Edgar Allan Poe nacque a Boston il 19 gennaio del 1809: figlio di due attori girovaghi, entrambi morti di tisi, fu allevato da John Allan, un ricco mercante di Richmond, che si prese cura di lui finché Edgar non se ne andò di casa. Condusse la propria esistenza in maniera sregolata e tra alti e bassi, ma viene considerato uno dei più importanti nomi della letteratura americana e a lui si deve l’invenzione del racconto poliziesco e del giallo psicologico. Già a scuola il suo carattere ribelle si manifestò a tal punto che, nonostante i suoi ottimi voti, viene espulso dall’università di Virginia a causa dei suoi eccessi alcolici e per i suoi debiti di gioco. Così nel 1826, dal momento che il padre adottivo non volle saperne di sobbarcarsi le pendenze di Edgar causate dalla sua vita dissipata, andò a vivere da solo e tornò a Boston.
L’anno seguente pubblicò a sue spese ed anonimo un libretto intitolato “Tamerlano e altre poesie” che venne però accolto dall’indifferenza generale e, per la delusione Poe decise di arruolarsi come soldato semplice nell’artiglieria federale a West Point, ma anche qui si fece espellere per infrazioni disciplinari. Alla fine del 1829 si trasferisce a Baltimora da una zia, che lo manterrà per tutta la vita, dal momento che alla morte del padre, non essendoci stata riconciliazione, non ebbe nulla in eredità. Qui ha modo di pubblicare una seconda raccolta di versi.
Per il racconto “Manoscritto trovato in una bottiglia”, pubblicato nel 1835 dal Saturday Visitor, vince un premio di cento dollari. Nel frattempo scrive racconti per il Courier entra a far parte della redazione del Southern Literary Messenger, dove ben presto, per le sue eccezionali doti di giornalista, viene promosso vicedirettore.
Il 22 settembre dello stesso anno sposa a Richmond la cugina Virginia Clemm, appena quattordicenne. Nel 1838 pubblica il suo primo ed unico romanzo “La storia di Arthur Gordon Pym”, che però non ha successo, pur essendo uno dei suoi lavori migliori, cui si è ispirato per certi versi con le sue storie soprannaturali anche Howard Phillips Lovecraft.
L’anno successivo a Filadelfia pubblica, invece, una raccolta di tutti i racconti che aveva sino ad allora scritto, intitolata “Racconti del terrore e del grottesco”.
Nel 1844 è di nuovo a New York, pubblica la sua poesia più famosa “Il corvo”, con la quale ottiene finalmente il successo che inseguiva da anni. Purtroppo per una serie di vicende il suo successo non dura a lungo.
La moglie si ammala gravemente e lo scrittore non avendo i mezzi per farla curare, si dà all’alcol e al laudano. Si riempie di debiti di gioco e comincia a bere senza misura. Nel 1846 la moglie muore di tubercolosi e da questo momento in poi lo scrittore cade in uno stato di prostrazione e di disperazione da cui non uscirà più.
Il 3 ottobre 1849 viene trovato in stato di incoscienza in una locanda di Baltimora: ricoverato al Washington Hospital, muore di delirium tremens il 7 ottobre alle cinque del mattino.
La fama, negatagli in patria, giunge però, oltreoceano e postuma.
Fu infatti il poeta francese Charles Baudelaire a riscoprirne l’opera e, grazie alle sue traduzioni, Poe diventerà uno dei più importanti punti di riferimento della letteratura francese (tanto da farne il vero padre del Decadentismo), un modello da imitare tanto nell’arte come nella vita. Poeti come il già citato Baudelaire, Stéphane Mallarmé, Jean-Nicolas-Arthur Rimbaud, Paul Verlaine e narratori come Guy de Maupassant e Jules Verne sono infatti pesantemente debitori nei confronti dello sfortunato scrittore americano. A partire dalla seconda metà del secolo, anche letterati inglesi, come R.L. Stevenson, Oscar Wilde ed Arthur Conan Doyle, ne riconosceranno la grande originalità, subendone quella forte suggestione che è molto evidente in opere come “Il ritratto di Dorian Gray”, “Lo strano caso del Dottor Jekyll e di Mister Hyde” ed il ciclo di Sherlock Holmes. La sua opera è pertanto oggi generalmente apprezzata e discussa, tanto che i suoi racconti vengono spesso inseriti in antologie scolastiche.
La fama di Poe rimane comunque legata principalmente ai suoi racconti brevi.
Racconti che sono il frutto di un intelletto lucido e spietato, di uno spirito analitico vigoroso e sottile, capace di analisi di incredibile complessità, quanto di un temperamento esasperatamente sensibile e di una fantasia libera e sfrenata.
Racconti dove Poe mette a nudo la realtà dei sentimenti umani, partendo dai più forti: la paura della morte, i desideri sessuali contorti, l’angoscia derivante dal confronto con la propria stessa miseria, il terrore per l’ignoto. Racconti il cui filo conduttore comune è costituito da quel meccanismo psicologico inconscio – che Poe definì «demone della perversità» – che induce l’Uomo a volere ed a causare la propria rovina. L’orrore, in Poe, non nasce difatti dall’esterno, ma dall’interno, dallo smarrimento interiore dell’Uomo contemporaneo di fronte ad un mondo senza ordine né certezze.
«Dopotutto potrebbe essere vero che i miei racconti siano scritti per scherzare anche se è possibile che questo scopo sia rimasto ignoto in parte anche a me».
28/02/2008, Gianluca Frigerio