Origine e diffusione del mito del Licantropo
“Attendo che la bestia respiri dentro di me, sento la luna squarciarmi il cuore, la mia pelle freme e sta per rivoltarsi lasciando che il pelo venga fuori. Zanne feroci spingono sotto le mie gengive, attendo il tempo che sangue caldo sgorghi in me scuotendomi i sensi e alimentando la furia. Ascolto le voci della foresta, sento il cuore dei piccoli animali battere all’impazzata, sento i loro respiri, portati dal tramonto che vedrà i miei artigli fendere l’oscurità. La mia voce sarà il canto delle tenebre e scuoterà il silenzio della notte, annunciando la mia venuta. L’uomo si fa bestia e la bestia uomo, nell’argento della maledizione che ci fa temere l’ultima eclissi”.
E’ con queste parole che ha inizio la mutazione nel romanzo di Stephen Laws “I figli della notte”, classico della letteratura licantropi anni ’80, che similmente a molte altre storie di licantropi, tenta di raccontare l’origine e la diffusione di questo mito che, nonostante il trascorrere sei secoli, non accenna a tramontare.
Il Licantropo, a molti più noto come Lupo-Mannaro, è una figura presente sin dalla notte dei tempi nell’immaginario fantastico di moltissimi popoli europei. Il luogo, però, al quale bisogna guardare per risalire alle origini di questa leggendaria figura, è la Scandinavia. Nel cuore della mitologia nordica domina, infatti, il lupo Fenrir – il cui nome significa “lupo irsuto che vive” – figlio dell’astuto e crudele dio Loki. Fenrir, che condivide la natura demoniaca e brutale del padre, può essere considerato il primo vero lupo-mannaro. Dotato di una forza incontenibile e della capacità di ingannare con le parole, venne imprigionato dagli dei e legato ad una catena magica che Fenrir stesso, si dice, riuscirà a spezzare solo quando giungerà la fine del mondo, il Ragnarøkkr. In quella circostanza egli divorerà addirittura il padre stesso degli dei, Odino, al quale, tra le altre cose, si legano una serie di altre creature assimilabili ai lupi mannari. Si tratta di Geri e Freki, due lupi dalle enormi dimensioni che risiederebbero con Odino nel Valhalla, nutrendosi di cadaveri. E sempre allo stesso padre degli dei nordici, sono legati i berserker, guerrieri che durante il combattimento mostravano una tale ferocia che si diceva mutassero in lupi.
Dobbiamo, però, spostarci dal gelido clima della Scandinavia a quello più temperato della Grecia per riuscire a comprendere meglio la genesi di questo essere. La stessa parola “licantropo” deriverebbe dalla fusione delle due parole greche lýkos, “lupo” e ànthropos, “uomo”. Ma c’è anche chi afferma che il suo nome provenga dal mito greco di Licaone, re dell’Arcadia, che un giorno per prendersi gioco di un mendicante, al quale aveva deciso di offrire ospitalità, gli diede da mangiare la carne di uno dei suoi stessi figli. Il mendicante, che in realtà era Zeus, inorridì per quel terribile sacrilegio, e lo trasformò in lupo, obbligandolo a vagare per i boschi in forma di bestia. Quindi, dai discendenti di Licaone, avrebbero avuto origine tutti gli altri licantropi.
Se, poi, dalla letteratura greca ci spostiamo a Roma, possiamo trovare mille altri riferimenti al mito dell’uomo-lupo. Ne parla Petronio nel suo Satyricon nel quale racconta dettagliatamente la trasformazione di un versipelle, e lo stesso accade nelle Metamorfosi di Ovidio e in Apuleio.
Roma, nello specifico, è strettamente legata alla figura del lupo. Nella cultura romana, il lupo è simbolo di forza, e la sua pelle viene indossata da importanti figure all’interno dell’esercito. I vexillifer, ad esempio, erano sottufficiali incaricati di portare le insegne di ogni legione, e indossavano una pelle di lupo che copriva l’elmo e parte della corazza. Esistevano, inoltre, dei sacerdoti, gli Hyrpi Sorani, che sul monte Soratte veneravano il dio Apollo in forma di lupo. Questi ministri di culto, si racconta che fossero in grado di tramutarsi in lupi e che durante le cerimonie in onore del dio, Apollo vi presenziasse sotto forma di un grosso lupo bianco.
Dal Medioevo in poi i casi di licantropia sembrano aumentare a dismisura. Ne parla Maria di Francia nel suo Lai di Biscavret e alcuni testi riferite al mito di Artù. Il fenomeno arriva a toccare dimensioni gigantesche negli anni successivi alla Controriforma, sia nei luoghi dominati dall’Impero cattolico sia in quelli retti dalla regola protestante. E’ praticamente impossibile fare una stima di quanti finirono al rogo con l’accusa di licantropia, in taluni casi congiunta con quella di stregoneria. Le fonti, ad ogni modo, parlano di quasi ventimila processi con relativa condanna solo tra il 1300 e il 1600.
Gervasio di Tilbury, uno scrittore medievale cresciuto presso la corte di Enrico II d’Inghilterra, parla di licantropia associandola per primo alle fasi lunari. L’idea dell’influsso della luna, da questo momento in poi, diventerà caratteristica fondamentale in tutte le leggende riguardanti i licantropi.
Ma come si diventa licantropo?
Precisiamo che licantropo, secondo la tradizione, o lo si nasce oppure lo si può diventare. Infatti chi ha avuto la sciagura di nascere da genitori licantropi quasi certamente ne avrà ereditato i geni. Al contrario se uno dei genitori non dovesse esserlo, a quel punto ci sarebbe la possibilità per un figlio di nascere umano. Un’antica leggenda, tuttavia, racconta che in una famiglia di umani, il settimo figlio di un settimo figlio, sarà certamente un licantropo. Qualora non si presentasse nessuno di questi casi, nel Medioevo si riteneva che fosse possibile essere trasformati in un licantropo per mezzo di un sortilegio. Quest’ultimo doveva ovviamente essere lanciato da una strega (o da un uomo di fede) in punto di morte oppure la strega stessa doveva essere disposta a perdere la vita per infliggere la maledizione. Esiste, inoltre, un terzo modo per essere tramutati in licantropi. Ed è attraverso un morso, che sarebbe veicolo dell’infezione che genera la mutazione. Quest’ultima maniera, però, è più che altro una contaminazione legata al mito del vampiro, nonostante tra le due figure esista una chiara differenza: il vampiro morde la propria vittima fino a causarne la morte, e questa solo successivamente resuscita nella sua nuova condizione. Al contrario, nel licantropo il contagio si verifica attraverso un morso o una ferita che non causa la morte. Le vittime uccise da un licantropo non possono, infatti, ritornare in vita.
Come difendersi da un lupo-mannaro
Il metodo più conosciuto è ovviamente quello dell’argento, presumibilmente legato al fattore lunare o semplicemente alla sua purezza. E’ necessario, dunque, utilizzare un’arma che sia stata forgiata con questo metallo, sia essa una spada, un pugnale, una freccia oppure, in epoca moderna, una pallottola. Se un licantropo è ferito con uno di questi mezzi non può risorgere in alcuna maniera. Un altro metodo, inoltre, è quello bloccare il licantropo conficcandogli un pugnale di acciaio sulla fronte per poi mozzargli la testa e bruciarla separatamente dal corpo. Anche qui si tratta probabilmente di una contaminazione derivata dal mito del vampiro.
Ci sarebbero, in extremis, dei rituali speciali capaci di riportare il licantropo alla sua condizione umana, qualora a quest’ultimo fosse stata gettata addosso una maledizione.
Non potendo sfruttare i poteri della strega che ha generato l’incantesimo, bisogna ricercare una strega dai poteri superiori alla prima e sfruttare lo stesso magico anatema lanciato sullo sventurato umano. In questa maniera avrebbe luogo una sorta di esorcismo, che dovrebbe essere praticato in un posto ben preciso e soprattutto a mezzanotte in punto, in una notte di luna piena. Ah, non dimentichiamo la cosa più importante: se questo rituale fosse applicato ad un umano divenuto licantropo a seguito di un morso, questo avrebbe efficacia solo se preventivamente il licantropo che ha generato la mutazione fosse catturato ed ucciso.
Licantropi fra letteratura e cinematografia
Con la soppressione dei tribunali dell’Inquisizione, alle soglie dell’800, e la fine delle condanne per stregoneria e mannarismo, la letteratura si appropria di queste creature e per non farle morire le trasforma in protagonisti di storie fantastiche. E’ il caso de L’Orso Mannaro di Sir Walter Scott del 1838, de Il Signore dei Lupi, di Alexandre Dumas del 1857, de Il Lupo di Guy de Maupassant del 1882 e ancora de Il Marchio della Bestia di Rudyard Kipling del 1888. Potremmo andare avanti così per moltissimo, facendo riferimento ai testi di Sir Arthur Conan Doyle del 1890 o ai primi romanzi di inizio Novecento di Jessie Douglas Kerruish con La Maledizione Eterna, di Howard Phillips Lovecraft e infine di Robert Ervin Howard con Testa di lupo.
Negli ultimi cento anni la letteratura di genere di è arricchita di dettagli sempre nuovi riguardanti la figura del licantropo, che è stata adottata con successo anche dalla cinematografia moderna. A partire dagli anni ‘80 sono stati prodotti numerosi film di successo come L’ululato di Joe Dante del 1980 e Un lupo mannaro americano a Londra del regista John Landis girato nel 1981. Altrettanto apprezzabili sono il più moderno Licantropia di Grant Harvey del 2004 e Underworld del 2003 diretto da Len Wiseman che fonde magistralmente le due specie fantastiche per eccellenza: licantropi e vampiri.