospitato dentro il Mercato della Vittoria, situato nello splendido quartiere voluto dal Sindaco Ernesto Nathan (1845 – 1921). Ecco che quella bella collezione rinasce in una più prestigiosa sede dentro un palazzo ottocentesco nei pressi di piazza della Repubblica, ribattezzata Gamm (Game Museum).
Lo scorso 28 novembre, prima della apertura del Museo per la stampa, la Casa del Cinema in Villa Borghese ha accolto la presentazione di questo nuovo, suggestivo luogo. Tra i vari ospiti, spiccava il nome del game designer californiano Don Daglow: storico collaboratore, tra le altre ditte, della Mattel, per la quale ha firmato titoli indimenticabili per la console Intellivision come “Tron: Deadly Discs” (1982), tratto dall’omonimo e visionario film di Steven Lisberger dello stesso anno e prodotto dalla Disney. In questa occasione, si è ricordato come questa Istituzione nel cuore della Città Eterna consenta di scoprire un intero mondo, il quale è oramai una vasta sfera di ricerca: il “Videoludismo”.
Il Gamm è sostanzialmente il Viganus ripensato negli spazi e nel percorso espositivo. Parliamo, dunque, delle stesso museo, che venne fondato nel 2012 col preciso obiettivo di migliorare la consapevolezza del portato sociale dei cosiddetti games nel nostro Paese, in cui il numero dei giocatori, sia grandi che piccoli, è assai elevato. La presenza di una costante innovazione culturale, ancor più di una prettamente tecnologica, è ciò che si comprende camminando tra le sale di questa curiosa raccolta di memorabilia videoludici, dove si ha non solo la opportunità di far rivivere dolcissimi ricordi della propria giovinezza, ma anche di capire che stiamo parlando di oggetti che meritano di essere conosciuti e studiati.
Fenomeno di massa, espressione artistica dell’era digitale e medium interattivo, il videogioco è entrato a far parte dell’immaginario odierno, divenendo altresì un complesso strumento per la creazione di simboli visivi, generatori di altrettanti “sistemi significanti”, per dirla col grande Roland Barthes. Era il 1958, quando il fisico statunitense William Higinbotham pensò di usare il display di un oscilloscopio per creare una rudimentale simulazione del Tennis; da quell’evento si fa risalire la genesi del videogioco.
Alla stessa stregua della vecchia sede, la nuova si presenta come uno spazio a suo modo fuori dal tempo. Ci si potrebbe giustamente chiedere: possibile che un istituto legato imprescindibilmente al progresso tecnologico, quindi al futuro, sia sconnesso dalla contemporaneità? La risposta meriterebbe un libro per essere esaustiva. Possiamo qui però accennare che il gioco, e va da sé parimenti quello elettronico, è sempre latore di messaggi passati; specialmente quando a quel preciso oggetto si è data tanta importanza da piccini, la sua semplice vista resuscita la memoria, e quella più dolce e bella per giunta, di quando tutti eravamo innocenti.
La location è di circa 700 mq e articolata su due livelli, con oltre 120 schermi disposti un po’ ovunque, per fornire quella che la letteratura specialistica definisce una esperienza immersiva, a cui si aggiungono 20 Coin-op (detti anche “arcade” o “giochi da bar”), per un totale di 2000 titoli tra console e altro. Sono questi i numeri del Gamm, museo all’avanguardia e unico nel suo genere in Europa per qualità del materiale esposto e per la ricchissima offerta di potersi cimentare con decine e decine di quei prodotti che hanno reso quello videoludico il secondo mercato per indotto nell’Intrattenimento dopo il cinema.
Il Museo è suddiviso in tre macroaree. Il Gammdome, un percorso ripartito in 24 stazioni interattive, permettendo di ripercorrere la storia del videogioco dalle origini a oggi, passando attraverso una esposizione museale di enorme pregio. Tra i contenuti digitali si possono trovare 30 contributi video di esperti a livello internazionale fruibili in esclusiva solo presso il Gamm, che raccontano la evoluzione della Games Industry, mostrando le diverse forme di specializzazione professionale e creativa. Poi si incontra il Parc (Path of Arcadia), dedicato alla cosiddetta Golden Age delle sale giochi, che rappresentò un momento fondamentale e irripetibile di condivisione per i ragazzi a cavallo degli anni ’70 e i primi anni ’90. Al Piano Interrato è collocato infine lo Hip (Historical Playground), progettato per illustrare il gameplay e il game design come centrali nella valorizzazione dei videogiochi. In questa area, ci si può letteralmente perdere nell’universo del videogioco, esplorando la struttura narrativa, le tecniche di interazione e le logiche di progettazione che rendono un titolo un successo o un fallimento, rivelando così la capacità di questo settore di saper unire tecnologia e creatività.
Un museo a tutti gli effetti e, pertanto, non certo da sottovalutare, né da trattare con aprioristica indifferenza, il quale offre pure la specifica possibilità di far partecipare direttamente il visitatore, non tralasciando di sottolinearne la potenzialità didattica per le scuole. Tuttavia, se fosse solo un “posto divertente”, allora il Gamm non sarebbe poi così speciale. Ciò che lo rende tale, e ineguagliato nel Vecchio Continente, è il tesoro che custodisce, a partire dalla prima console commercializzata (Magnavox Odyssey, 1972), passando poi a numerosi esemplari della suddetta Mattel e della giapponese Nintendō, creatrici di giochi elettronici noti negli anni ’80 come “scacciapensieri”, per giungere infine agli ultimi sviluppi del gaming, con le opere di Rockstar Games. In generale, le sezioni del percorso prendono in esame i passaggi nodali della storia videoludica, come la nascita della Commodore, le cui macchine avrebbero spianato la strada alla attuale concezione di personal computer.
Gli oggetti presenti nelle sale includono sia i software, i giochi veri e propri, sia gli hardware, le macchine sulle quali giravano all’epoca, insieme a una amplissima selezione di prodotti collaterali: il merchandising promozionale e i giocattoli realizzati negli anni e ispirati ai videogiochi. Uno dei vanti della collezione sono dei rarissimi esemplari dei Master Disks di “Doom”, un titolo che segnò la storia del Videoludismo, quando nel 1993 venne introdotta in modo sperimentale una visuale in soggettiva, utilizzando un finto 3D. Questi dischi sono stati donati al Museo dai creatori di “Doom” e sono i primi in cui fu riversato il gioco al termine della sua programmazione, e dai quali sarebbero state ricavate tutte le copie immesse successivamente in commercio.
Altre chicche sono lo storyboard di “Druuna: Morbus Gravis” (2002), una “avventura grafica”, sviluppata da Artematica e prodotta da Microids, con protagonista il procace personaggio a fumetti di Paolo Eleuteri Serpieri, e il “Bbc Micro” di Dino Dini, il principale iniziatore del calcio elettronico: al Gamm è esposto il computer sul quale il famoso game designer progettò “Kick Off” (1989), il leggendario gioco targato Amiga che ha fatto impazzire la cerchia degli appassionati.
Il fondatore del Museo, Marco Accordi Rickards, ha ripetutamente dichiarato che il videogioco è: “Una opera multimediale interattiva”. Esso è inoltre una vivida incarnazione dello spirito degli anni ’80 e ’90, quando gli arcade alimentarono la diffusione del Videoludismo su scala planetaria, dando vita a nuove forme di aggregazione giovanile. Titoli indimenticabili creati nel lontano Giappone come “Pac-Man” (1980) e “Donkey Kong” (1981) hanno segnato la memoria di intere generazioni e conquistato il mercato internazionale. Roma è il Centro della Umanità; una città dove si trova tutto e al meglio, incluso il più bel museo dedicato a quella originale forma dell’umano ingegno, a metà tra fantasia e ricerca scientifica, che si chiama videogioco. Ragion per cui, sperando di restare in tema e in luogo del più canonico augurio di una buona visita, ci limitiamo a dire “Start”!
Riccardo Rosati
(articolo originariamente pubblicato su Barbadillo.it)