ALESSIO BRUGNOLI

Ha vinto nel 2011 il “Premio Kipple” con il romanzo “Il canto oscuro”, recentemente pubblicato da Kipple Officina Libraria nella collana “Avatar”, ma Alessio Brugnoli è qualcosa di più di un semplice scrittore di fantascienza: è un personaggio eclettico e poliedrico come ne esistono pochi in Italia. Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo per voi: ecco cosa ci ha raccontato.

COMINCIAMO CON UNA DOMANDA DI RITO. CHI È ALESSIO BRUGNOLI?

Alessio Brugnoli è troppe cose, spesso contraddittorie tra loro, per essere sintetizzate in una risposta breve. E’ un romano, cresciuto tra Centocelle e Tor Pignattara, in cui ha assorbito pregi, difetti e idiosincrasie della sua città. E’ un ingegnere, esperto di Data Center e Cloud Computing, che ha vagato per l’Italia e per l’Europa. Cosa che gli ha permesso di conoscere personaggi assurdi e sviluppare un profondo disincanto e tolleranza nei confronti dei suoi simili. E’ un curatore e critico d’arte, impegnato in tante polemiche, capace, come Aureliano di perdere trentadue rivoluzioni e di cominciarne una trentatreesima subito dopo. Uno scrittore? Forse… Un uomo che sogna ad occhi aperti… Coloro che sono i più pericolosi, diceva Lawrence d’Arabia, perché sono quelli che spesso agiscono per rendere i propri sogni reali.

COME HAI COMINCIATO A SCRIVERE?

Quattordici anni fa. Collaboravo con la webzine “Solotesto” di Massimo Boccuzzi. Un altro grande visionario. Ti ricordi cos’era Internet all’epoca? C’erano i modem, si usava come browser Netscape, il motore di ricerca più diffuso era Altavista. Io mi occupavo di curare una rubrica di fantascienza. Massimo ebbe l’idea di creare una casa editrice dedicata solo agli e-book.  Per dargli una mano, cominciai a buttare giù dei racconti. Immagino che siano ancora in giro, nel mare magnum del Cyberspazio… Il modello di business era innovativo. I libri di esordienti e di autori classici di cui erano scaduti i diritti, erano free. Gli introiti sarebbero venuti dalla pubblicità… Massimo ha forse precorso troppo i tempi, ma ha saputo guardare oltre l’orizzonte. Magari in Italia ce ne fossero tante altre di persone come lui. La nostra povera nazione ricomincerebbe a correre e a osare, piuttosto che a piagnucolare, come fa troppo spesso.

VUOI PARLARCI DELLE TUE PRODUZIONI PRECEDENTI?

Dei racconti? E’ passata una vita… Chi se li ricorda più! Probabilmente erano immondi. Parlavano dei miei viaggi per l’Europa, dal pellegrinaggio a Compostela ai giorni in cui ero a Riga o a Lisbona. Subito dopo l’esperienza di “Solotesto”, sono entrato nel variegato mondo dell’avanguardia neofuturista. Ho smesso di scrivere racconti e mi sono dedicato alla stesura di manifesti e al paroliberismo. Sai, forse ai tempi di Marinetti, di Balla e di Cangiullo, avevano il loro perché, con la coesistenza tra diversi linguaggi e con il tentativo di rendere la simultaneità su carta, avevano un loro senso. Ma oggi, con il senno di poi, i miei non erano che giochi linguistici e rebus: un’esperienza più ludica che letteraria. Poi, mi sono allontanato dall’esperienza dell’avanguardia: aveva ragione Ionesco, si finisce tutti notai o qualcosa del genere… E la mia attività letteraria si è limitata esclusivamente alla stesura di cataloghi. Finché la mia compagna non mi ha costretto quasi a forza a partecipare al concorso della Kipple, con un mio vecchio manoscritto.

E COSI’ HAI VINTO IL PREMIO OMONIMO LO SCORSO ANNO: RECENTEMENTE E’ INFATTI USCITO IL TUO PRIMO ROMANZO INTITOLATO “IL CANTO OSCURO”, PUBBLICATO DA KIPPLE OFFICINA LIBRARIA. VUOI RACCONTARCI DI CHE SI TRATTA?

“Il canto oscuro” è un romanzo steampunk, ossia appartenente a quel filone della fantascienza in cui si presuppone come, a causa delle realizzazione della macchina analitica di Babbage, la rivoluzione informatica sia avvenuta nell’Ottocento. Ciò implica due cose:

  1. La proiezione delle problematiche contemporanee in un contesto straniante, in cui il Passato funge da specchio deformante del Presente;
  2. La rivisitazione dei miti positivisti dell’Ottocento, come a esempio la Rivoluzione Industriale o il fardello dell’Uomo Bianco di Kipling o nel caso specifico della narrativa americana, il West.

“Il canto oscuro” è poi ambientato in una Roma particolare, dove, a inizio Novecento, vivacchia ancora lo Stato Pontificio

COME E’ NATA L’IDEA DI FONDO DEL ROMANZO?

E’ nata dalle lettura di tre libri. Il primo, cosa molto banale, è stato “La macchina della realtà” di Gibson e Sterling. L’ambientazione mi piacque moltissimo, ma… lo ammetto, trovai la trama confusionaria e sconclusionata. Con il senno di poi, posso comprendere razionalmente la scelta dei due scrittori: in un mondo dominato dalla teoria del caos e delle catastrofi, in cui il teorema di incompletezza di Godel impedisce qualsiasi interpretazione consistente, la trama, con il susseguirsi di cause, effetti e relazioni, non ha più valore. Però, il risultato pratico… Il lettore, quando si confronta con un libro, è perso nel labirinto delle Idee di chi scrive. Come a Teseo, serve un filo per trovarvi l’uscita. Nello stesso periodo, lessi “Il club dei filosofi dilettanti”. Un bel romanzo, da cui ho tratto spunti di riflessione, ma di cui mi lasciò perplesso l’approccio buonista. Di fatto, un giallo è sempre una dichiarazione d’ottimismo nei confronti dell’etica e della ragione: la legalità trionfa sempre e il mondo è un oggetto perfettamente comprensibile. La vita, però, non mi ha reso così ottimista: quindi decisi di buttar giù un racconto lungo, con le macchine analitiche, con un delitto e una trama comprensibile, dove però avrebbe trionfato l’incertezza morale e gnoseologica… L’ultima lettura è stato il saggio “La struttura delle rivoluzioni scientifiche” di Thomas Kuhn che analizza il processo di graduale formazione della scienza nella storia, seguendo le dinamiche della scienza normale, della crisi del paradigma e del momento rivoluzionario fino al ristabilimento di una situazione di normalità. Proprio questo saggio mi ha fornito l’idea di rappresentare nel romanzo la transizione a due diverse visioni della tecnologia…

QUAL E’ STATA LA PARTE PIÙ DIFFICILE NELLA CREAZIONE DEI PERSONAGGI E DELL’AMBIENTAZIONE?

In realtà la parte più complessa è nella realizzazione di un intreccio che colpisca il lettore e lo sorprenda. Creare un’ambientazione è assai meno complicato di quello che può sembrare a prima vista. Partendo da un’idea iniziale, l’importante è documentarsi a fondo in biblioteca o, se si è troppo pigri, tramite Google. E’ una questione di pazienza e curiosità, più che di intelletto. Per i personaggi, vale sempre quello che ha detto il buon Graham Greene: “Scrivere è assegnare destini differenti alle persone che conosciamo bene”.

COME MAI LA SCELTA DI SCRIVERE FANTASCIENZA STEAMPUNK?

Fantascienza, poiché la fantascienza è eversione: in una società sclerotizzata come quella italiana, dove l’età prevale sul merito e dove sono trent’anni che non nasce un’avanguardia di rilievo, si teme ciò che è un esperimento mentale che costringe il lettore a ripensare il contesto umano e sociale in cui vive. Inoltre, in un’Italia che ritiene la staticità un valore, non c’è nulla di più pericoloso dell’immagine il cambiamento e il futuro. Steampunk perché, sotto diversi aspetti, la società italiana, come cultura, superstizioni e valori è ancora ottocentesca. Mi serviva uno specchio distorcente, per rappresentare al meglio le nostre contraddizioni e ipocrisie. E questo riesce alla perfezione proiettando nel Passato l’inquietudine sociale e tecnologica del Presente.

IN QUESTI ANNI DI ATTIVITÀ HAI SEMPRE AVUTO UNA PREDILEZIONE PER IL FANTASTICO. CHE SIGNIFICATO HA PER TE QUESTA TEMATICA?

Predilezione per il fantastico mi pare eccessivo… E’ da poco che mi sono avvicinato a questo genere. Il valore che do a tale tematica è anarchico e libertario: è lo strumento con cui possiamo vedere il Quotidiano, la gabbia con cui il Potere mistifica il Reale, giustificando così i suoi interessi e malefatte,  sotto altri punti di vista. La scrittura demistifica, per non renderci automi e ingranaggi di un sistema che poco si cura dei suoi cittadini.

VENIAMO A UNA DOMANDA PIÙ GENERALE. DOVE TRAI ISPIRAZIONE PER TUTTE LE TUE STORIE?

Dalla vita: quell’insieme caotico e vago di letture, incontri, esperienze che ci trasciniamo dietro ogni giorno.

QUALI SONO I TUOI SCRITTORI PREFERITI?

Troppi. Mi limito a pochi nomi: tra gli italiani, Fenoglio, Malaparte… Non smetterei mai di leggere “Tempo di uccidere” di Flaiano. Tra gli stranieri… Amo da morire Greene, “Il potere e la gloria” è memorabile, McCarthy… sì, do ragione ad Harold Bloom quando lo chiama il western definitivo, e Bulgakov.

E PER QUANTO RIGUARDA I FILM, CHE CI DICI?

Sono un innamorato dei film di Sergio Leone.

ULTIMA DOMANDA, POI TI LASCIAMO AL TUO LAVORO. QUALI PROGETTI HAI PER IL FUTURO E QUAL È IL TUO SOGNO (O I SOGNI) CHE HAI LASCIATO NEL CASSETTO?

I progetti sono tanti, come curare una mostra dell’Arte Contemporanea Cinese qui a Roma o aprire una galleria d’arte a Dubai. Dal punto di vista letterario, mi frullano in mente tante idee: da un romanzo ambientato in una Roma post-apocalittica, dove vi si trovano tribù di cacciatori e di raccoglitori che adorano strane religioni basate sulla fusione di cattolicesimo e culto dei brand a qualche racconto dedicato a Pietro Ispano, Giovanni XXI, il papa alchimista, saltato in aria a Viterbo nel 1277 per i suoi poco accorti esperimenti sulla nitroglicerina… Oppure un romanzo sempre ambientato nel mondo de “Il canto oscuro”, in cui si analizzano i lati esoterici del primo Novecento, dallo spiritismo alle società segrete come la Golden Down. Un sogno nel cassetto… trasferirmi in Cambogia e fare come il Colonnello Kurtz!

RESTEREMO IN STAND-BY ASPETTANDO I PROSSIMI SVILUPPI ALLORA E INTANTO… IN BOCCA AL LUPO!

Davide Longoni